Personaggi

Santina Di Rienzo: una professoressa “innovativa”

Un’insegnante che, quando può, esercita la sua “missione”, inventandosi numerosi metodi, escludendo, quasi a priori e con non poche perplessità, l’uso dei libri.

Il Molise è la regione in cui è nata e ha iniziato gli studi, conclusi a Pavia, con la Laurea in Lingue e letterature straniere. Quando può, raggiunge il suo paese che ama e di cui narra aneddoti anche agli alunni. Oggi, è una delle docenti più “eccentriche” della provincia di Pavia, luogo che ha conosciuto alla giovane età di diciotto anni, incontrando anche l’uomo che le ha insegnato l’amore per questa città, connubio fra arte, religione e storia, che sta conoscendo un nuovo target, in ambito turistico, con l’area vinicola dell’Oltrepò Pavese, promosso come “tour guidato”, nelle agenzie di viaggi.

Insegnare può essere considerata una “missione”, il cui professionista, dalla scuola dell’infanzia all’università, può compiere miracoli sia come apprendimento sia come miglioramento individuale, è l’insegnante. Un ruolo, ora, se si ascoltano i fatti di cronaca sottovalutato, anzi quasi rischioso: i ragazzi, spesso soli, a causa degli impegni lavorativi di entrambi i genitori, o con nonni impegnati con  nipoti più piccini, hanno come modello proprio gli insegnanti, con i quali trascorrono molte ore della giornata.

Non è proibito imparare divertendosi, come insegnò, nel Novecento, la pedagogista Maria Montessori, i cui studi si sono rivolti a bambini sin dalla prima infanzia. In questo secolo, invece, la provincia di Pavia ha un’insegnante che, dal 2010, può considerarsi una nuova “Montessori”, con un proprio metodo, non inventato è bene dirlo, in quanto ha frequentato corsi, spesso a spese proprie, sempre con il filo conduttore di una passione, che è più coinvolgente della retribuzione mensile, spesso, dall’altra parte, poco soddisfacente se misurata con l’impegno di questa professione. La Di Rienzo ha intrapreso molteplici attività, in lingua inglese, in particolare all’aperto, quando la stagione è favorevole. Forse, occorre qualche ora in più, poiché organizzando anche giochi, al momento, la mente del bambino può motivarlo a svagarsi, quasi non riconoscendo l’ora come lezione, seppur con uno svolgimento non ortodosso. L’insegnante è, però, più completa quando, con una pazienza che, in gergo numerico, tende all’infinito, anche lo studente, che sembra non memorizzare un concetto, applicando numerosi “artifici”, lo ricorda anche nelle lezioni in cui la lingua inglese non viene solo appresa su libri e relativi esercizi anzi questo modo pur con tempi più lunghi l’attenzione di una classe vivace può essere anche migliorata

Spesso, le sue attività sono pubblicate sul suo sito e sulla sua pagina Youtube personale.

Ora, è docente di ruolo presso una sezione di un istituto comprensivo della provincia di Pavia, mentre nelle altre svolge “potenziamento”, ore nelle quali può “inculcare” concetti, non con libri, verifiche e giudizi, quanto con giochi, laboratori e veri e propri esercizi motori, con qualche suggerimento della collega di educazione fisica.

Lei si “disegna” con questo metodo:

Durante i primi anni di insegnamento, questo mio modo di essere mi ha creato molti problemi.
Sentivo di non riuscire ad insegnare usando solo il libro, non so se fosse un rifiuto dei libri scolastici o cos’altro. Di solito, il dirigente scolastico ci dice di lavorare bene nelle classi, cioè cercare di svolgere tutto il programma per la fine dell’anno. Io ho un modo di fare lezione un po’ particolare, che spesso mi viene contestato. Mi piace fare lezione usando giochi, canzoni e, da due anni, anche teatro. Le mie lezioni sono spesso rumorose, per cui chi non vede dentro la classe pensa che sia tutta una perdita di tempo. Quando ho iniziato a lavorare nella scuola, spesso mi veniva detto che il mio metodo era sbagliato ed io mi lasciavo convincere ad usare un metodo diverso, col risultato che perdevo l’entusiasmo e diventavo un’incapace. Arrivavo alla fine dell’anno che ero stanca morta, ho rischiato diverse volte di cadere in depressione. Una volta però ho avuto la fortuna di lavorare in una scuola dove c’era una DS psicologa. Non dimenticherò mai l’incontro con lei in corridoio una mattina di ottobre. Ero andata a letto alle 2 perché cercavo un modo più pratico e tangibile di fare lezione nelle mie classi, ma non riuscivo a trovarlo. Allora, mi è venuto un lampo: portare a scuola tutti i miei libri di grammatica inglese e, a gruppi, far lavorare i ragazzi a scegliere gli esercizi che preferivano per preparare un foglione con tre esercizi su un argomento di grammatica appena svolto. In seguito, avrebbero dovuto scambiarsi i fogli che avevano preparato e fare una gara a chi li svolgeva nel minor tempo. Sapevo che qualcuno mi avrebbe detto:” ma non perdere tempo con i lavori di gruppo. È meglio se prepari tu l’esercizio e glieli fai svolgere.”
Quella mattina, stavo andando in classe con uno scatolone pesantissimo, pieno di libri, quando incontrai la DS. Ero pronta a sentirmi dire:” ma cosa perde tempo in queste cavolate. Entri in classe e faccia lezione seriamente!  invece io le dissi: ” voglio provare a far lavorare i ragazzi alla preparazione di un foglio di esercizi che cercheranno in questi libri. Non so cosa ne verrà fuori, forse sarà una perdita di tempo, ma secondo me, si sentiranno più coinvolti” e lei, con un sorriso radioso mi rispose con una sola parola “CONCORDO!”

Il city camp è una specie di grest in lingua inglese, dal lunedì al venerdì.

Coinvolgo i ragazzi in attività piacevoli e divertenti facendo uso di: giochi, canzoni e teatro.

I genitori saranno spettatori di uno show che narri quello che è stato svolto nella settimana.

L’età dei ragazzi varia dai 6 ai 14 anni. Essendo attività NON libresche, non conta l’attività, quanto il divertimento e il miglioramento nella lingua inglese. Lo dirigo con l’aiuto di un madrelingua, garantendo agli iscritti una full immersion, che permetta un apprendimento della lingua straniera in un contesto naturale.

Il mio motto è I CAN LEARN BETTER IF I ENJOY IT!

 

 

Lascia un commento