Nel mese di giugno del 1816 un gruppo di cinque amici si trovano a trascorrere alcuni giorni d’estate presso una magnifica tenuta nei pressi di Cologny, cittadina poco distante dalla più rinomata Ginevra.
Accolti da un clima inclemente con piogge scroscianti i giovani sono loro malgrado reclusi nel salone della villa, annoiandosi, girovagando a vuoto, inconcludenti nelle ore interminabili che accompagnano i loro momenti di inedia, ma ecco che uno di loro propone una sfida:
scrivere un racconto sulla base delle letture già conosciute, lette ed assecondare, in parte, l’atmosfera che circonda le loro vite in quelle mura di villa Diodati. L’intraprendente 28enne è noto come Lord Byron e l’allora 19enne che accoglie al volo l’opportunità di creare è Mary Shelley ed il racconto che nascerà attraverso la sua penna si intitola Frankestein.
Frankestein è un capolavoro della letteratura ed affonda le sue potenti radici nelle paure umane, nello sconsiderato immaginario che nasce con forza e determinazione dalle pure fantasie.
Un’opera del passato che a distanza di oltre duecento anni rapisce ancora e risulta essere assolutamente attuale dati i temi affrontati.
Tra la natura psicologica e quella della relazione umana, viene concepita una creatura mostruosa “la cosa” che non essendo né umana, né animale, ma semplicemente terrificante da vedere, allontana ogni individuo rendendo il creatore, dottor Victor Frankestein, una persona sola e solitaria.
La ripugnanza verso il diverso crea isolamento, paura, anche se “essa” ha un animo dotato di buoni sentimenti che sfociano, purtroppo, nel male.
La diversità è inconsciamente una zona incerta di confine che sancisce ciò che è l’identità vera e propria.
L’incontro con il mostro oltre a scatenare la paura, il terrore di chi lo affronta, sottolinea anche la paura di incutere paura.
Non si fa nessuna fatica a credere o ricordare che almeno una volta nella propria esistenza ci siamo sentiti “diversi”, ma purtroppo l’istinto dell’individuo è quello di assecondare il gruppo per non rimanere isolato, quindi emarginato, deridendo e divertendosi nel farlo, al prezzo di comportamenti contrari alle norme sociali ed alla propria coscienza.
Risultare fuori dal coro può avvicinare all’abitudine della solitudine che non possiede solo una sfaccettatura negativa in quanto stare soli non è sentirsi soli in un mondo fatto di molteplici possibilità.
Diamoci la possibilità di non guardarci attraverso le lenti di altre persone e viviamo cercando di prenderci sempre cura di noi stessi, nonostante le terre desolate che ci circondano: non si può mai sapere come andrà a finire.