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Giovani e gioia alla Prima del Comunale di Bologna, città sorella in università con Pavia. Il Barbiere di Siviglia di Rossini quanto mai adatto alla piena ripresa dei teatri.

Anche da Pavia, la Prima della stagione lirica al Teatro Comunale di Bologna, circa 2 ore con l’alta velocità, ha sempre un fascino speciale. In particolare, quando si tratta davvero di un colpo di spugna su un passato cupo e antipatico, quello della stagione pandemica, non ancora risolta ma in via di risoluzione definitiva.

Ricordo lo sguardo sperduto quando, il 23 febbraio 2020, alla fine di una Butterfly domenicale in Piazza Verdi (piena zona universitaria, di una Università sorella in importanza anche storica con quella di Pavia) sede del Comunale di Bologna, si iniziava ad avvertire il freddo dell’incipiente restrizione da pandemia di Covid, quasi una sirena che annunciasse un bombardamento, e non “…un fil di fumo”.

Che bello rientrare con la felicità di sempre, anche se, all’attento osservatore, una venatura di differenza c’era ugualmente, questo sabato pomeriggio 16 ottobre alle 18 per “Il Barbiere di Siviglia”, il capolavoro giovanile di Gioachino Rossini: la pandemia non è tutta risolta e le cicatrici si vedono. Ma non c’è di meglio che ri-iniziare con i sorrisi della più celebrata opera buffa, e non solo tra quelle del pesarese, tanto amato da Ugo Bassi…

Comunque, si nota la popolazione delle Prime e, tra tante figure della buona società bolognese, l’amico Pierferdinando Casini, gioviale come sempre, con cui scambiamo un ricordo per il comune amico Cometti e per i destini della democrazia, il Sovrintendente Macciardi, affabile come sempre, che effettua una efficace presentazione dell’opera e poi corre a prendere il neo-sindaco Lepore, brillante come sempre, al suo primo spettacolo da “padrone di casa”.

Ah che bello. Siamo proprio quasi tornati alla normalità. Ma vediamo ora il piano artistico. Grazzini ci prende, e si vede fin da subito. La scenografia frontale “alla Vick” inizia con un bel coup de theatre: la composizione virtuosistica della prima scena con l’esterno della famosa casa di Rosina, ove il Conte d’Almaviva vuole farle una serenata; scorrono i componenti ed ecco tutto costruito. Figaro, il solerte tuttofare interessato e ironico, ben animato dalla verve dell’interprete, ottimamente attrezzato vocalmente, abbandona l’attività di potatura siepi e si dà da fare per il successo della seduzione canora del nobile innamorato.

È solo l’inizio delle note gag e delle grandi arie rossiniane di “Barbiere”, del bello spirito dell’opera e dell’ottima interpretazione musicale e canora del cast. E tutto scorre benissimo. Le ambientazioni e le luci danno quel senso iperrealistico che troviamo nelle case di Edward Hopper e che tolgono la polvere a una iconografia ovviamente consueta, senza illeziosirla e stancare. Perché a questa Prima ci sono tanti giovani, e questo è bellissimo ma anche rischioso. Forse, infatti, sappiamo come ragionano, i futuri utenti del teatro… Di certo, come noi ai loro tempi, sono orgogliosi del loro pensiero moderno ma, a differenza di noi all’epoca, non lo esprimono sotto forma di polemica o di ribellione: lo tengono dentro e formulano poi gravi, taciti giudizi. E Grazzini riesce a tenere dritta la barca anche rispetto a questo. Ed è una grande Prima.

Una vera rinascita.

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