di FRANCO ASTENGO
Vento dell’Est e Vento dell’Ovest stanno soffiando assieme nelle vele delle “democrature” mettendo in discussione le liberal-democrazie europee che si trovano in deficit di rappresentanza e di capacità decisionale.
Un momento di grande delicatezza per gli equilibri mondiali e di affermazione di sistemi che negano la separazione dei poteri classicamente intesa nello sviluppo della dottrina che aveva avuto origine da Montesquieu e dalla sua “L’esprit de lois”.
Ci troviamo così nella necessità di difendere l’equilibrio costituzionale in una fase nella quale appare necessario ricostruire un pensiero al riguardo del cambiamento avvenuto nel concetto di potere.
Proviamo ad andare per ordine:
La concentrazione dello sviluppo tecnologico in funzione quasi esclusiva della comunicazione mediatica, collettiva e individuale, ha portato a uno spostamento nella percezione di quello che può essere definito “immaginario del pubblico” incidendo fortemente sui meccanismi di accumulazione del consenso e di conseguenza di espressione del potere che si realizza così – appunto – attraverso l’immagine, al di là del campo di riferimento sia questo la politica, l’economia, lo spettacolo.
Così lo Stato legislativo ha ormai lasciato il posto allo Stato governativo che produce una sorta di “inflazione normativa” nella forma di decreti e decisioni particolaristiche (è sufficiente esaminare il lavoro del Parlamento Italiano nel corso degli ultimi trent’anni).
Nello stesso tempo la Magistratura ha svolto sempre di più funzioni di supplenza al riguardo della determinazione degli equilibri politici e degli stessi orientamenti legislativi, intervenendo addirittura su temi di diretta pertinenza al riguardo delle fonti stesse di legittimazione delle sedi legislative: si pensi, in Italia, al tema della legge elettorale.
Inoltre i confini del potere politico appaiono confusi rispetto a quelli del potere economico: su questo punto è avvenuto, sempre per restare nell’ambito dell’Occidente e ancor più in specifico del “caso italiano”, una surrettizia (e non completata) “cessione di sovranità” verso le istituzioni monetarie e finanziarie dell’Unione Europea (queste, tra l’altro, prive di una legittimazione politica complessiva che è proprietà soltanto del Parlamento Europeo, provvisto però di una capacità d’incidenza concreta molto limitata).
Uno spunto di riflessione ulteriore può essere suggerito, a questo punto, da un aggiornamento d’analisi al riguardo della teoria della “microfisica del potere” elaborata a suo tempo da Michel Foucault per rispondere proprio all’evidenziarsi di quella “confusione tra i poteri” cui si è appena accennato.
La teoria del filosofo francese considera il potere come una risorsa che circola attraverso un’organizzazione reticolare.
Il potere non si concentra più al vertice ma si disperde nella società attraverso gli individui: è la tesi della “inflazione del potere” cui Luhmann risponde considerandola come fonte dell’ingovernabilità con la teoria della riduzione del rapporto tra politica e società, e di conseguenza con una sorta di ritorno a forme “decisionistiche” di tipo quasi assolutiste
La presa d’atto, in sostanza, della necessità di un potere sovraordinato rispetto al venir meno di confini netti tra potere economico, politico, ideologico, tra poteri costituenti e poteri costituiti oppure ancora tra esecutivo, legislativo, giudiziario.
Sorge però a questo proposito una domanda cruciale: come potrà costituirsi, nel concreto, questo potere sovraordinato?
Una possibile risposta può venire proprio dall’analisi dell’attualità del caso italiano. Siamo di fronte infatti ad un esercizio del potere che avviene nella finzione di una messa in scena interpretata da un attore/attrice capace di interpretare il flusso degli strumenti mediatici (orientati, tra l’altro, sempre più verso il consumo individuale di notizie e di fittizi rapporti sociali e di trasmissione di idee).
Una finzione, quella attuata prima da Berlusconi poi da Renzi e adesso da Giorgia Meloni (sul modello Trump /Orban), sulla quale l’opinione pubblica si adagia avendo introiettato sul piano culturale l’idea della governabilità quale sola sponda possibile per l’esercizio della funzione politica e ricevendo in cambio il “via libera” a una sorta di “anarchismo diffuso” sul piano sociale esplicitato nell’assenza di regole e nel ritorno alla possibilità di esercitare una sorta di “potere privato” su chi si incontra sulla nostra strada in posizione subalterna.
Una nuova concezione del potere : “di finzione” sul piano del pubblico e “privato” nella concezione, ormai apparentemente egemone, dell’individualismo quale sola fonte di rapporto verso gli altri.
In queste condizioni non serve neppure più la concentrazione elettorale su di un soggetto esercitante potere monocratico (difatti il progetto di premierato elettivo appare abbastanza negletto).
Sono nati così fenomeni molto significativi che hanno dimostrato una crescita esponenziale del concetto di “personalizzazione” spinto quasi al limite del “divismo”, nel trionfo dell’apparire in luogo dell’essere e di una nuova forza dell’effimero nel nascondere la realtà complessa del potere reale.
Forse vale la pena riflettere al meglio su questi elementi di novità al fine di comprendere davvero ciò che sta accadendo attorno a noi.