Due Chiacchiere con l' Arte

Fabrizio Rossi

Sinossi:
Il romanzo racconta le esperienze che, tra l’estate del 2016 e la primavera del 2018, segnano la vita di Demetrio Scarlatti, insegnante di sostegno in una comunità scolastica opprimente e frustrante, specchio di una società intossicata dall’ipocrisia e da una diffusa assenza di senso. Una serie di eventi drammatici: l’uso e lo spaccio di droghe leggere, lo scambio di immagini pornografiche sui social media, il bullismo e il tentativo di suicidio di un’alunna, coinvolgono Demetrio e i suoi alunni in un difficile percorso all’interno di una comunità scolastica che mostra tutta la sua inconsistenza e la sua debolezza. Nell’incipit, Demetrio riflette sul proprio modo di essere: “Non sono una bella persona…” confessa, rimproverandosi la mancanza di coraggio e l’incapacità di prendere parte con decisione e fino in fondo. Demetrio è introverso, diffidente e solitario, la vita lo ha deluso. Le scelte professionali lo hanno costretto a compromessi e rinunce che hanno plasmato il suo carattere, rendendolo arrendevole nei confronti dell’ipocrisia e delle criticità che caratterizzano il sistema scolastico. Lo scontro rischia di diventare impari quando Demetrio intuisce che l’antagonista potrebbe essere non il singolo individuo, ma l’intera comunità ormai assuefatta all’ipocrisia e alla manipolazione della verità. Il romanzo termina lasciando il protagonista ad un bivio: Demetrio ama il proprio lavoro ed è consapevole della dignità della sua professione, ma la sua tendenza alla malinconia e al pessimismo lo spingono verso un ripiegamento su sé stesso e la propria memoria. Questa è la scelta di fronte alla quale si trova Demetrio all’epilogo del romanzo e che ci lascia immaginare possibili sviluppi futuri.
Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi narrati sono il frutto dell’immaginazione dell’autore. Qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi o defunte, eventi o luoghi esistenti è da ritenersi puramente casuale; ciò nonostante, tutti gli eventi narrati hanno le loro radici nelle esperienze e nella vita dell’autore; il romanzo dunque è finzione ma, attraverso l’artificio, cerca di svelare la realtà.

Biografia:

Sono nato ad Andria nel 1957 e risiedo a Canosa di Puglia; in pensione dal primo settembre 2024, sono stato insegnante di sostegno in servizio presso l’IIS “L. Einaudi” di Canosa di Puglia. Sono interessato alla scrittura autobiografica e all’applicazione del metodo Feuerstein. Nel 2108, in collaborazione con Gerardo La Porta, ho pubblicato con Ericksonlive il saggio breve “I naufraghi, impressioni di un anno di sostegno didattico”. Nel 2022, in collaborazione con Gerardo La Porta, ho pubblicato con la Casa Editrice Il filo di Arianna “Due vite in quarantena”, una scrittura autobiografica condivisa.

Domande:

Ci parli del libro?

“Un anno difficile per il prof. Scarlatti” fa parte di una serie di tre opere dedicate alla scuola. Le prime due: un saggio sulla comunità scolastica e un’autobiografia condivisa, sono state scritte in collaborazione con Gerardo La Porta, un mio ex alunno. Nelle prime due opere ho affidato all’alunno la scrittura di uno dei capitoli del libro; le due scritture, la mia e quella del coautore, sono rimaste separate e i due autori hanno dialogato a distanza. Per tenere in vita la collaborazione fra i due autori sarebbe stato necessario uno sforzo ulteriore: la fusione delle due voci in un’unica voce, ma l’impresa si è rivelata ardua e le nostre strade si sono separate. Il romanzo narra le esperienze che, tra l’estate del 2016 e la primavera del 2018, segnano la vita del protagonista: Demetrio Scarlatti, un insegnante di sostegno, introverso, diffidente, solitario che, nonostante l’età avanzata – possiamo immaginare che abbia circa cinquanta anni – è ancora alla ricerca della sua strada. Nel corso di un difficile anno scolastico, Demetrio e i suoi alunni vengono coinvolti in eventi drammatici che svelano l’inconsistenza e la debolezza della comunità scolastica. Demetrio non riesce ad inserirsi nel tessuto sociale della scuola, le sue relazioni con i colleghi tendono a diventare conflittuali; lo scontro con la comunità si inasprisce e raggiunge l’apice quando Demetrio intuisce che l’antagonista potrebbe essere, non il singolo individuo, ma un mondo ormai assuefatto all’ipocrisia e alla manipolazione della verità. Il romanzo ha come sfondo una scuola immaginaria; gli eventi narrati, anche se trovano precisi riscontri nella mia esperienza e nelle cronache di tutti i giorni, sono del tutto immaginari. Eppure, non credo che la scuola, con tutti i suoi problemi, sia il nucleo centrale del romanzo. Come bene intuisce la professoressa Maria Franco, che mi ha fatto l’onore di scrivere la prefazione, “Un anno difficile per il professor Scarlatti” è un romanzo di formazione e racconta l’evoluzione del protagonista che intravede nella scuola i segni di una crisi, immagine speculare di una più profonda crisi che turba la società nel suo complesso. Fra le principali cause della crisi del sistema scolastico, Demetrio indica il progressivo allontanamento della scuola dai luoghi in cui si elabora il pensiero pedagogico e didattico. La scuola tende ad arroccarsi sempre più in un fortino dove i gesti, nonostante il passare del tempo, si ripetono sempre uguali e dove le idee della pedagogia e della didattica vengono fagocitate e trasformate in sterili adempimenti burocratici. L’autoreferenzialità del sistema viene celebrata dalla ripetizione passiva di una ritualità sempre più priva di un vero significato didattico e pedagogico. Demetrio avverte l’incapacità della scuola di essere comunità, l’incapacità di essere una di quelle formazioni sociali di cui parla la nostra Costituzione. Egli intuisce che la battaglia per l’attuazione dei principi, dei valori, delle idee, deve essere combattuta nella coscienza di ognuno di noi, e vede nell’indifferenza e nella mancanza di cura (di sé stessi e degli altri) i principali ostacoli che impediscono alla scuola di assumere il ruolo che realmente dovrebbe avere nel territorio. Demetrio intravede la luce di una possibile evoluzione positiva proprio quando scopre il profondo valore della relazione educativa, una relazione fondata, appunto, sulla cura e sull’attenzione. Però, il suo carattere solitario, la sua disillusione, frenano i suoi impulsi ideali e lo spingono a trovare nella memoria, nella contemplazione dei ricordi, il rifugio dai conflitti e dai problemi che non riesce a risolvere, e di fronte ai quali si accusa spesso di non saper prendere parte con la dovuta determinazione. È su questo terreno che si sviluppa il conflitto interiore. Demetrio è cosciente degli impulsi ideali con cui vorrebbe progettare il futuro e modificare il mondo in cui vive, ma ancora non
è pronto; per modificare il mondo dovrebbe modificare sé stesso, il suo modo di essere, dovrebbe riuscire a fondere in una riflessione matura la sua visione del futuro e i significati che si sono accumulati nella sua storia passata. Demetrio non è ancora riuscito a distillare dai ricordi il loro autentico significato; egli non è ancora pienamente consapevole della necessità di tessere le storie della sua vita – tutti i diversi modi di essere che hanno colorato le sue storie – in un disegno organico in cui gli episodi possano trovare il loro posto in una storia ricca di senso. Questo è il bivio di fronte al quale si trova Demetrio all’epilogo del romanzo e che ci lascia immaginare possibili sviluppi futuri.

Questo racconto, rispecchia la sua visuale del mondo oggi? Se si perché?

Ho iniziato a lavorare a questo romanzo subito dopo aver scritto un’autobiografia condivisa, in collaborazione con Gerardo La Porta; i germi di quell’esperienza hanno continuato a vegetare anche nel romanzo e, per quanto abbia tentato di allontanarmi dal mio personale vissuto, inevitabilmente, i miei ricordi e le mie esperienze hanno lasciato la loro traccia nella narrazione. Eppure, credo che le percezioni e le opinioni del protagonista – ma non solo del protagonista – rispecchino solo parzialmente la mia visione del mondo. Sicuramente ci sono dei punti in comune tra la mia visione del mondo e quella di Demetrio, somiglianze ci sono anche con il punto di vista di Gennaro, un collega di Demetrio. Ma in me vedo una testardaggine, una determinazione a seguire le mie idee fino in fondo e a non tradire i miei sogni, che in Demetrio mancano, o sono presenti ancora come germi che potrebbero, forse, svilupparsi in futuro.

Dove nasce il protagonista? Si rivede in lui?

Il protagonista è nato e ha preso forma da una precedente esperienza di narrazione autobiografica. Ma, nonostante il mio personale vissuto e la mia visione del mondo si siano infiltrate nella narrazione e abbiano contribuito a plasmare la figura del protagonista – Demetrio è il nome del mio nonno materno e Scarlatti ricorda Rossi – man mano che procedeva la costruzione del romanzo, parti di me sono state disseminate anche in altri personaggi: in Gennaro, per esempio, e forse anche in Giacomo, l’alunno. A Demetrio ho regalato – e non so quanto me ne sia grato – la particolare attitudine a contemplare i ricordi e a conservarli gelosamente in un altarino allestito nell’angolo più intimo del mio animo, indizio di un temperamento ozioso, forse, ma penso che ciascuno di noi abbia diritto ad una certa quantità di difetti e di peccati. Sia Demetrio che Gennaro sono stati influenzati dalla mia opinione decisamente negativa del nostro sistema scolastico; Giacomo, invece, potrebbe aver ereditato le mie difficoltà relazionali e il mio carattere tendenzialmente aspro e scontroso. Eppure, nonostante il mio personale vissuto e la mia visione del mondo si siano infiltrate nella narrazione, credo di aver tentato di dar vita autonoma ai personaggi cercando – non so quanto il mio tentativo sia riuscito – di non imbalsamarli nella macchietta e negli stereotipi.

Come mai l’avvento dei social ha peggiorato la società?

Non sono affatto sicuro che i social abbiano peggiorato la società; sicuramente, con l’avvento dei social, abbiamo dovuto confrontarci con problemi nuovi, e ai quali molti di noi non erano preparati; ad esempio: la velocità, la difficoltà di filtrare e controllare le reazioni emotive, il rischio della superficialità. Ma, l’aspetto più ambiguo e forse più inquietante dei social è la facilità con cui sostituiscono la comunità reale, quando e se esiste, con una comunità virtuale, in cui spesso non ci rendiamo conto del rischio di condividere con altri ciò che non abbiamo sufficientemente condiviso con noi stessi; una comunità in cui tanti espongono senza ritegno, e forse senza piena consapevolezza, le proprie pulsioni, le emozioni, gli aspetti più intimi e meno razionali del proprio modo di essere. Mi torna in mente una bella vignetta di Giuseppe Novello, in cui l’artista immagina e disegna ciò che vedrebbe “Se a teatro ascoltassimo l’opera come l’ascoltiamo per radio a casa nostra”. Ebbene, l’ambiente dei social non è così pacificamente casalingo e borghese, perché la nostra interiorità, molto spesso, non è né tranquilla né razionale; le tempeste del nostro cuore – mi permetto di parafrasare le parole del Conte di Luna nel Trovatore – sono assai più violente e pericolose delle ingenue trasgressioni al galateo immaginate da Novello. Vivere in comunità significa imparare a condividere, con sé stessi e con gli altri, i propri pensieri e le proprie emozioni. È questo il punto, a mio avviso, non sono i social i colpevoli del peggioramento della nostra società; la nostra società è, per così dire, peggiorata per conto suo. I social hanno potenziato questa deriva e l’hanno
resa più evidente e più veloce, ma il processo era già in atto, il logorio del tessuto sociale era già iniziato. Chi ha immaginato e desiderato la comunità in cui viviamo, ne ha delineato le caratteristiche nella nostra Costituzione, eppure, nonostante le periodiche celebrazioni, nei comportamenti quotidiani, nelle coscienze, la nostra comunità sembra allontanarsi sempre più dai principi enunciati dai nostri padri costituenti. Si avverte, con una certa evidenza, l’incapacità della scuola di essere comunità, l’incapacità di essere una di quelle formazioni sociali di cui parla la nostra Costituzione. Credo che questo dubbio abbia radici lontane nel tempo: fin dal secondo dopoguerra, intellettuali di diversa estrazione e con diversi orientamenti, si sono espressi in merito all’imperfetta attuazione dei principi della nostra Costituzione. Penso che la battaglia per l’attuazione dei principi, dei valori, delle idee, debba essere combattuta nella coscienza di ognuno di noi, l’indifferenza e la mancanza di cura (di sé stessi e degli altri) sono i principali ostacoli che impediscono alla scuola di assumere il ruolo che realmente dovrebbe avere nel territorio.
La scuola del 2024.

Credo che la scuola abbia dimostrato di essere un esempio di eccezionale resistenza ai tentativi di cambiamento; la scuola è un inespugnabile fortino in cui tutti i tentativi di riforma, dagli anni ’70 ad oggi, sono stati digeriti e trasformati in sterili adempimenti burocratici; basti pensare alle programmazioni didattiche, alla certificazione delle competenze, ai piani per l’inclusione. Eppure, questa eroica resistenza, a mio avviso, è la gabbia in cui la classe docente si è rinchiusa, barattando la valorizzazione della professione docente con dei miseri diritti acquisiti, ma forse sarebbe più realistico chiamarli miseri privilegi. Sono molto pessimista in merito al futuro della scuola, la scuola è ormai un sistema disperatamente autoreferenziale, ostile a qualsiasi forma di valutazione del merito (mi riferisco in particolare al merito dei docenti e dell’istituzione scolastica) e non riesco a credere che una politica dei piccoli passi e di un grossolano ricambio generazionale, possano realmente introdurre quei cambiamenti che potrebbero ridare dignità alla nostra professione.

La pornografia un degrado sempre più alla portata di tutti. Come spiegarla in un libro?

Credo che non sia semplice spiegare che cos’è la pornografia; bisognerebbe prendere in considerazione ed analizzare attentamente numerosi aspetti e diversi punti di vista. Il collegamento con la prostituzione e con la rappresentazione degli atti connessi alla mercificazione dei corpi e della sessualità, emerge dall’etimo della parola ed è uno dei principali aspetti della pornografia, ma non è l’unico; la rappresentazione più o meno esplicita del corpo, e dell’atto sessuale nelle sue diverse varianti, potrebbe essere considerato il limite, per altro assai sfumato e ambiguo, tra pornografia e erotismo. Ma, come la mettiamo con il clima culturale, con l’epoca alla quale ci riferiamo? Perché, in epoche diverse, il confine tra erotismo e pornografia si sposta. Nel 1957, l’anno in cui sono nato io, il bikini, il normale costume a due pezzi, era considerato indecente ed era vietato (troppo esplicito? Pornografico?). Non era nelle mie intenzioni scrivere un saggio sulla pornografia; nel romanzo, invece di spiegare e comunicare il mio punto di vista, ho preferito far emergere il modo in cui i personaggi, gli alunni principalmente, considerano la pornografia. Fa sempre bene guardarsi allo specchio, ogni tanto, e a mio parere un’immagine speculare del nostro modo di essere, come insegnanti, ce la offrono proprio i nostri alunni. Bisogna ascoltare i ragazzi, bisogna ascoltare i discorsi dei nostri alunni per rendersi conto che il linguaggio e i significati della pornografia hanno messo radici profonde e robuste nel lessico quotidiano dei ragazzi. Allora, se lo sviluppo cognitivo, culturale e morale, se i processi di apprendimento dei nostri alunni riflettono, sia pure parzialmente, il nostro bagaglio culturale e morale, ci rendiamo conto che il problema non è esclusivamente un problema dei nostri alunni e che il problema principale non è quello di spiegare agli alunni significanti e significati, ma quello di spiegare a noi stessi i nostri significati. Sono convinto che il problema non possa essere risolto con abbondanti dosi di lezioni frontali di educazione sessuale e di morale, credo, invece, che ad una possibile soluzione del problema si possa arrivare solo attraverso la progettazione di un ambiente che faciliti un’autonoma, originale e condivisa riflessione sui significanti e sui significati. Condividere le idee significa anche ascoltare le idee dell’altro, ascoltarle cercando di capire come si formano, ma è possibile ascoltare i pensieri degli altri solo se impariamo ad ascoltare, ad assaporare attentamente, i nostri pensieri.

Il bullismo un male che non abbiamo mai debellato. Come l’ ha incluso nel libro e perché?

Anche in questo caso io credo che dovremmo riflettere più attentamente sul significato delle parole. Se, per bullismo, intendiamo gli atteggiamenti di sopraffazione, fisica e psicologica, nei riguardi dei più deboli, io credo che dovremmo chiederci quali sono i contesti in cui questi atteggiamenti possono verificarsi. Credo che siano pochi i casi di contesti in cui, più platealmente che a scuola, le regole sono prive, o quasi, di conseguenze. La certezza del diritto e l’uguaglianza di fronte alle norme sono tra i principali fondamenti di ogni sistema democratico; nella scuola, invece, le deroghe ai principi sono forse più frequenti dell’osservanza alle norme, e non credo ci sia bisogno di farne l’elenco. Penso che proprio quando si perde il senso della comunità e delle regole che rendono possibile la convivenza civile all’interno delle comunità, al diritto si sostituiscono la legge del più forte e la sopraffazione. Anche in questo caso, a mio avviso, rischiamo di commettere errori di prospettiva. Quando parliamo di bullismo ci riferiamo sempre agli altri e in particolare agli alunni e ai ragazzi, dimentichiamo sempre la relazione che lega agli alunni gli adulti, in particolare i docenti. L’adulto è molto attento a individuare e a censurare i comportamenti scorretti degli alunni, ma troppo spesso dimentica la qualità della propria relazione con l’adolescente. Un altro aspetto credo che meriti di essere considerato attentamente: si confrontano spesso i giovani di oggi a quelli della nostra adolescenza, un’adolescenza distante pochi o molti lustri, a seconda dell’età di chi fa il confronto. I giovani che hanno popolato la mia adolescenza sono distanti più o meno cinquant’anni, ma credo di poter dire con certezza che, nei comportamenti di quegli adolescenti, me compreso, e nei comportamenti degli adolescenti di oggi, vedo più somiglianze e punti in comune che differenze. Certo, la disponibilità di tecnologie e l’accessibilità alle tecnologie, che all’adolescente di cinquant’anni fa sarebbero sembrate fantascientifiche, ha contribuito moltissimo a rendere più espliciti e diffusi determinati comportamenti che, in altri tempi, sarebbero rimasti latenti e, più facilmente, sarebbero stati coperti dall’ipocrisia. Eppure, anche allora gli adolescenti avevano accesso alla pornografia, sia pure più rudimentale e naÏve di quella di oggi; allora, in alternativa alle costose riviste patinate, c’erano i fumetti – provo a ricordare qualche titolo fra i più suggestivi: Hessa, Biancaneve e i sette nani… – c’era la prostituzione, c’erano casi di abuso e di odiosa sopraffazione, c’era la droga – ricordo un compagno di scuola che aveva gli occhi perennemente irritati da una vistosa congiuntivite, e solo grazie alle spiegazioni e ai pettegolezzi di un compagno più scafato, capii che quello era uno dei sintomi della frequente assunzione di hasisch. Allora, io credo, il problema vero non sono i giovani d’oggi, credo che il problema sia la nostra capacità di fare comunità e, soprattutto, di pensare insieme agli adolescenti e, insieme a loro, di imparare a pensare.

Dove troviamo il libro?

Il libro è reperibile nelle librerie su tutto il territorio nazionale, quando richiesto dai librai, inoltre, lo si trova nei principali canali di vendita online.

Progetti futuri

Al momento sono impegnato nella scrittura dal secondo volume del romanzo, il titolo dovrebbe essere: Lo strano caso del dottor Tramontano – Le nuove avventure del professor Scarlatti. Demetrio continua a disperdere le proprie energie fra diverse attività, l’ambiente scolastico passa in secondo piano e l’agricoltura biodinamica prende la scena e conduce il protagonista, attraverso conoscenze e amicizie, vecchie e nuove, in un percorso ricco di imprevisti, fino al drammatico evento finale.

Di Manuela Montemezzani

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