Scrivo, oggi, con una nuova pietra sul cuore, dopo un nuovo lutto nell’ambiente lavorativo. Purtroppo, quello che è successo nel porto di Genova Pra’, non è l’unico incidente, con risvolti tragici, in questi giorni. Purtroppo ve ne sono anche altri, e non solo negli ambienti lavorativi. Tutte queste tragedie, comunque, sono accomunate da un fattore importantissimo, spesso tralasciato consapevolmente con la scusante dell’esperienza. Questo fattore si chiama ” SICUREZZA”. Eppure non si parla d’altro, ovunque. Oggi ho sentito voci importanti gridare “omicidio”. Altre gridare “ci stanno uccidedo”. Ma chi? Domando io. Nessuno ha imbracciato un fucile o ci ha puntato un coltello alla gola. Nessuno ha ordinato “gettati tra due camion” oppure “guida contromano e fari spenti di notte”. La sicurezza non si improvvisa. Si segue, passo passo. Si fanno rinunce, pur di non farsi male. A chi dare la colpa delle disgrazie? I primi a doverne rispondere dovrebbero essere quelli che, nonostante si debbano rispettare alcuni parametri, non la menzionano mai, anzi, denigrano chi si attiene alle norme di sicurezza, adducendo che, rispettandole, si perde molto tempo, ed il tempo è denaro. Quindi si lavora sempre in fretta, sotto pressione, senza tregua. I secondi sono quelli che non impongono la sicurezza, gli addetti. Quelli che, ai corsi, ti martellato sui comportamenti. Cosa fare e come farlo. L’utilizzo di attrezzature conformi, in luoghi protetti, nei metodi giusti, e poi, guarda caso, quando succede qualcosa, si barricano dietro ad un “io lo avevo detto”. Ma ca…! Ma dov’eri quando questi stavano per morire? Cosa facevi mentre questi non rispettavano il regolamento? Non eri presente! Ma i peggiori sono quelli che vantano un corso superiore, un attestato come addetto alla sicurezza, e poi, come nulla fosse, si comportano all’opposto. In alcuni casi delle normative non gliene frega nulla. Prendete la ragazza morta nel telaio. Il macchinario era stato manomesso da un tecnico ed approvato dell’addetto alla sicurezza. L’incidente di ieri, al PSA, era coordinato. Tre operatori stavano collaborando. Il deceduto era addirittura il responsabile. Era in una posizione altamente a rischio. Non fraintendermi, per carità! Sono amareggiato. Ma ci si aspetta che, un tecnico con tanta esperienza, stia sempre in sicurezza. Probabilmente, proprio l’esperienza, ha giocato a sfavore. Se a me piace correre in moto, sulle strade pubbliche, incurante di cartelli, velox, semafori, curve, asfalto viscido, polizia che mi ferma, strasicuro di aver l’esperienza dalla mia, ecc, prima o poi faccio il botto.
Inutile poi piangere, disperarsi, dare la colpa agli altri. Non ci sarà mai nessuno che potrà obbligarvi a salire su un’impalcatura arrampicandosi all’esterno, senza imbracatura o attrezzatura adeguata. Lo farete a vostro rischio. E finché ci sarà chi lo farà scordiamoci le norme di sicurezza. Minacciano il licenziamento? Rivolgersi alla forza pubblica. Immagino che sia utopia, ma, quando ritenete possibile un eventuale incidente, fatelo presente. Questo è uno dei motivi per cui si ripiega su personale “ambiguo” in molte aziende. Invece, vorrei ricordare quello che i nostri vecchi ci hanno tramandato. Oggi sarebbe chiamato lavoro minorile, ieri si chiamava aiutare il proprio papà, la famiglia, dare un piccolo contributo, ti consentiva di conoscere il valore delle cose, del sacrificio, dei soldi… della fatica che occorreva per guadagnarli. Oggi dovremmo cercare nuovamente l’umiltà. Riposta da qualche parte e mai più cercata