Due Chiacchiere con l' Arte

Ma non ci rompere i coglioni 

Se l’editore non avesse gradito il titolo originale, riportato in questa copertina, il titolo di riserva sarebbe stato ”5 miracoli”. Tanti sono i miracoli fatti da un bambino (Cucciolo), nato in una famiglia disastrata, cresciuto in povertà e, infine, resosi protagonista di un clamoroso riscatto sociale. La storia, d’amore e formazione, si snoda in sei parti: Annunciazione, Il Deserto e le Tentazioni, Passione, Rivoluzione, Avvento, Ricostruzione. ”Ma non ci rompete i coglioni” si trasforma, da volgare e violento dissenso, in un motto moderno di esortazione e di orgoglio identitario.

Antonello Taranto è uno psichiatra <drogatologo>. Ha vissuto 40 anni fra matti e drogati, riuscendo anche a scacciare la follia da qualche testa. È diventato scrittore perché sente il bisogno di raccontare le storie che ha conosciuto in 40 anni di professione e che potrebbero essere molto utili ai ragazzi e ai loro genitori, tutti storditi dai travolgenti cambiamenti sociali degli ultimi decenni.

Aspira a porsi fra Christiane F. e Irvine Welsh raccontando le storie dei ragazzi dello zoo di Taranto

Domande

Racconti come nasce questo libro?

Nella mia quarantennale esperienza di lavoro con matti e drogati ho conosciuto un sacco di storie che “sfuggivano” ai classici criteri diagnostici, impegnando me e i miei colleghi in analisi creative e integrate. Il prof. Cancrini ci definiva “quei temerari sulle macchine volanti”; altri maestri distinguevano gli psicoterapeuti “da divano” (gli ortodossi della psicoanalisi) da quelli “da panca” (i terapeuti dei servizi pubblici, più popolari e meno ortodossi). Io aggiungerei che abbiamo sperimentato anche il setting psicoterapeutico “da panchina”, quando approcciavamo pazienti non motivati alla cura. Le storie conosciute in questo modo, poco scientifico ma molto umano, mi hanno mostrato la potenza delle influenze sociali nei processi patogenetici e morfogenetici di quelle malattie, niente affatto rare, che faticano a trovare una loro precisa collocazione nei sistemi di classificazione e nelle linee guida delle cure. Per questi motivi ho sentito dentro di me una forte spinta a raccontare le storie, così come le ho percepite e vissute, prescindendo dai modelli teorici. Le persone devono conoscerle perché le cose accadute ai miei personaggi possono capitare veramente a chiunque.

Cosa può insegnare un libro di questo tipo?

Mi permetta di cominciare dalla fine.Il messaggio finale è che tutto si può correggere e recuperare. I ragazzi dis-educati, portatori di un’educazione distorta, possono essere “raddrizzati”. Certamente non con le mazze o metodi coercitivi ma con lo strumento educativo più potente che é l’esempio. Più che insegnare, questo libro evidenzia quanto sia necessario ascoltare prima di parlare. I protagonisti di questa storia hanno cominciato ad usare la frase riportata nel titolo perché erano stanchi di sentire i propri genitori che davano ordini ed esprimevano giudizi. Quei ragazzi non avevano bisogno di essere continuamente esortati ad essere bravi; avevano bisogno di sentirsi chiedere quali fossero i loro talenti, le loro paure, il loro senso della vita, i loro sogni. Insomma i ragazzi dovrebbero imparare a fidarsi dell’autorevolezza degli adulti; questi ultimi dovrebbero riconoscere i sentimenti dei giovani.

Pensa che portare alla luce alcune problematiche possa aiutare le persone che le leggono?

Ne sono addirittura certo, al punto che mi sono permesso di aggiungere un terzo elemento al noto motto di Giovenale: mens sana in corpore sano… in sana civitate. Per molti anni abbiamo addebitato la diseducazione dei giovani alla presunta incapacità della scuola. Sgomenti di fronte alla feroce mattanza delle donne stiamo puntando il dito accusatore contro i genitori. Io suggerisco di pensare alla incredibile velocità con cui la società si è evoluta negli ultimi 60 anni. In particolare la famiglia è diventata prevalentemente bireddito, con genitori che si espongono a ritmi assolutamente stressanti per sostenere un tenore di vita poco naturale. In questa società il tempo dedicato all’educazione da parte dei genitori si è ridotto moltissimo. Abbiamo genitori stanchi e disorientati, non genitori cattivi o incapaci. Una buona politica della famiglia dovrebbe trovare il modo di restituire tempo ai genitori per svolgere la loro più importante funzione.

Noi i ragazzi dello zoo di Berlino è stato letto da me 55 volte, ci spiega questo suo paragone col suo libro?

Nella mia storia ho incontrato 555 Christiane F. Tante ragazze e ragazzi intrappolati in sistemi ingannevoli, sentimenti egoistici, deludenti soccorritori, Lucignoli tentatori. I dati statistici parlano chiaro: Christiane F è il prototipo di un’umanità sempre più numerosa. Così ho cominciato a descrivere gli “esemplari” del mio personale “zoo di Taranto”.

Dove possiamo trovare questo libro?

Il libro è edito dalla casa editrice Nulla Die ed è distribuito da “Libro Co.”. Quindi è ordinabile in qualsiasi libreria oppure dal sito dell’editore o da Amazon.

Ci parli di cosa ha visto per poter scrivere questa storia

Ho visto ragazzi che hanno distrutto le proprie vite, che sono morti di over dose, di HIV, o anche ammazzati. Ho visto la disperazione di famiglie intere. Ho visto delinquenti pericolosi e persone che sono riuscite a mantenere la dignità anche in frangenti tragici. Ho visto professionisti bravi e anche spregevoli. E ho visto fiori appassiti che sono tornati ad essere belli freschi e vigorosi. Chi leggerà il libro conoscerà LaSerpe, ragazza ribelle e terribile, Rospo, ragazzo mite ma estremamente determinato; poi Rancore, un ragazzo arrabbiato con il mondo; Addolorata, anziana signora colpevole di “maschicidio”, don Chicco, prete militante, Simon Bombammano, ambiguo benefattore figlio di un mafioso e altri personaggi.

Di Manuela Montemezzani 

 

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