La prima occasione in cui esso venne assegnato fu nel 1901.
Ad oggi, solo 17 donne su 100 uomini l’hanno ricevuto ed è triste doverlo affermare, ma non si può negare: il ruolo femminile, nell’ambito della conoscenza, venne molto sottovaluto, in particolare fino agli Anni Sessanta. Alcuni menti vennero riconosciute postume.
Quest’anno, il premio è stato dedicato ad Annie Ernaux.
Ad inizio ottobre, la sede dell’Accademia svedese ha deciso di narrazione con la seguente causa:“…per il coraggio e l’acutezza clinica con cui svela le radici, gli allontanamenti e i vincoli collettivi della memoria personale”.
E’ stata ed è una convinta femminista, la quale, sia all’interno dei romanzi sia a voce, nelle interviste, ad esempio, evidenzia come ruolo delle donne debba essere continuamente emancipato e che esse devono ancora ricevere la dovuta riconoscenza, nel loro genere, ed essere meticolose nel modo di atteggiarsi, poiché le maldicenze sono dietro all’angolo.
La Ernaux ha accennato la condizione di ignobile discriminazione delle donne iraniane. La sua carriera inizia negli anni Settanta, in Francia, e nel, nostro Paese, è iniziata da circa una decina di anni. La casa editrice nazionale, “Le Orme”, le ha affidato il traduttore Lorenzo Fabbri e il 9 novembre è la data in cui essa pubblicherà ”Il Ragazzo”.
La giovane anni non ha conosciuto un’infanzia spensierata, a causa delle fragili condizioni economiche e familiari, e la sua indole ribelle le imponeva di offrire la sua voce all’emarginazione delle ragazze, in molti ambiti professionali.
Il background letterario è il connubio dei suoi studi adolescenziali, del conseguimento della Laurea in Lettere Moderne e dell’essere attiva nelle iniziative sociali.
L’autrice ha insegnato nelle scuole, oggi, definite “secondarie di secondo grado”. Ad inizio del nuovo millennio, con un’evoluzione molto rapida dei giovani, Annie non si è più sentita consona a quel ruolo e si è dedicata alla produzione di testi, concentrandosi sulle proprie ambizioni, in cui mente ed anima avevano il tempo di riflettere, azione ben complessa da compiere, se stai insegnando ed educando una classe numerosa e, spesso, con “individui”, che non seguano e, peggio, disturbano.
Un romanzo che può far riflettere, soprattutto in questi giorni, in cui che si discute di tematiche politiche, nonché religiose, riguardo le decisioni di abortire, lo ha intitolato “L’evento”. Non è del tutto inventato: il racconto, in prima persona, è la cronologia, quasi “scientifica”, dalla quale non si percepiscono emozioni, di quando, nel 1963, lei, studentessa ventitreenne, ha vissuto l’esperienza traumatica di un aborto. Anni in cui l’interruzione di gravidanza veniva punita con detenzione e sanzioni pecuniarie, revoca del permesso di soggiorno e privazione definitiva della facoltà di esercitare la propria professione, per chiunque fosse coinvolto.
Oggi, la Presidente del Governo, Giorgia Meloni, ha riacceso la questione, più intricata, soprattutto se a prendere una posizione netta, pro o contro che sia, è una donna, già madre, che dovrebbe esprimersi con cognizione di causa, poiché non tutti i concepimenti sono dovuti a uno sbaglio o a qualche bevuta, ma anche ad abusi e, in questo caso, ammetto che è sia complicato decidere come poter far nascere il risultato di un dramma. Parole che fanno rabbia a me stessa, in primo luogo, però sappiamo che sono fatti che accadono e, in alcuni Paesi, sono ordinari. L’opinione pubblica è libera, ma, in questi ambiti, dev’essere indagata e discussa con un linguaggio consono.