Dal 14 al 24 novembre la manifestazione, che quest’anno compie 18 anni, prevede 37 appuntamenti gratuiti in provincia di Pavia realizzati da 87 organizzazioni ed enti coinvolti nell’organizzazione promossa da CSV Lombardia Sud ETS.
Nell’ambito del Festival (www.festivaldeidiritti.org), la Biblioteca Universitaria di Pavia, in collaborazione con il Comune di Pavia, promuove la presentazione del libro di Monica Dati, Quando gli operai volevano studiare il clavicembalo. L’esperienza delle 150 ore.
Le 150 ore non furono un fenomeno pedagogico di nicchia né investirono solo rade avanguardie sindacalizzate. Fra gli anni ’70 e ’80 centinaia di migliaia di lavoratori adulti, soprattutto manuali ed esecutivi, ebbero modo di recuperare l’obbligo scolastico acquisendo la licenza media inferiore. Per la prima volta le donne furono protagoniste di un’esperienza collettiva che consentì loro di definire la specificità e individualità della loro condizione di lavoro e di vita. Le 150 ore furono un radicale sommovimento — non solo urbano — rispetto all’accesso popolare alla cultura e all’istruzione, alla conoscenza e all’acquisizione del linguaggio e degli strumenti della comunicazione, che non a caso coinvolse intellettuali di varia estrazione, favorì iniziative editoriali, permise ai giovani laureati ma anche agli studenti — prima conseguenza della scolarizzazione di massa — di mettersi in gioco secondo prospettive inconsuete che poi riportarono nella scuola ordinaria o all’università (non a caso una parte di questo libro è proprio dedicata al profilo dei docenti delle 150 ore).
Sicuramente questo istituto contrattuale — ed è stato un limite che non si sia evoluto in qualcosa di più cogente e meno condizionato dalle circostanze — è legato ad un decennio irripetibile che cambiò definitivamente il volto della società italiana, facendo lievitare un bisogno di riconoscimento e identificazione collettiva attraverso una valorizzazione dell’individuo come persona formata nel legame sociale. Le contraddizioni di questa trasformazione sarebbero emerse successivamente e avrebbero investito proprio la formazione adulta, facendola diventare un’altra cosa da quella che provò ad essere allora: dopo, dagli anni ’80 e ’90 in poi, è venuta meno «l’idea di una formazione indipendente dagli scopi immediatamente professionali […], l’idea insomma che il tempo dello studio possa avere valore sociale», della sua gratuità, che imparare a suonare il clavicembalo sia importante per l’operaio (come mostrava la copertina di un famoso numero congiunto delle riviste «Inchiesta e Fabbrica e Stato» nel 1973), che abbia un significato politico e sociale, che non sia solo «un affare del tutto privato, socialmente (e quindi politicamente) irrilevante».
Non dimenticare queste dimensioni, ridare vita a emozioni, pensieri, azioni, significati che si mobilitarono attorno a questa esperienza e che furono espressione di persone che trovarono finalmente la possibilità di vedersi riconosciuta un’individualità compressa e oppressa, che trovarono la voce per poterla rappresentare nella protezione del collettivo, è il primo pregio di questo libro.
Con l’autrice ne parlano Gipo Anfosso ed Elena Borrone.
Monica Dati
Ha conseguito il dottorato di ricerca in Storia dei processi formativi presso l’Università di Firenze, svolge attività di ricerca in questo settore disciplinare presso l’Università degli Studi Iul.
Gipo Anfosso
Assessore al Comune di Pavia con delega alle Politiche Educative ed Aggregative, Sensibilizzazione civica, Lavoro, Partecipazione, Sanità. Docente in pensione, ha scritto Ricordo tutto, la storia della sua famiglia pavese e sanremese e Già che sei in piedi racconto dei suoi 40 anni da insegnante di scuola media.
Elena Borrone
Si occupa di attivazione di comunità, project management, rigenerazione urbana e territoriale, sviluppo locale, processi di co-progettazione. Nel corso del suo lungo back ground nel Terzo Settore, ha coordinato per Auser Comprensoriale il progetto “150 ore a Pavia” (2007).