Leader spirituale e testimone del massacro dei Sioux, convertì i membri delle tribù. Per l’Enciclopedia delle Grandi Pianure, una pubblicazione dell’Università del Nebraska, fu “probabilmente il leader nativo americano più influente del Ventesimo secolo”. Sorgono dubbi se il famoso capo Sioux che i vescovi americani vogliono fare beato fosse davvero un cattolico. Ecco il suo quadro. Un guerriero della tribù Ogdala della nazione Sioux (della famiglia dei Lakota-Sioux : la traduzione precisa del suo nome sarebbe Cervo Nero), uno sciamano, ma anche un cristiano, battezzato dai missionari inviati dalla Chiesa, che visse il periodo dell’espansione verso Ovest degli insediamenti americani. Nato in quello che sarebbe diventato il moderno Wyoming, Hehaka Sapa (Alce Nero) si distinse da altri capi che lo avevano preceduto, da Cavallo Pazzo a Toro Seduto, perché a renderlo noto non furono le gesta che compì in guerra. Aveva nove anni quando, malato, ebbe una visione mistica che raccontò poi al poeta del Nebraska John G. Neihardt, che la mise su carta in Black Elk Speaks (1968), un libro che avrebbe poi trovato la fama tra i molti alla ricerca di una spiritualità alternativa. Alce Nero fu prima un wichasha wakan, un guaritore tradizionale e solo in un secondo momento un messaggero della fede cristiana, che si dice abbia convertito centinaia di membri delle tribù indiane. Il battesimo avvenne nel dicembre 1904, nel giorno di San Nicola, da cui ricevette il nome di Nicholas e dopo il quale cominciò a fare proselitismo, dire Messa e insegnare la Bibbia. Nonostante una vita dedicata prevalentemente alla spiritualità, Alce Nero fu presente a due momenti tragici della storia Sioux: la battaglia di Little Bighorn (1875), dove gli indiani d’America capitanati da Toro Seduto e Cavallo Pazzo affrontarono le truppe (268 soldati del reggimento Settimo Cavalleggeri del generale George Caster e il massacro di Wounded Knee nel 1890.
Di recente la Chiesa americana ha accolto la richieste dei discendenti di dare il via al processo che potrebbe portare alla beatificazione del Capo Sioux, non senza dubbi, dovuti al fatto che gli studiosi si dividono sul suo conto tra quanti ritengono che la sua conversione fu sentita e quanti vedono in lui piuttosto un pragmatico che cedette alle insistenze dei missionari, tra i quali c’erano molti preti gesuiti, le “vesti nere”, come li chiamavano i membri delle tribù nordamericane. In particolare Charlotte Black Elk, discendente del capo Sioux e attivista Lakota che al cristianesimo non si è mai convertita, rimanendo fedele ai riti pagani, ha usato in passato parole molto dure nei confronti della Chiesa, parlando di un “genocidio spirtuale” dei nativi e raccontando i suoi dubbi sulla causa per la beatificazione al New Yorker. Nato libero, Alce Nero morì quando aveva circa 84 anni nel villaggio di Manderson, all’interno della Riserva di Pine Ridge nel Sud Dakota. Nel 1980 il Congresso ha dedicato al suo nome una zona naturalistica nella Black Hills National Forest e in agosto il governo ha rinominato il Picco Harney, nel Sud Dakota, in Picco Alce Nero. Se la Chiesa dovesse canonizzarlo andrebbe a raggiungere Kateri Tekakwitha, patrona amerinda del Canada, che Benedetto XVI proclamò santa nell’ottobre 2012. Alce Nero parla ma con le parole del Vangelo
Il mitico libro di Neihardt tagliò apposta la conversione al cattolicesimo. E i Sioux chiedono che sia fatto santo. Bisogna però maneggiare con cautela. Quando un mito viene infranto c’è chi rifiuta anche solo di visionare le prove di come stanno le cose davvero. Da più di ottant’anni Alce Nero (Black Elk), è un’icona dalla resistenza dei nativi americani all’assimilazione alla società bianca in tutte le sue forme. Eppure lo stesso Alce Nero così scrisse in una lettera, poco prima di morire: «Chiedo a voi, cari amici, che quel libro venga annullato». Perché Neihardt aveva omesso di riferire un fatto fondamentale, cioè che Black Elk era stato per la maggior parte della vita non solo un convertito al cattolicesimo, ma un suo diacono e missionario. Se sarà il primo santo sioux, però non sarà un santo della spiritualità sioux, ma di quella cristiana. Perché «la preghiera della Chiesa cattolica è miglior della Danza degli Spiriti» ha scritto a suo tempo Black Elk, per poi incalzare: «Forse ero un buon indiano, ma adesso sono migliore». Attenzione: il libro di Neihardt non è falso. Ma è parziale. È assolutamente veritiero quando racconta di Alce Nero coinvolto da bambino nella battaglia di Little Big Horn contro Custer, poi nel massacro dei Sioux a Wounded Knee, e in seguito nella resistenza nazionale dei Lakota come popolo titolare di diritti. Alce Nero parla è veritiero anche e soprattutto nel racconto della «visione» di Alce Nero, una summa della cultura nativo-americana, riferita in termini diretti e spontanei, senza mediazioni da antropologi.
Ma lo stesso libro è incompleto, e anzi fuorviante nell’ultimo capitolo, quello in cui il vecchio rimpiange la fine dell’antica religione. Alce Nero aveva concordato espressamente con Neihardt di scrivere tutt’altro, e di menzionare che lo stesso Black Elk aveva rinnegato i valori del passato. «Ma lui non lo fece…» lamentò Black Elk, profondamente amareggiato. Fino a chiedere, appunto, che «quel libro venga annullato».
Questo non succederà. Il volume di Neihardt, per quanto parziale, non è falso ed è troppo affascinante per finire nel cestino. Ma conoscere la storia tutta intera ci insegna che il drammatico adattamento dei nativi americani al mondo moderno è stato più complesso di quanto avessimo immaginato. I Lakota cominciarono a convertirsi alla Chiesa di Roma non appena il grande capo Nuvola Rossa, vincitore di battaglie contro l’esercito americano, chiese ai gesuiti di fondare una missione nella riserva di Pine Ridge. Alce Nero pur restando un fiero lakota si battezzò in modo né superficiale né formale; nessun sincretismo religioso, nessuna mediazione, lo dicono le drastiche e reiterate dichiarazioni dello stesso Alce Nero. Ma questo non ha suscitato interesse, finché attorno al 1970 lo studioso Michael F. Steltenkamp non ha cominciato a leggere le carte di Black Elk e dei suoi familiari. Per dirla tutta, anche il libro di Steltenkamp Alce Nero, missionario dei Lakota è rimasto quasi sconosciuto: la gente non sembrava interessata a conoscere la verità. Ma prima o poi i fatti si impongono. I Sioux hanno un curioso e poco noto legame con l’Italia perché il primo a scrivere un dizionario della loro lingua, tuttora stampato in America dalla Lakota Press, è stato un esploratore italiano, Giacomo Costantino Beltrami, che nel 1823 scoprì una delle sorgenti del Mississippi andando allo sbaraglio, da solo, vestito di pelli e armato di schioppi (ma senza uccidere nessuno) in mezzo ai nativi. Beltrami notò già allora l’attività missionaria dei gesuiti al confine col Canada.
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Chi era Alce Nero (1863 – 1950), il capo indiano che la Chiesa vuole beato
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