di FABRIZIO UBERTO
” Caro Fabrizio, si lo so adesso ti stupirai di aver trovato proprio qui, tra i fiori con cui tu meritoriamente allieti il mio loculo, questa lettera che ti ho inviato dal Cielo. Non crederai ai tuoi occhi, ma ti assicuro che è mia, sia pure concertata con Papà che anche quassù mi supporta e mi consiglia con la sua proverbiale saggezza.
Poiché talvolta ti vedo preoccupato, persino demoralizzato e tuttavia come sempre resiliente alle difficoltà della vita, ho deciso di scriverti queste poche righe, che sperano ti siano di sollievo e corroborino ancora di più l’innata tua forza di carattere.
Essendo tu dotato di sensibilità individuale e collettiva, spesso rifletti su temi apparentemente disparati, quali la vita, il suo senso profondo, nonché la democrazia, faticando a darti risposte convincenti e definitive.
Per aiutarti, ti dico subito che per me esiste un quid che accomuna quei temi ed è la loro estrema fluidità.
Democrazia e vita non sono uno status- quo, entità definite una volta per tutte: al contrario rappresentano una sorta di ” working in progress”, su cui quotidianamente occorre impegnarsi e lavorare.
E certo, sulla democrazia, sui pericoli di un suo svuotamento e di una degenerazione in sistema totalitario, ti do perfettamente ragione. Un Potere insofferente alle critiche e a quei pesi e contrappesi che dovrebbero contenerlo è assai preoccupante; come d’altronde appare inquietante il progetto di discriminare i cittadini in base alle diverse caratteristiche etniche o alle regioni di provenienza. Capisco pertanto la tua amarezza ma ricordati, come ti dicevo, che nel concetto stesso di democrazia, è insito qualcosa di incompleto, che come tale deve essere sviluppato, evoluto in sempre nuove forme di tutela sociale e di lotta contro le discriminazioni.
E la Vita, come ti dicevo, in questo assomiglia alla Democrazia: non può essere intesa in senso statico, come eterna ” confort zone” in cui rifugiarsi, per mettersi al riparo dalle temperie e dalla sua instabilità. Al contrario: essa si rigenera ogni mattina e sta alla nostra intelligenza emotiva smetterla di avvitarsi sul passato e sul futuro, ma godere del presente, del nostro peculiare modo di essere, senza aspettative di gratitudini o di particolari gratificazioni.
Fabrizio, lo vedo, sei spesso disorientato, dici di non aver chiaro il senso del tuo esistere. Ma perdonami, come puoi essere così cieco?
Occupi quasi tutte le giornate nel volontariato, ti prodighi ad aiutare persone in difficoltà, così come in passato hai fatto con i tuoi famigliari, brilli in creatività e nelle manifestazioni artistiche. Non è forse questo il senso profondo della tua esistenza?
Ho sentito che al mio funerale hai ricordato uno degli ultimi giorni della mia esistenza terrena. Fermandoci in un dehor per un aperitivo, a novant’anni suonati mi inebriavo ancora delle piccole cose che avevo intorno, del profumo del pitosforo, dei glicini e dei sapori irripetibili di quello scampolo d’estate: in una parola mi innamoravo ancora della vita, pur nei suoi ultimi preziosi istanti! E proprio su questo mi piacerebbe che riflettessi, poiché è la testimonianza più sentita che desidero condividere e che vorrei facessi tua!
Un grande abbraccio e arrivederci dalla tua cara Mamma”