ANTINOLFI
Blasonatura dello stemma
Scudo: sagomato
Arma: d’argento, alla torre di rosso, banderuolato dello stesso, affiancata a destra da un ramo di palma di verde, a sua volta decussato da una spada del secondo e accontonato da 3 stelle(5) dello stesso; a sinistra da un giglio di rosso, una corona all’antica d’oro e da una stella di rosso posti in palo; alla campagna di verde. Al capo d’azzurro, caricato da una corona da visconte d’oro
Motto: Memento audere semper
Contrassegni e decorazioni: lo scudo è accollato ad un’aquila bicipite imperiale d’oro, coronata d’argento e con infule d’azzurro, con uno scettro nella zampa destra ed un globo imperiale nella zampa sinistra del primo. Lo scudo è circondato dal collare dell’Ordine Imperiale dei Cavalieri della Gran Croce a destra e quello dell’Ordine Dinastico della Corona dei Cavalieri di Slobozia a sinistra. Dal collare pendono le decorazioni dell’Ordine Imperiale dei Cavalieri della Gran Croce, del Serenissimo Ordine Nobiliare dei Cavalieri di Malta e Cilicia e dell’ Ordine della Corona dei Cavalieri di Slobozia
Timbro: lo stemma è raccolto dentro un mantello con padiglione di rosso, foderato d’ermellino, frangiato e cordonato d’oro, raccolto in una corona imperiale d’argento
La dinastia degli Atenulfingi o Landolfidi
Gli Atenulfingi o Landolfidi furono una nobile famiglia longobarda, che governò gran parte del Mezzogiorno tra il IX ed il XII secolo. Discendono da Landolfo I di Benevento, i cui antenati sono sconosciuti e che morì nell’843. Furono Landolfidi le dinastie dei conti (poi principi) di Capua e di Benevento ed anche papa Vittore III. Nell’839 scoppiò una guerra civile nel ducato di Benevento. Landolfo di Capua si alleò a Siconolfo di Salerno e quando l’imperatore Ludovico II, nell’849, impose la divisione del principato, Capua fu assegnata al principato di Salerno. Ma gli eredi di Landolfo puntavano a sottrarsi all’autorità di qualsiasi principe e, nell’860–861 riuscirono a rendere indipendente la contea di Capua.
Estensione del Ducato di Benevento nell’VIII secolo. Rielaborazione da una mappa scolpita su marmo esposta sul campanile della chiesa di Santa Sofia di Benevento
(Principe Longobardo Atenolfo/Antinolfi)
Breve storia del Casto Antinolfi
Landolfo I senior detto Matico (grandi mascelle) capostipite della serie dei Conti e Principi Longobardi di Capua, + 843 Gastaldo di Capua Primo vero conte di Capua dal 815 al 843 fa costruire un castello, sul monte Palombara, che in onore di Sicone denomina Sicopoli. Ebbe quattro figli Landone, Pandone, Landolfo Atenolfo o Landenolfo I. (Tratto dal Dizionario Biografico Treccani)
LANDONOLFO I (LandenolfoI ). – Figlio del gastaldo di Capua Landolfo I, nacque probabilmente verso la fine del secondo decennio del secolo IX. È ignoto il nome della madre, mentre conosciamo i nomi dei fratelli: Landone (I), Pandone e Landolfo. Landenolfo aveva probabilmente raggiunto la maggiore età nell’ 843, quando suo padre morì: il cronista Erchemperto racconta che in quel periodo Landenolfo governava su Teano, mentre la guida di Capua era passata al fratello maggiore Landone. L’eventualità che in quella data Landenolfo fosse minorenne e che comandasse sotto la guida di un tutore è da escludere. Erchemperto infatti specifica che, allorché il gastaldo di Capua Landolfo morì, soltanto il figlio Landolfo, futuro vescovo e conte di Capua, era ancora un adolescente; anche un’altra fonte, i Chronica S. Benedicti Casinensis, riferisce che Landenolfo aveva già la carica di gastaldo. Nell’843 era in pieno svolgimento la guerra civile tra i Longobardi dell’Italia meridionale (839-849), che ebbe come conseguenza la divisione del Principato di Benevento in due parti facenti rispettivamente capo a Salerno e a Benevento. Il padre di Landolfo I si era schierato con i Salernitani nella speranza di emanciparsi dalla dipendenza da Benevento, e quando questi morì, la medesima condotta fu adottata da Landone I. Le fonti non sono molto ricche di particolari al riguardo e non riportano alcun dettaglio a proposito dell’impegno di Landonolfo. Quasi sicuramente anch’egli diede il proprio contributo contro i Beneventani. Pur avendo il controllo di Teano, Landenolfo con ogni probabilità non agiva come un governante autonomo, ma doveva essere soggetto a una qualche forma di dipendenza da suo fratello Landone, conte di Capua. L’unica informazione su Landenolfo, nel periodo di questo conflitto, è contenuta in un aneddoto riguardante il gastaldo di Capua Landolfo e i suoi quattro figli. Per stigmatizzare il desiderio di autonomia dei Capuani, Erchemperto racconta che, poco prima di morire, Landolfo chiamò i figli, fra i quali Landenolfo, al suo capezzale e disse loro che i Capuani avrebbero ottenuto benefici se avessero agito in modo tale che tra Benevento e Salerno ci fosse sempre guerra. Secondo il cronista, tale suggerimento avrebbe caratterizzato la condotta della dinastia fondata da Landolfo, perché i suoi figli lo trasmisero ai loro discendenti. In base agli accordi stabiliti nell’849 in occasione della suddivisione del Principato di Benevento, il territorio della contea di Capua doveva fare parte del Principato di Salerno, ma i Capuani approfittarono dei problemi interni a Salerno per rendersi di fatto indipendenti. Tale situazione non fu però più tollerata allorché nell’855 Ademario, principe di Salerno, formò un’ampia alleanza anticapuana, che includeva il duca di Spoleto Guido, il Ducato napoletano e in un secondo tempo gli Amalfitani e persino Landolfo, gastaldo di Suessola e figlio del conte di Capua, Landone. I Capuani riuscirono comunque a vanificare tutti i tentativi di conquista e l’unico a pagare un duro prezzo fu proprio Landonolfo. Egli infatti dovette sostenere l’attacco proveniente da Spoleto e fu obbligato a cedere Sora agli assalitori; pare che proprio per il dispiacere provocato da tali perdite Landenolfo sia morto. Non si conosce la data della sua scomparsa, ma essa dovette avvenire tra l’855-856 e l’859. A Landenolfo e a suo fratello Landolfo è attribuita l’iniziativa, avviata intorno all’856, di spostare la sede della contea di Capua dal centro fortificato sul colle Triflisco (dove era stata trasferita dal padre Landolfo) in un sito posto su un’ansa del Volturno, dove ancor oggi si trova Capua. I due fratelli avrebbero preso tale decisione in seguito a un incendio che aveva distrutto il centro abitato. In un primo momento Landone (I) si oppose a tale progetto, perché pensava fosse poco prudente abbandonare un sito facilmente difendibile, come quello sul Triflisco, per un luogo pianeggiante. Poco dopo però, dato che Landolfo e Landenolfo avevano ugualmente proceduto all’edificazione del nuovo centro, Landone cambiò idea e fornì un contributo determinante alla costruzione della nuova città. Si ritiene che Landenolfo fosse sposato con una figlia di Potelfrit, uno dei due figli di Dauferio il Profeta (Taviani-Carozzi, pp. 398 s.). Landenolfo ebbe tre figli: Landone (III), conte di Capua tra l’882 e l’885, Landonolfo, conte di Capua dall’885 all’887, e Atenolfo, conte di Capua (887) e principe di Capua e Benevento (900-910). (Tratto dal Dizionario Biografico Treccani)
Fonti e Bibl.: Erchempertus, Historia Langobardorum Beneventanorum, a cura di G. Waitz, in Mon. Germ. Hist., Scriptores rerum Langobardicarum et Italicarum, saec. VI-IX, Hannoverae 1878, pp. 242-244; Chronica S. Benedicti Casinensis, a cura di G. Waitz, ibid., pp. 474 s.; Il “Chronicon Vulturnense” del monaco Giovanni, I, a cura di V. Federici, in Fonti per la storia d’Italia [Medio Evo], LVIII, Roma 1925, p. 315; N. Cilento, La cronaca della dinastia di Capua, in Id., Italia meridionale longobarda, Milano-Napoli 1971, p. 298; Regesti dei documenti dell’Italia meridionale 570-899, a cura di J.-M. Martin et al., Roma 2002, n. 804; M. Schipa, IlMezzogiorno d’Italia anteriormente alla Monarchia. Ducato di Napoli e Principato di Salerno, Bari 1923, pp. 76, 79, 97; N. Cilento, Le origini della signoria di Capua nella Longobardia minore, Roma 1966, pp. 90, 98, 101 s., 127; M. Schipa, Storia del Principato longobardo di Salerno, in F. Hirsch – M. Schipa, La Longobardia meridionale (570-1077). Il Ducato di Benevento, il Principato di Salerno, a cura di N. Acocella, Roma 1968, p. 120; G. Cassandro, Il Ducato bizantino, in Storia di Napoli, II, 1, Napoli 1969, p. 82; I. Di Resta, Capua medievale. La città dal IX al XIII secolo e l’architettura dell’età longobarda, Napoli 1983, p. 48; Id., Il Principato di Capua, in Storia del Mezzogiorno, a cura di G. Galasso – R. Romeo, II, 1, Il Medioevo, Napoli 1988, pp. 161 s., 165; H. Taviani-Carozzi, La Principauté lombarde de Salerne (IXe-XIe siècle). Pouvoir et société en Italie lombarde méridionale, Rome 1991, pp. 55, 374, 382, 397-399, 402, 405, 736.
ATENOLFO I ( o anche Atenulfo, Atinolfo, Adenolfo, Adenulfo). – Nacque da Landenolfo I, gastaldo di Teano, e fu nipote di Landolfo il Vecchio, gastaldo di Capua (815-843), che era stato l’iniziatore di una numerosa dinastia, ricca di molte propaggini, di gastaldi e conti di Capua e poi di principi di Capua-Benevento. Dopo la morte dello zio Landolfo, vescovo e conte di Capua (862-879), il quale, legandosi a Ludovico II prima e successivamente a Giovanni VIII, aveva salvato l’integrità della contea attribuendole una funzione preminente fra i piccoli stati della Campaniá, i nipoti di lui, che egli era riuscito a tenere a freno, si combatterono accanitamente per la successione (879-887) in un periodo aggrovigliato nel quale, a fianco dei vari contendenti, intervennero tutti gli stati della Campania, papi, imperatori, saraceni, guideschi di Spoleto, bizantini, in un oscuro labirinto di leghe e controleghe. Appunto nel volgersi di questi anni Atenolfo, gastaldo di Calvi, esce dall’ombra e, con politica avveduta, sì adopera a trarre la contea di Capua da questa torbida fase della sua vita. Egli, in un primo tempo, si lascia attirare dal duca-vescovo Atanasio, di Napoli, il quale per qualche tempo è arbitro delle vicende politiche della Campania e da lui ottiene “ut adiuvaretur singulariter fieri comes in Capua”. Con un ardito colpo di mano, il 7 genn. dell’887, riesce a disfarsi dei fratelli e dei cugini e a porre fine alle contese domestiche. Il nuovo conte di Capua non si arrestò nella ascesa e si rivolse contro l’afleato di ieri, il duca Atanasio di Napoli, che occupava la “Liburia”, la fertile zona da tempo contesa fra Napoli e Capua. Battuto Atanasio nella battaglia di S. Carzio sulle rive del Clanio (888), nella zona aversana, Atenolfo riuscì a imporre il suo primato sui principati longobardi di Benevento e Salemo, sugli altri stati campani, e a difendersi dall’espansione bizantina. La potenza di Atenolfo contrasta con la decadenza degli altri principati longobardi Salerno è infatti entrata nell’orbita bizantina, mentre a Benevento le continue lotte di palazzo hanno impedito l’affermazione di una dinastia, finché subisce la dominazione diretta dei Bizantini (891-94) e poi quella di Guido IV di Spoleto (895-97). Il nuovo principe Radelchi II, imposto dalla sorella, l’imperatrice Ageltrude (aprile 897), con le sue rappresaglie contro le più potenti casate beneventane si privò del naturale sostegno per mantenere il suo potere: fu così che molti esuli trovarono accoglienza presso Atenolfo e lo sollecitarono a impadronirsi di Benevento. Il colpo fu attuato nel gennaio del 900 e Atenolfo fu acclamato principe in S. Sofia di Benevento. Si realizzava così, sotto una sola dinastia, che faceva capo ad Atenolfo, l’unità Capua-Benevento, la quale si sarebbe mantenuta per quasi tutto il secolo X. L’ascesa di Atenolfo non fu però senza contrasti, provocati dai bizantini che tentarono. di riprendere la città: uno dei figli di A. cadde vittima di un loro colpo di mano. Più grave fu la congiura che si organizzò contro Atenolfo intorno al vescovo di Benevento, Pietro: ma anche di essa il nuovo principe ebbe ragione e Pietro fu costretto ad esulare a Salerno. Nei dieci anni del suo principato l’azione più notevole di Atenolfo fu la lotta contro i Saraceni del Garigliano che egli attaccò, con il solo aiuto degli Amalfitani e senza successo, nel 903. Si diede poi a preparare una seconda e più decisiva spedizione, mando una forte coalizione di città della Campania e sollecitando l’aiuto dei bizantini, nei confronti dei quali aveva modificato il suo precedente atteggiamento. Venne a morte nel 910, quando il figlio Landolfo I, che si era associato nel principato, rientrava da Costantinopoli, dove era stato inviato dal padre per ottenere la partecipazione imperiale nella impresa contro la colonia del Garigliano. Ad Atenolfo I . Eugenio Vulgario, poeta vissuto fra l’887 e il 928, dedicò un carme amebeo, nel quale, con astrusi artifici retorici, ne celebrava le virtù. Introducendo la corregenza in odo che i figli potessero essere associati al governo dei padri. La contea longobarda di Capua divenne presto uno stato autonomo all’ interno del sacro Romano Impero , estendendosi su tutta la Terra di Lavoro fino al confine nord distinto dal fiume Garigliano, dominando su cittadine e borghi strategici, quali Caserta, Teana, Sessa Venafro e Caeinola. Inoltre, potenziandosi ulteriormente, arrivò a dominare anche sul Ducato di Napoli , su Montecassino e su Gaeta. Atenolfo I+ 883 Gastaldo di Calvi Duca di Capua dal 900 Principe di Benevento e capua. Dinastia Atemolfingia detta anche Longobardorum genti principes ramificata in vaste parentele collaterali, costituivano su un piano di parità un’aristocrazia militare. (Tratto dal Dizionario Biografico Treccani)
Fonti e Bibl. Relative ad Atenolfo I: Erchemperti Historia Langobardorum Beneventanorum, a cura di G. Waitz, in Mon. Germ. Hist., Scriptores rerum Langobardicarum et Italicarum, Hannoverae 1878, pp. 256 ss.; Catalogus comitum Capuae, ibid., pp. 499 S.; Poetae Latini aevi Karolini, a cura di P. de Winterfeld, ibid., IV, 1, Berolini 1899, p. 472; Chronicon Salernitanum, a cura di U. Westerbergh, Stockholm 1956, pp. 160 ss.; M. Schipa, Il Mezzogiorno d’Italia anteriormente alla monarchia, Bari 1923, pp. 103 ss.; N. Cilento, Le condizioni della vita nella contea longobarda di Capua nella seconda metà del IX secolo, in Riv. stor. ital., LXIII (1951), pp. 437 ss.; Id., La cronaca dei conti e dei principi longobardi di Capua…, in Bullett. d. Ist. stor. ital. per il M. E., LXIX (1957), pp. 1 ss, 47-52.
Casato Antinolfi
Il Casato Antinolfi vanta oltre 1.200 anni di storia diretta, come ben mette in luce la copiosa storiografia illustrata anche nel libro denominato “ Memorie Istoriche del Casato Antinolfi” “ I edizione” pubblicato dalla casa editrice “Creged Editore nel 2022”, relativo ai principi Atenolfo/Antinolfi di Capua e Benevento, essi seppero dare prova di grande longevità, preservando buona parte della propria identità. Le strategie messe in atto durante il dominio della dinastia consentì agli stessi di sopravvivere e mantenere i propri poteri fino al 1600 in tutta la Terra di Lavoro che nei territori meridionali che dominavano. Infatti, com’è noto, il Conte Landolfo I senior, detto Matico (grandi mascelle), fu il vero primo Conte di Capua, assurto al trono capuano nell’ 815.
Ma la storia del Casato Antinolfi non si ferma solo alla terra di lavoro e ai domini da loro posseduti nell’ Italia meridionale ma bensì, in data 29.08.2017 il principe Mauro VIII Antinolfi viene adottato con adozione Internazionale, d’Onore ed Araldica, (giusto decreto L.P. nr. 1222 del 29.08.2017, registrata in Ucraina in data 29.08.2017) e con abdicazione irrevocabile da parte di Czar Anton Romanov Rurikovitch Cazarevtche XI, della dinastia dominante durante la Rus’ di Kiev a partire dall’ 862, poi del Principato di Galizia-Volinia dal 1199, del Principato di Vladimir-Suzdal’, del Granducato di Mosca ed infine del Regno di Russia, a partire dal 1168 e dello Zarato Russo dal 1547.Quindi nominato Gran Principe e Czar dell’ Impero Medievale Russo e delle 198 province facenti capo all’ impero medievale Russo. Alla Storia del Casato si unisce la storia della Russia Imperiale che vanta oltre 1160 anni.
La famiglia Atenolfi o Antinolfi fu iscritta nell’Elenco Ufficiale Nobiliare Italiano nell’anno 1922. La Biblioteca Comunale “Renato Serra” della Città di Solofra ed in particolare il “ Centro Studi di Storia Locale del Comune di Solofra”, nel 2006, ha pubblicato la dispensa “Per una storia della famiglia Antinolfi”, opera delle Dr.sse Mimma De Maio e di Lucia Petrone, ove si afferma storicamente e ufficialmente che la famiglia Antinolfi proviene da Cava dei Tirreni (SA) e che il cognome Antinolfi deve intendersi Atenolfo, Atenolfi, Adenolfo o Adinolfi etc, in quanto facenti parte della stessa famiglia. (dispensa prot. nr.39 del 28.03.2006)
Le stesse Dr.sse De Maio e Petrone affermano che dalle ricerche effettuate presso l’archivi statari di Avellino e Solofra emergeva chiaramente che la famiglia Antinolfi si era impiantata a Solofra già nel XVIII secolo (1732), proveniente, appunto, dalla Città di Cava dei Tirreni.
La cittadina metelliana aveva già in passato fornito celebri costruttori per la realizzazione di alcuni palazzi e della famosa Fontana dei Quattro Leoni realizzata dai fratelli Nicola e Arcangelo Antinolfi 1733. Da loro tutta la discendenza Antinolfi di Solofra.
Questo è il collegamento ufficiale e storicamente documentato che chiarisce ufficialmente la diretta discendenza e l’appartenenza ai Principi di Capua e Benevento del Casato Antinolfi.
Infatti gli Antinolfi di Cava, discendenti diretti del Principe Mauro VIII, si spostano tra la Provincia di Salerno e quella di Avellino tra il 1700 e il 1800, rimanendo poi definitivamente in Provincia di Salerno (1878), il ramo, dove nasceva l’odierno principe.
Per grazia di Dio e per Diritto Ereditario, Capo di Nome e d’Armi dell’Imperiale e Principesca Casa, in virtù delle Imperiali e Sovrane prerogative che Ci pervengono per Diritto Ereditario, ed in virtù dei Nostri Diritti Riconosciuti dalla Magistratura Italia, Corte Superiore di Giustizia Arbitrale di Firenze – Tribunale Arbitrale Nobiliare Internazionale Organo Permanente della Corte Superiore di Giustizia Nobiliare Arbitrale di Firenze con sentenza nr. 15/2019 R.G. del 18.09.2019 e con deposito e registrazione presso il Tribunale Ordinario di Lagonegro (PZ) al nr. 22/2019 R.A.A. del 23.09.2019 e pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Basilicata nr. 36 dell’ 01.10.2019 pagina 216, e integrata dalla sentenza nr. 36/2020 R.G. del 07.12.2020 emessa sempre dal Tribunale di cui sopra e depositata e registrata presso il Tribunale Ordinario di Lagonegro al nr. 16/2020 R.A.A. del 28.012.2020 e pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Basilicata, BUR, nr. 1 del 01.01.2021 pagina 40, e Sentenza nr. 001/2022 R.G. del g.11.03.2022 del Tribunale Arbitrale Internazionale di Taranto e registrata e depositata presso il Tribunale Ordinario di Lagonegro (PZ) al nr. 1/22 R.A.A. del 15.03.2022, pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Basilicata, BUR, nr. 16 del 01/04/2022 pagina 62 e 63, unitamente alle prerogative spettantiCi connesse allo Jus imperii, jus gladii, jus maiestatis e jus honorum . Sentenze esecutive passate in giudicate estese nel territorio dei 156 Paesi, tra cui la Città del Vaticano in data 14.05.1975, aderenti alla Convenzione di New York del 10 giugno 1958 e resa esecutiva in Italia con Legge 19.01.1968 nr.62 nei modi e nei termini previsti dal Diritto Internazionale. Tali Sentenze riconoscono le qualità di soggetto materiale di Diritto Pubblico Internazionale e di Gran Maestro degli Ordini Cavallereschi dinastici – familiari ergo non nazionali ai fini della legge 03 marzo 1951 nr. 178 e Magnifico Rettore dell’Insigne Istituto Accademico Universitario Dinastico.
Il Casato è riconosciuto nella sua integrità e legittimata Internazionale dal Governatoriato – Morarchico Costituzionale (Reame del Commonwalth) di Antigua e Barbuda – Minister of Foreign Affairs, Immigration & Trade – , Hon E.P. Chet Greene, in data 24.09.2022 . Lo Stato di Antigua e Barbuda ha riconosciuto il Casato e le sue Sentenze e tutti i titoli nobiliari in capo a S.A.S. il principe Mauro VIII. Riconoscimento dello Stato Costituzionale Monarchico di Antigua e Barbuda il cui Capo dello Stato è Re Carlo III d’Inghilterra che riconosce le qualità di soggetto materiale di Diritto Pubblico Internazionale e di Gran Maestro degli Ordini Cavallereschi dinastici. Decreto pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Basilicata ( B.U.R.) nr. 59 del 16.11.2022 pagina 27e 28.
Anche la Repubblica Federale del Brasile con decreto datato 30.11.2022 ha riconosciuto i titoli e lo status di S.A.S. Mauro VIII, già internazionalmente riconosciuto come soggetto di Diritto Internazionale e Capo della Casa Antinolfi.
Il principe Mauro VIII vanta il riconoscimento nella piena legittimità da altre sentenze indirette in capo ai nobili Casati di seguito meglio indicati:
A Valdagno, in provincia di Vicenza, 28 maggio 2019, Samuele Lovato, riconosciuto nella piena legittimità dal Tribunale Nobiliare Internazionale, organo permanente della Corte Suprema di Giustizia Nobiliare Arbitrale di Bari, con sentenze del 29.05.2015- R.G.N. 0302 e con avviso nobiliare-conferimento di titoli nobiliari-estratto decreto di concessione nobiliare pubblicato sul bollettino ufficiale della Corte Suprema di Giustizia Nobiliare Arbitrale, anno IV, numero 9, del 15 settembre 2016;
Casato Guerrino-Perna ,legittimato e riconosciuto dal Tribunale Nobiliare Internazionale, organo permanente della Corte Suprema di Giustizia Nobiliare Arbitrale di Bari, con sentenze del 28.07.2015 e con avviso nobiliare-conferimento di titoli nobiliari-estratto, decreto di concessione nobiliare pubblicato sul bollettino ufficiale della Corte Suprema di Giustizia Nobiliare Arbitrale, anno III°, numero 5, del 15 dicembre 2015;
Casato Zaffiri, legittimato e riconosciuto dal Tribunale Nobiliare Internazionale, organo permanente della Corte Suprema di Giustizia Nobiliare Arbitrale di Firenze , con sentenze nr. 23/2020 R.G. del 27.02.2020 .
Casato MORRIS Zoboli, sentenza nr. 325/2020 del 26.05.2020 del Tribunale Nobiliare Internazionale, organo permanente della Corte Suprema di Giustizia Nobiliare Arbitrale di Bari;
Casato Di Giovine, sentenza del Tribunale Nobiliare Arbitrale Internazionale di Firenze, con sentenza registrata il 4.09.2020 e ancora con sentenza del 7.12.2020 .
Casato Calò Ducas, sentenza Tribunale Nobiliare Internazionale, organo permanente della Corte Suprema di Giustizia Nobiliare Arbitrale di Bari R.G. nr. 311/2017 del 13.11.2017.
Il Casato gode dell’Alta Protezione Spirituale e Riconoscimento della Santa Chiesa Bizantina Ortodossa, con decreto nr. 00007394 dell’anno 2017; della Chiesa Greco-Bizantina di Ungheria – con sede in Italia nella città di Valdagno, decreto del 18 settembre 2017; della Chiesa Cattolica Ortodossa Giudaica Indipendente di Ucraina, con decreto 753 del 29/08/2017; della Chiesa Anglo-Céltica Liberale, con sede nella Repubblica del Brasile, nella città di Aparecida; della Chiesa Cristiana Cattolica Ortodossa Ospitaliera di San Giovanni di Gerusalemme, nella persona di Sua Eccellenza Monsignor Lucas Rocco Massimo Giacalone Pro-Patriarca Arzobispo Metropolita Primado; della Sede Internazionale di Malta, in data 22 giugno 2018; del Tribunale Araldico Aristocratico Ecclesiastico Done At Yaounde (Nigeria) con Decreto nr. 00007395 del 27 settembre 2017. Infine Monsignor Dom Geovane Crisostomo (Luiz de Souza Martins), Primate Metropolitano della Chiesa Ortodossa Cattolica Bizantina in Brasile – IOCB –, Esarca e Metropolita Patriarcale della Chiesa Ortodossa Autocefala d’Europa in Brasile, in virtù delle prerogative e Successioni Apostoliche ed in conformità con i Canoni e le Regole della Santa Chiesa , con Bolla nr. – IOCB CNPJ (MF) 102/08185.065/0001-60 , in data 29 luglio 2019, ha decretato e riconosciuto Mauro VIII Antinolfi come Capo di Nome ed Armi del Casato Antinolfi, quale legittimo discendente dei grandi nobili d’Italia e sangue reale Antinolfi, con trattamento di S.M.R.I. (Sua Maestà Reale e Imperiale), con l’inalienabile Facoltà di Concessione anche di titoli, sostenuta dal proprio cognome di Antinolfi.
08.09.2022 registrazione nr. Tr1/2/P15 Pretoria South Afroca . Registrazione dello stemma presso The Tressure Roll Was established to offer international applicants a safe haver for the design ®istration of their personal heraldic
Alcuni titoli :——————————————————————————————————–
- Diploma di scuola media superiore di “ Ragioniere Perito Commerciale “”;
- Ho frequentati il corso di “ Tecniche di comunicazione di frunt line”” indetto dalla Prefettura di Potenza in data 12/12/2003;
- Ho frequentato l’istituto di scienze religiose anno accademico 1995”;
- Laure in Criminologia – scienze criminali università telematica WorlQuant University;
- Laurea C. in Teologia Università telematica di Porto (Portogllo);
- Laurea C. in Cause Umanitarie – presso United College Of Brazil Università privata FAUNB ;
- Laurea C. in Relazioni internazionali presso United College Of Brazil Università privata FAUNB ;
- Professore Onorario presso la cattedra Umanistica dell’United College Of Brazil Università privata telematica FAUNB – Brasile registrata al nr. 1280031BR del 12.05.2020;
Alcuni riconoscimenti ottenuto nel corso degli anni :——————————————————–
- Encomio Solenne concesso dalla Legione Carabinieri di Salerno in data 08/06/1979 per aver tratto in salvo 2 persone e recuperato nr.2 salme finite in una voragine apertasi sulla SS/653 Sinnica all’altezza di Francavilla in Sinni in data 12/01/1979;
- Diploma di benemerenza con medaglia concessa a testimonianza dell’opera prestata in favore delle popolazioni della Campania e della Basilicata colpite dal Sisma del 23/11/1980 conferita dal Commissario Straordinario per le zone terremotate della Campania e della Basilicata, Napoli 31/12/1981;
- Croce d’Argento per anzianità di servizio militare “ anni 16 “ concessa dal Comandante Generale dell’ Arma dei Carabinieri in data 31/12/1993 in Roma;
- Conferimento della croce con spade dell’ ordine al merito melitense con decreto nr.16094 del 30/01/1997 dal Sovrano Militare Ordine Ospedaliero di san Giovanni di Gerusalemme, di Rodi di Malta, sede di Roma in data 30/01/1997; ( Ordine di Malta)
- La Regione del Brandeburgo della Repubblica Tedesca in nome della Regione il Ministro conferisce il riconoscimento e il ringraziamento per l’attività di aiuto dato in occasione dell’ alluvione del 2002 e conferisce la “” ELBEFLUT MEDAGLIA “ . Firmato dal presidente dei Ministri – Matthias Patzeck nel mese Novembre 2002.
- Croce d’oro per anzianità di servizio militare “ anni 25 “ concessa dal Comandante Generale dell’ Arma dei Carabinieri in data 02/04/2004 in Roma;
- Attestato di merito concesso dalla “ MULTINATIONAL SPECIALIZED UNIT – HQ- RGT CARABINIERI – G9 – “ SFOR COOP . Detto attestato veniva concesso in Sarajevo ( BIH) in data 08/06/2004 durante la missione di pace in Bosnica in occasione della partecipazione alla raccolta e donazione di aiuti umanitari destinati alle popolazioni dei campi profughi della Bosmia e Herzegovina.
- Medaglia NATO per la partecipazione alla missione di Pace in Kosovo. Missione effettuata dal 25 febbraio 2008 al 08 giugno 2008;( Reg.Gen per la medaglia NATO.Documento IMSM-1015-99 del 24/08/1999)
- Croce commemorativa per il personale delle F.A. che abbia prestato servizio in una missione destinata al mantenimento della pace al di fuori del territorio nazionale in base ad accordi bilaterali per conto dell’ ONU. ( D.I. 06 ottobre 1986) . Missione effettuata in Kosovo dal 25 febbraio 2008 al 08 giugno 2008.
- Medaglia NATO “ MERITORIUS “ a seguito della partecipazione alle missione di Pace in Kosovo. Missione effettuata dal 25 febbraio 2008 al 08 giugno 2008;
- Croce d’oro per anzianità di servizio militare “ anni 40 “ concessa dal Comandante Generale dell’ Arma dei Carabinieri in data 05/062017 in Roma;
- Ministero della Difesa Direzione Generale per il Personale Militare III^ Reparto con decreto nr. 27291/C del 20/03/2013 concede la medaglia di bronzo al merito di Lungo Comando;
- Ministero delle Difesa Francese con decreto nr. Def/Cab/AABC/Deba/A3 del 04/ gennaio 2007 decreta il conferimento della medaglia “ De la Defese Nationle” . ( medaglia assegnata in base al decreto 82-358 del 21/04/1982 e successive modifiche)
- Ministero della Difesa Direzione Generale per il Personale Militare III^ Reparto in data 20/03/2018 concede la medaglia di argento 20 anni al merito di Lungo Comando;
- Legione Carabinieri Basilicata – Potenza concede medaglia di Argento per Comandanti di Stazione dei Carabinieri anni 15.
- Legione Carabinieri Basilicata – Potenza concede medaglia di Argento per Comandanti di Stazione dei Carabinieri anni 20.
- Il Presidente della Repubblica su proposta del Ministro della Difesa decreta in data 28/07/2016 la concessione della medaglia MAURIZIANA al merito di dieci lustri di carriera militare;
- Cavaliere dell’ Ordine al Merito della Repubblica Italiana concesso in data 02/06/2008.(L.3 marzo 1951 nr. 178 e s.m. e D.P.R. 13 maggio 1952 nr.458);
- Cavaliere del Santo Sepolcro di Gerusalemme conferito in data 28/10/2016;
- Croce con spade al merito del Sovrano Militare Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme di Rodi e di Malta con decreto magistrale nr. 16098 del 10/02/1997;
- Diploma al merito della Croce Rosso Italiana 064/08 concesso in Roma in data 03/06/2008;
- Medaglia di Bronzo al merito del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio; concesso in Napoli in data 29/06/2010 nr. 323/10.
- Riconoscimento Covid 19
- 08.2022 Lo Stato del Kentucky nominava colonnello Onorario del Kentucky USA .
Vari ed eventuali
Cartina della Russia Imperiale
Principe Rurikovitch
Il Casato enumera tra glia antenati più illustre
Primo abate ATENOLFO che si annovera come il 31°
Nella gloriosa storia del Casato Atinolfi troviamo anche due abati di Montecassino e due arcivescovi uno di Aversa e uno di Capua. Il primo fu ATENOLFO che si annovera come il 31 Abate di Montecassino che ha ricoperto l’incarico dal 1011 al 1022. Figlio di Pandolfo II, principe di Benevento, nella sua infanzia era stato preso da Ottone II quale ostaggio e custodito in un monastero transalpino. Ne fuggì travestito da monaco: ma, ammalatosi gravemente durante il viaggio, fece voto di non lasciare più l’abito monastico se avesse ottenuto la guarigione. Si ritirò quindi nel monastero di S. Modesto a Benevento, dipendente da quello cassinese, che lasciò, accompagnato dagli arcivescovi di Benevento e di Capua e dal padre, quando i monaci di Montecassino lo richiesero a questi come abate nell’anno 1001.Vir quanto nobilis, tanto humilis et humanus” lo dice il Chronicon: e difatti il suo governo fu ottimo. Atenolfo lui, quasi secondo fondatore, si deve la risurrezione di S. Germano (odierna Cassino), non ancora risollevatasi dalla distruzione saracena; a lui, che un diploma dei principi beneventani definisce “restaurator ecclesiarum”, devono pure il loro ristabilimento chiese e monasteri: in Montecassino soprattutto l’abate Atenolfo fece eseguire notevoli opere edilizie ricche di influssi dell’arte nordica; da lui inoltre furono curati trascrizioni di codici. Anche durante il suo governo e alla sua presenza si ebbe il ben noto “placitum castri Argenti” (1014), importante nella storia del diritto e per gli intervenuti al giudizio e per la sentenza pronunciata in base alle leggi romane e longobarde. Atenolfo, inoltre, si preoccupò costantemente di estendere le zone di influenza e i territori dipendenti dal monastero cassinese, ottenendo donazioni sia in Campania, sia in Abruzzo, sia, infine, in Capitanata. Nel febbraio del 1014 era a Roma, ove, in occasione dell’incoronazione di Enrico II, ottenne, sia da questo imperatore sia dal papa, due privilegi di conferma per i beni dell’abbazia. Ma quando, sotto il comando di Basilio Boioannes, le truppe bizantine presero in Puglia di nuovo il sopravvento sui ribelli guidati da Melo, Atenolfo non esitò, insieme col fratello Pandolfo, nuovo principe di Capua, a schierarsi dalla parte dei vincitori. Già nel febbraio dei 1018, otto mesi prima perciò della definitiva vittoria di Canne, il catapano bizantino emanava un privilegio a favore del monastero cassinese. Quando Pandolfo ebbe fatto atto di formale sottomissione all’imperatore d’Oriente, i. rapporti tra i Bizantini e Atenolfo divennero sempre più stretti, tanto da giustificare nel giugno del 1021 la donazione ai Cassinesi dei beni di un Maraldo ribelle in Trani. Dopo la vittoria bizantina su Melo, Atenolfo sfruttò la situazione assoldando parte dei mercenari normanni ormai liberi da impegno, e servendosene per combattere ì conti di Aquino e quelli di Venafro. L’atteggiamento troppo scopertamente filogreco assunto dal 1018 in poi compromise però gravemente la posizione di Atenolfo agli occhi di Enrico II e dello stesso pontefice. Atenolfo, poco dopo il 1014, costruì, davanti alla chiesa, un campanile alto ed ottimo, al cui piano intermedio pose un altare in onore della Santa Croce. Inoltre, accanto all’ingresso della chiesa, a destra e a sinistra di questo, realizzò due ambienti poggianti su colonne marmoree, nelle quali rispettivamente collocò un altare in onore della Trinità ed uno dedicato a San Bartolomeo apostolo (Chron. Cass., ed. H. Hoffmann, II libro, § 26). I lavori furono completati dal successore Teobaldo. Cosicché, quando nel 1022 l’imperatore scese nell’Italia meridionale, un corpo del suo esercito, agli ordini di Pellegrino arcivescovo di Colonia, fu inviato direttamente contro Montecassino e Capua, con il compito di arrestare sia Atenolfo, sia il fratello principe e di sottoporli a processo come traditori. Atenolfo, terrorizzato, tentò di fuggire a Costantinopoli: ma, imbarcatosi ad Otranto, naufragò miseramente con tutti i suoi compagni e con i tesori seco portati, fra cui diplomi e scritture, il 30 marzo del 1022.
Il secondo abate Atenolfo o Adenolfo che fu il 54
Il secondo abate Adenolfo che fu il 54 abate di Montecassino dal marzo 1211-agosto 1215 si adoperò perché qui sorgessero altre botteghe di artigiani sarti e venissero ripristinati il valcatorio e il mulino necessari alla locale comunità e anche alla sede principale, confermò i beni concessi dall’abate Raynaldo (1137-1166) e ne aggiunse molti altri trascritti in un diploma 30.
Atenolfo o Adenolfo nominato arcivescovo di Aversa
Atenolfo o Adenolfo nominato arcivescovo nel 981, nel 986 libera il monastero di San Lorenzo ad septimum di Aversa, fondato con le donazioni della principessa Aloara e di suo figlio Landolfo, dalla giurisdizione degli arcivescovi di Capua.
Arcivescovo di Capua Atenolfo II
Atenolfo II Vicario della Chiesa Romana nel 1013, fu eletto arcivescovo di Capua nel 1022. Favorì la riforma del clero e consacrò Leone Vescovo di Atina.
Papa Vittore III
VITTORE III papa (Desiderio di Montecassino). – Figlio del Principe Landolfo V di Benevento e Capua e nipote del Principe di Capua e Benevento Atenolfo nacque a Benevento 16 Settembre 1027. Si diede alla vita monastica a Cava dei Tirreni (SA) e quindi nell’abbazia di Santa Sofia in Benevento. Desiderio fu in relazione con i maggiori esponenti della riforma ecclesiastica ai tempi di Leone IX, particolarmente con il cardinale Federico di Lorena. Quando Federico, alla morte di Leone IX, fu eletto papa col nome di Stefano X, Desiderio gli succedette nella carica di abate di Montecassino (1058) e il 6 marzo 1059 fu elevato da Nicola II alla porpora cardinalizia. L’attività di Desiderio, uomo colto e anima di artista, ma sostanzialmente indifferente ai problemi politici e religiosi che si ponevano allora per la Chiesa, fu soprattutto caratterizzata dalle cure da lui rivolte all’abbellimento di Montecassino (che gli deve fra l’altro la basilica dedicata da Alessandro II il 6 ottobre 1071), alla raccolta di manoscritti, all’incremento da lui dato alla scuola degli amanuensi e dei calligrafi. In politica seguì una tattica ispirata a condiscendenza, conciliazione o compromesso verso i Normanni, a ciò spinto non tanto da un desiderio di riconciliare i Normanni alla Chiesa, quanto dal desiderio di garantire, mediante questa politica, la pace e la sicurezza per i territorî dell’abbazia. Negoziatore del ravvicinamento fra la S. Sede e Roberto il Guiscardo (Concilio di Melfi, 1059) corre ai ripari quando l’intesa, sotto il pontificato di Gregorio VII, fu spezzata. Quando Enrico IV, in pieno scisma (v. clemente 111; enrico iv; gregorio v11), scende in Italia, Desiderio, fedele anche in questo al suo proposito di mantenere a ogni costo la pace nell’Italia meridionale, non si perita di assumere una parte di conciliatore promettendo a Enrico (aprile 1082) di farlo incoronare da Gregorio. Questo atteggiamento meschino, così poco in armonia con la decisione politica gregoriana, fu formalmente disapprovato da Gregorio. Ugo di Lione afferma anzi splicitamente che Desiderio, in questa occasione, fu scomunicato. Comunque, si comprende come, morto Gregorio VII (25 maggio 1085), Desiderio fosse il meno indicato a continuare la sua politica. Gregorio VII aveva designato come suoi successori i cardinali Anselmo di Lucca, Odo di Ostia e Ugo di Lione. Ma quando, il 24 maggio 1086, dopo un anno di vacanza, i cardinali gregoriani, approfittando della lontananza da Roma di Clemente III, furono in grado di riunirsi protetti dalle armi del normanno Giordano da Capua, le pressioni di questo furono più forti della volontà di Gregorio, e Desiderio fu eletto col nome di Vittore III. Appena eletto, V. fugge a Montecassino. Solo il 21 marzo 1087 al concilio di Capua, nonostante le incertezze di Desiderio e l’opposizione decisa dei gregoriani puri in prima linea Ugo di Lione – che non perdonavano a Desiderio il suo atteggiamento verso Enrico IV e l’inframmettenza di Giordano – l’elezione fu confermata in circostanze poco chiare. Consacrato a Roma il 9 maggio 1087, Vittore si ritirò subito a Montecassino e fece a Roma rare apparizioni sempre contrastate vivacemente da Clemente III. L’unico atto del suo pontificato (concilio di Benevento del 29 agosto 1087) è una riconferma esplicita delle direttive politiche di Gregorio (scomunica di Clemente III, condanna delle investiture laiche, nullità delle elezioni simoniache). Ma, nonostante questo, è certo che l’essersi alienato tanti elementi di prim’ordine (a Benevento i cardinali Ugo di Lione e Riccardo di Marsiglia, che non avevano voluto riconoscerlo, erano stati scomunicati), l’inerzia spirituale, la mancanza di coraggio e un temperamento meschinamente accomodante, mostravano Vittore come assolutamente inadatto a fronteggiare la situazione e ad approfittare di quelle stesse circostanze favorevoli che si erano andate facendo luce, in Germania e in Italia, dopo la morte di Gregorio VII. La sua permanenza sulla cattedra di S. Pietro avrebbe potuto essere esiziale agl’interessi della Chiesa; la sua morte (sopravvenuta a Montecassino il 16 settembre 1087) dopo solo quattro mesi di pontificato, permette di considerare la sua azione come un’insignificante parentesi fra l’azione di Gregorio VII e quella di Urbano II. Ci restano di Vittore alcune lettere, decreti e un’opera in foma di dialogo sui miracoli di S. Benedetto (Dialogus de miraculis s. Benedicti, in quattro libri, in Acta Sanctorum ord. s. Benedicti del Mabillon, IV, 11, pp. 425-461). ( tratto dal Dizionario Treccani)
Papa Vittore III con blasone Papale
Papa Vittore III, beato.
Come sostiene H.E.J. Cowdrey (L’abate Desiderio), l’attività di V. papa non si risolse in “un interludio torbido e incolore”, ma rappresentò un ponte di collegamento importante tra il pontificato di Gregorio VII e quello di Urbano II. Venerato come beato, il culto fu confermato da Leone XIII il 23 luglio 1887. La sua memoria liturgica viene celebrata il 16 settembre.
San Tommaso d’Aquino dei Conti Atenolfo d’Aquino
A Roccasecca, su uno sperone di roccia pendente sulla frazione di Caprile, sorge il Castello medievale conosciuto anche come Castello dei Conti Atenolfo d’Aquino perché da loro tenuto, abitato e fortificato. Ai primi dell’anno 1000 il castello venne ricostruito per iniziativa dei conti Atenolfo d’Aquino, restando tuttavia oggetto di contesa per oltre mezzo secolo. Nel Castello vi nacque Tommaso d’Aquino nel 1224, teologo e filosofo. All’esterno delle mura si erge la torre circolare di avvistamento e difesa, popolarmente detta il cannone; si narra che dopo il periodo di prigionia a Monte San Giovanni Campano, Tommaso Atenolfo d’Aquino, fu rinchiuso in questa torre perché la famiglia non voleva che entrasse nell’ordine dei frati domenicani. Appena fuori le mura, sotto la piccola torre cilindrica, sul crinale tra il Castello e la torre, si trova la tipica chiesetta medievale di Santa Croce, dove fu battezzato San Tommaso. Come detto Tommaso nacque nella contea di Atenolfo d’Aquino, corrispondente al territorio dell’odierna Roccasecca dei conti Atenolfo d’Aquino e della sua consorte Donna Teodora Galluccio. Benché il castello paterno di Roccasecca rimanga ad oggi il luogo più accreditato della sua nascita, diverse fonti medievali ne attestano comunque dei natali calabresi. La sua data di nascita 1224 sfortunatamente non ci è pervenuta con certezza, ma è stata stimata approssimativamente a partire da quella della sua morte, avvenuta appunto nel marzo del 1274. Secondo le usanze del tempo Tommaso, essendo il figlio più piccolo, era destinato alla vita ecclesiastica e proprio per questo a soli cinque anni fu inviato in qualità d’oblato dal padre nella vicina Abbazia di Montecassino per ricevere l’educazione religiosa e succedere a Sinibaldo in qualità di abate. In ossequio alla regola benedettina, Landolfo versò un’oblazione di venti once d’oro al monastero cassinese perché accettassero il figlio di una nobile famiglia e in tenera età. In quel luogo Tommaso ricevette i primi rudimenti delle lettere e fu iniziato alla vita religiosa benedettina. Fu proprio a Napoli, dove nel 1231 era stato fondato un convento, che Tommaso conobbe i Domenicani, ordine in cui entrò a far parte e in cui fece la sua vestizione nell’aprile del 1244. Quando il Maestro Generale dei Domenicani domandò ad Alberto di indicargli un giovane teologo che potesse essere nominato baccelliere per insegnare a Parigi, Alberto gli propose Tommaso che stimava sufficientemente preparato in scientia et vita. Sembra che Giovanni Teutonico abbia esitato per via della giovane età del prescelto, 27 anni, perché secondo gli statuti dell’Università egli avrebbe dovuto averne 29 per poter assumere canonicamente quest’impegno. Egli iniziò il suo insegnamento come baccelliere nel settembre di quello stesso anno, cioè del 1252, sotto la responsabilità del maestro Elia Brunet de Bergerac che occupava il posto lasciato vacante a causa della partenza di Alberto. Tra il 1265 e il 1268 soggiornò a Roma come maestro reggente. Nel febbraio 1265 il neoeletto papa Clemente IV lo convocò a Roma come teologo pontificio. Nello stesso anno gli fu ordinato dal Capitolo domenicano di Anagni di insegnare allo studium conventuale del convento romano della Basilica di Santa Sabina. Gli fu offerto l’arcivescovado di Napoli, che non volle mai accettare, continuando a vivere in povertà, dedito allo studio e alla preghiera. La famiglia Atenolfo d’Aquino era in rapporti con Federico II di Svevia che aveva istituzionalizzato la Scuola Medica Salernitana, primo centro di fruizione culturale degli scritti medici e filosofici di Avicenna e Averroè, noti al Dottore Angelico. Stabilendosi presso la sorella Teodora al Castello dei Sanseverino[14], tenne una serie di lezioni straordinarie nella celebre Scuola Medica che aveva sollecitato l’onore ed il decoro della parola dell’Aquinate. A memoria del suo soggiorno, nella Chiesa di San Domenico si conservano la reliquia del suo braccio e le spoglie delle sorelle. Il 29 settembre 1273 egli partecipò al capitolo della sua provincia a Roma in qualità di definitore. Ma alcune settimane più tardi, mentre celebrava la Messa nella cappella di San Nicola, Tommaso ebbe una sorprendente visione tanto che dopo la messa non scrisse, non dettò più nulla e anzi si sbarazzò persino degli strumenti per scrivere. A Reginaldo da Piperno, che non comprendeva ciò che accadeva, Tommaso rispose dicendo: «Non posso più. Tutto ciò che ho scritto mi sembra paglia in confronto con quanto ho visto». Dopo qualche giorno di viaggio arrivarono al castello di Maenza, dove abitava sua nipote Francesca. È qui che si ammalò e perse del tutto l’appetito. Dopo qualche giorno, sentendosi un po’ meglio, tentò di riprendere il cammino verso Roma, ma dovette fermarsi all’abbazia di Fossanova per riprendere le forze. Tommaso rimase a Fossanova per qualche tempo e tra il 4 e il 5 marzo, dopo essersi confessato da Reginaldo, ricevette l’eucaristia e pronunciò, com’era consuetudine, la professione di fede eucaristica. Il giorno successivo ricevette l’unzione dei malati, rispondendo alle preghiere del rito. Morì di lì a tre giorni, mercoledì 7 marzo 1274, alle prime ore del mattino dopo aver ricevuto l’Eucaristia. Le spoglie di Tommaso Atenolfo d’Aquino sono conservate nella chiesa domenicana detta Les Jacobins a Tolosa. La reliquia della mano destra, invece, si trova a Salerno, nella chiesa di San Domenico; il suo cranio si trova invece nella concattedrale di Priverno, mentre la costola del cuore nella Basilica concattedrale di Aquino. festa, 28 gennaio. Pio V lo dichiarò dottore angelico nel 1567.
Nell’era contemporanea il Casato si distingue
Il Casato nella storia contemporanea si occupa della distribuzione di borse di studio alle scuole medie di diverse città italiane; Effettua opere di beneficenza in vari Istituti assistenziali di diverse città italiane. Durante questi anni non ha sottovalutato altre più importanti iniziative, sia sotto l’aspetto umano che cavalleresco; esemplare fu il dono al Santo Padre, Giovanni Paolo II^, durante l’anno Giubilare 2000, di un calice in oro e argento, copia esatta del calice con il quale Sua Sanità celebrò la sua prima messa a Cracovia, appena diventato sacerdote . Il Casato in questa occasione , venne ricevuto nell’udienza Papale di mercoledì 15 Novembre 2000 alle ore 10,00 in Piazza San Pietro – Roma, dove venne consegnato il calice in questione a Sua Sanità, tramite il Cardinale Pedro Lopez Quintana, Assessore della Segreteria dello Stato del Vaticano – Prima Sezione Affari Generali. In data 21 Novembre 2000 il Santo Padre tramite il Cardinale Pedro Lopez Quintana faceva giungere la Sua benedizione al Casato e agli Ordini Cavallereschi dinastici della Casa, per il gradito dono. Riguardo alla partecipazione all’udienza, dal Santo Padre, vennero scritti diversi plausi sul giornale “la Nuova della Basilicata”. La Casa ha inoltre ottenuto un attestato di merito, dal SFOR – COOP Multinational Specialized Unit HQ – RGT Carabinieri – G 9 – di Sarajevo (BIH) in data 08 giugno 2004 con la testuale dichiarazione: “ In segno di stima e gratitudine per la sensibilità dimostrata e la collaborazione fornita in occasione della donazione di Aiuti Umanitari destinati alle popolazioni dei Campi Profughi della Bosnia e Herzegovina”; nonché attestato di Merito da parte di: Kfor Nato MSU, (Multinational Specialized Unit), Battaglione Carabinieri Bravo Coy di Pristina (Kosovo) in data 30 Aprile 2008 con la testuale affermazione: “ In segno di stima e gratitudine per la sensibilità dimostrata e la collaborazione fornita in occasione della donazione di aiuti umanitari donati, tramite il Battaglione, alla popolazione del Kosovo. Anche il Sindaco del Comune di Episcopia (PZ), Dr. Biagio COSTANZO, con lettera prot. Nr. 2241 del giorno 11/06/2015 ha voluto esprimere la sua Benemerenza nei confronti del Casato per l’organizzazione, l’assistenza e la beneficenza praticata. Nel 2009 il Casato ha ottenuto un attestato di merito dalla Protezione Civile O.N.L.U.S. “Valle del Sinni” ANPAS di Latronico (PZ) per aver partecipato all’attività di raccolta generi alimentari e coordinamento squadre durante l’emergenza in Abruzzo 2009, da Aprile a Settembre 2009, svolgendo con diligenza e devozione l’operato. La stessa Protezione Civile “Valle del Sinni-ANPAS”di Latronico (PZ) nell’anno 2012 ha concesso un ulteriore attestato di merito, per aver partecipato all’attività di coordinamento logistico dei volontari impegnati nell’Emilia Romagna presso i campi di Novi di Modena e Mirandola svolgendo con merito e devozione l’opera richiesta. Anche la confraternita della MISERICORDIA sede di Fiumicino (RM), ha voluto concedere al Casato un “ Diploma di Benemerenza “ prot. nr. 00078/2015 con la seguente motivazione: “ Per il riconoscimento delle attività espletate a tutela dei fondamentali interessi della collettività e per il miglioramento dell’efficienza e dell’efficacia volto alla salvaguardia delle attività nel campo benefico e umanitario nonché nel mondo della cultura”. Il Casato ha effettuato opere di bene in Brasile e in altri paesi dell’America Latina, in Africa tramite la Chiesa ortodossa Done At Yaounde (Nigeria) 27 Settembre 2017; tramite la Chiesa Anglo-Céltica Liberale con sede nella Repubblica del Brasile nella città di Aparecida; tramite la Chiesa Cristiana Cattolica Ortodossa Ospitaliera di San Giovanni di Gerusalemme nella persona di Sua Eccellenza Monsignor Lucas Rocco Massimo Giacalone Pro-Patriarca Arzobispo Metropolita Primado – dalla Sede internazionale di Malta in data 22 Giugno 2018; Infine Monsignor Dom Geovane Crisostomo (Luiz de Souza Martins) Primate Metropolitano della Chiesa Ortodossa Cattolica Bizantina in Brasile – IOCB – Esarcato e Metropolita Patriarcale della Chiesa Ortodossa Autocefala d’Europa in Brasile, in data 29 luglio 2018. Sempre il Casato assiste tramite le sue delegazioni in diverse parte del mondo numerosi ragazzi indigenti, in particolare della Nigeria, Gana e Libia. Infatti la millenaria storia del casato oggi contribuisce a diffondere la cultura delle tradizioni del Casato mediante varie altre attività, tra queste il patrocinio di importanti manifestazioni e opere di bene, come in quest’ultimo periodo con una lunga collaborazione instaurata tra la Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo e l’artista contemporaneo Gino Rodella che ha realizzato una tela di grande dimensioni raffigurante la Madonna Immacolata donata al Reparto di Pediatria dell’Ospedale. Il piccolo gesto veniva ampiamente riportato con grande risalto sull’organo ufficiale dell’Opera di San Pio sulla rivista denominata “La Casa Sollievo della Sofferenza” anno LXXII Aprile 2021. Non per ultimo il Casato patrocinava anche il XXX Festival di Giffoni (SA) denominato “Giffoni Festival Cultura e Musica” con il conferimento di un titolo ex novo, per il lavoro svolto in occasione della pandemia, al Prof. Varuscio, primario di Angiologia dell’Ospedale di Padova. Sempre nel corso del citato Festival veniva anche consegnato un crest del Casato al Sindaco di Giffoni, Dr. Antonio Giuliani, e all’Assessore allo spettacolo, Dr.ssa Angela Delle Donne, e inoltre, metteva in palio un premio per la prima classificata. Il 15.12.2021 il Casato partecipa e sponsorizza la serata di beneficenza denominata “Carosello di Natale “ che si è tenuto il Teatro Italiano di Francavilla Fontana e organizzato dal direttore artistico Mimmo Belle. 18.12.2021 presso l’Arsenale Repubblicano di Pisa spettacolo di beneficenza organizzato dalla Cavalleria Angelica dinastica e dal Casato Antinolfi . Spettacolo poliedrico mirato a raccogliere doni natalizi da destinare ai bambini speciali dell’ Ospedale di San Giovanni Rotondo – Casa Sollievo della Sofferenza – Reparto Oncologico e Ospedale Mayer di Firenze oltre all’ acquisto di una pedana mobile per l’associazione Assofly destinata al trasporto disabili. 19.01.2022 il Casato Antinolfi, unitamente ad altri sponsor, organizza e sponsorizza, con la Cavalleria Dinastica Angelica, il premio Mia Martini. 02.04.2022 il Casato con il Comune di Latronico partecipa alla campagna sull’ Autismo illuminando un monumento della comunità di Latronico di blù . Un segno per mettere in luce la complessa tematica che colpisce migliaia di famigli Italiane. Campagna di sensibilità e di raccolta fondi dal 28.04.2022 al 10.04.2022 con sms solidali al nr. 45592 per la ricerca sull’ autismo. 22.04.2022 il Casato partecipa alla giornata mondiale della terrà. Giornata istituita dalle Nazioni Unite nel 1970 per portare all’attenzione dell’opinione pubblica sull’ importanza della consapevolezza delle risorse e la salvaguardia dell’ambiente naturale. 24.04.2022 Terme di San Giuliano (Pisa) sfilata di modo contro la violenza sulle donne denominata “ moda senza confini “ – il calendario della rinascita a cui il Casato Antinolfi con l’Ordine dinastico della Cavalleria Angelica hanno partecipato patrocinando la manifestazione per la raccolta fondi. 05.10.2022 il Casato partecipa alla giornata del cuore presso le terme Lucane di Latronico. Evento organizzato dalla Protezione Civile Valle del Sinni di Latronico “ delegazione ANPAS; 25.11.2022 Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne a cui ha partecipato anche il Casato Antinolfi . Evento organizzato dall’ Istituto Comprensivo Benedetto Croce di Latronico e dal Comune omonimo; 14.12.2022 cena di beneficenza presso il ristorante “ Villa Caludia” sita in Contrada Piana Romana di Prietralcina (BN) Fondi raccolti donati alla Casa Sollievo della Sofferenza – Poliambulatorio di san Pio da Pietralcina di San Giovanni Rotondo (FG); 04.01.2023 in occasione del genetliaco, del sottoscritto, venivano consegnati pacchi dono per i bambini dell’ Ospedale Casa Sollievo della sofferenza – s.c. di Oncoematologia pediatrica di San Giovanni Rotondo . Doni acquistati con fondi raccolto in occasione di cene di beneficenza; 05.01.2023 consegna di doni per la befana per i bambini dell’ Ospedale Fatebenefratelli di Benevento; 06.01.2023 doni per la befana ai bambini dell’ Ospedale pediatrico di San Pio di Rummo di Benevento, doni sempre acquistati con il ricavato delle cene di beneficenza; 28 e 29 gennaio 2024 in Pomezia ( Roma) presso l’Hotel SHG Antonella il presidente dell’ Organizzazione per la Pace Universale, ambasciatore dell’ ONU, ha organizzato il congresso dal tema : “ Universal Peace Council European”. Durante tale congresso il Casato ha presentato una relazione sulla pace universale e sugli ordini cavallereschi dinastici del casato Antinolfi con illustrazione della millenaria storia del Casato; 12.04.2023 il Casato tramite l’organizzazione del Marchese Devis Paganelli ha concesso attestato al vincitore del talent denominato : “ sanremonewtalent 2023”; 28.04.2023 il concorso di : “ miss principessa d’europa” ha portato il blasone del casato. Manifestazione; 09.05.2023 il Casato unitamente al maestro Gino Rodella, artista, ha voluto realizzare e donare al Comune di Arquata del Tronto, colpito dagli eventi sismici del 2016, una pala che sarà posizionata nella chiesa principale della cittadina . La pala simboleggia il tema della rinascita; 10.05.2023 il Casato e gli ordini dinastici veniva ricevuti in San Pietro in udienza priva da Papa Francesco. 10.06.2023 il Casato con gli ordini dinastici ha sottoscritto un importante accordo con l’associazione : “ i medici di Padre Pio” di Pescara Gemellaggio firmato davanti alla reliquia di San Pio; 27,28 e 29.10.2023 XXII congresso sulla storia medievale e primo trofeo medievale del Casato Antinolfi. Manifestazione svoltasi a Monte Sant’ Angelo (FG); 04.01.2024 in occasione del gentilisco dello scrivente venivano consegnati pacchi dono ai bambini della Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo – Reparto di ongomatologia pediatrica. Stessa cosa in data 05.01.2024 alla Casa famiglia Manu di Castelvenere; 06.01.2024 il Casato e gli Ordini dinastici hanno voluto donare un momento di gioia ai bambini ammalati della Terra Dei Fuochi consegnando pacchi dono in presenza di S.E. il Vescovo di Aversa Angelo Spinello; 02.05.2024 Visita pastorale di S.E. Mons Vincenzo Orofino al casato e intitolazione del parco giochi di Latronico al Sacerdote don Giovanni Costanza. Il Casato continuerà la prezioso operato nei secoli futuri non dimenticando il passato anche attraverso i suoi Ordini Cavallereschi Dinastici e l’Insigne Istituto Accademico Universitario Dinastico di Araldica, Storia, Arti Antiche, Filologia e Critica Letteraria, concedendo a persone meritevole nei vari campi attestati di stima, cavalierati, titoli nobiliari e lauree honoris causa. Tutto questo grazie all’impegno del Suo principe Mauro VIII Antinolfi della stirpe Longobarda dei principi Atenolfo e del Czar Anton Romanov Rurikovitch Cazarevtche XI della dinastia dominante durante la Rus’ di Kiev e Principato di Galizia-Volinia,Principato di Vladimir-Suzdal’, del Granducato di Mosca ed infine del Regno di Russia dello Zarato Russo dal 1547 che ha adottato il principe Mauro VIII.
Mauro VIII Principe
Il Principe Mauro VIII della dinastia dei principi longobardi Atenolfo di Capua e Benevento, dietro la sua dimora imbandierata
I simboli del casato
Foto del principe Mauro VIII e della Sua Famiglia
I gastaldati longobardi nel Lazio meridionale dei Principi Atenolfo o Antinolfi Testo secondo Tommaso INDELLI (Università di Salerno)
La ricostruzione dell’organizzazione istituzionale e amministrativa dei territori del Lazio meridionale appartenuti al principato longobardo di Benevento e, poi, alla contea-principato di Capua è strettamente connessa alla formazione, nei territori della Langobardìa minor, di “signorie territoriali”, ovvero al problema della progressiva “polverizzazione” del potere pubblico, a seguito della suddivisione del principato unitario nelle tre compagini distinte di Benevento, Salerno e Capua. Secondo l’interpretazione storiografica “tradizionale”, il fenomeno della formazione di “signorie territoriali” nel Mezzogiorno longobardo fu determinato, essenzialmente, dall’indebolimento del potere centrale delle dinastie principesche, causato da conflitti civili, dalle incursioni musulmane e dalle guerre continue che contrapponevano la Langobardìa all’impero bizantino (Cilento 1966: 5 – 15, Poupardin 1907: 10 – 25). La base per la costituzione di queste “signorie” sarebbe stata rappresentata dai possessi terrieri dell’aristocrazia longobarda e dal possesso di uffici dell’amministrazione dei principati: i signori, quindi, “privatizzando” e “dinasticizzando” gli uffici e le relative attribuzioni, crearono le basi per la formazione di veri e propri “principati territoriali” (Figliuolo 1992: 49). L’insicurezza sociale, connessa ai conflitti suddetti, avrebbe favorito anche il fenomeno dell’ “incastellamento” e l’aumento delle fortificazioni edificate dai signori divenne un ottimo strumento non solo di difesa, ma anche di controllo politico-amministrativo della popolazione (Cilento 1966: 5 – 15). Secondo la “schematizzazione classica”, la formazione di vere e proprie signorie territoriali nel Mezzogiorno sarebbe individuabile nel passaggio, progressivo, dalla “signoria fondiaria” a quella “territoriale” (Cilento 1966: 5 – 15, Di Muro 2010: 70 – 75). La prima forma di potere – signoria fondiaria – consisteva nell’acquisizione legale o illegale, da parte dei signori, di potestà di tipo “pubblico” unicamente sui territori di loro esclusiva proprietà – dominium – e sulle comunità ivi stanziate, legate al signore, in genere, da rapporti di dipendenza economica di tipo contrattuale o consuetudinario. Questa tipologia di signoria sarebbe caratteristica della grande proprietà fondiaria (Di Muro 2010: 70 – 75, Rossetti 1977: 124 – 148). La seconda forma di potere signorile, molto più complessa – signoria territoriale o di banno – era caratterizzata dall’estensione del potere signorile ai territori e alle persone non direttamente pertinenti le proprietà fondiarie del signore, ma compresi in un vero e proprio territorio, il districtus. In quest’ultimo caso, il signore si trovava ad essere investito di poteri molto più ampi del semplice signore fondiario: i suoi poteri si configuravano come “territoriali”, esercitabili su una superficie vastissima, comprensiva di nuclei rurali, cappelle, chiese, monasteri, centri urbani e altri fondi, medi o piccoli, che non facevano parte, stricto iure, del suo patrimonio personale (Cilento 1966: 5 – 15, Di Muro 2010: 70 – 75). In ogni caso, il processo di progressivo passaggio dalla signoria fondiaria – Landsherrschaft – alla signoria territoriale – Gerichtsherrschaft – nella Langobardìa minor, si inquadrerebbe sullo sfondo di una società estremamente conflittuale e teatro di intense trasformazioni politiche, istituzionali e socio-economiche (Cuozzo 1987: 259 – 274, Loré 2004: 30 – 45, Martin 1980: 563 – 570, Poupardin 1907: 10 – 25). Questo costituisce lo “schema generale”, secondo la storiografia sul tema, della formazione delle signorie nel Mezzogiorno longobardo, schema che, come tutti gli schemi, pecca di generalità non tenendo conto del peso delle specificità locali nei fenomeni di frammentazione e riaggregazione dei poteri in forme nuove. L’indagine in esame intende soffermarsi sull’analisi dei processi che nel basso Lazio portarono alla formazione di gastaldati longobardi, come Aquino e Sora, resisi progressivamente indipendenti dal potere centrale dei principi di Capua, fino a costituire, nel X sec., vere e proprie signorie territoriali dotate di autonomia politica . Si conosce pochissimo della genesi dei gastaldati longobardi nella valle del Liri e in Val di Comino. In realtà sembra che, in origine, il gastaldato fosse uno solo, con capoluogo Sora, attualmente in provincia di Frosinone, conquistata assieme ad Arce e ad Arpino, nel 702, dal duca di Benevento, Gisulfo I (689-706) (Corradini 2004: 330, Paul. HL, VI, 27)5 . I territori annessi vennero organizzati in un gastaldato unico con capoluogo Sora, gastald ato che è menzionato, all’epoca della Divisio Ducatus dell’849, tra i gastaldati ricompresi nel principato di Salerno. All’interno dei confini del gastaldato era ricompresa, molto probabilmente, anche Aquino, annessa ai possedimenti beneventani, se non nel 702, già nel VI sec., al momento della distruzione dell’abbazia di Montecassino ad opera del duca Zotto (Paul. HL, IV, 17, Gasparri 1988: 44 – 45). Fino al 702 i centri suddetti rientravano nel ducato bizantino di Roma, che era parte del più ampio esarcato ravennate, appartenente all’impero bizantino. A partire dal 702 e fino al 787, anno della morte di Arechi II, primo principe di Benevento, non si conoscono nomi di gastaldi del Lazio meridionale (Corradini 2004: 330 – 335, Di Muro 2010: 10 – 11). Si deve però ricordare che, nel 787, Carlo Magno (768-814) ratificò un trattato di pace con il principe beneventano, in base al quale era prevista la rinuncia ad una serie di territori della Langobardìa a favore di papa Adriano I (772-795) (Gasparri 1988: 44 – 45, Indelli 2010:104 – 105). Tra questi territori, oltre Capua e Teano, erano contemplati proprio Arce, Sora e Aquino, ma né Arechi II, né i suoi successori pensarono di restituire al pontefice quanto pattuito (Gasparri 1988: 44 – 45, Indelli 2010: 104 – 105). Nell’849, al termine del conflitto decennale tra Benevento e Salerno (839-849) che segnò la scissione in due principati distinti del principato unitario di Benevento, il gastaldato di Sora fu assegnato alla sfera di influenza salernitana (Di Muro 2010: 10 – 11, Martin 2005: 50 – 55). Ben presto, però, Sora e il basso Lazio sarebbero passati sotto il dominio della contea di Capua, all’epoca retta da Landolfo I (Erch., 15). Questi, già gastaldo, assunse il titolo di conte di Capua e cominciò ad agire indipendentemente da Salerno, suscitando la reazione del principe Siconolfo (839-851 ca.) che, tuttavia, non poté ridurre l’avversario all’obbedienza (Di Resta 1988: 145 – 150, Erch., 14). Morto nell’843 Landolfo, la contea capuana passò al figlio, Landone I (843-860), che affidò il gastaldato di Sora al fratello, Landonolfo (Erch., 21-22). Questi governò Sora fino all’858, quando fu spodestato dal duca di Spoleto, che acquisì al suo dominio Sora, Arce, Arpino, Atina, Vicalvi, annettendo buona parte del Lazio meridionale ai suoi possedimenti (Erch., 47). Nonostante l’annessione di Sora e del suo territorio al ducato di Spoleto, rimase, invece, longobarda Aquino, che divenne il nuovo capoluogo gastaldale (Di Muro 2010: 10). I suddetti territori rimasero sotto il dominio spoletino fino alla seconda metà del X sec. e ritornarono sotto la sovranità di Capua durante il Principato di Pandolfo I Capodiferro (961-981) che ottenne dall’imperatore Ottone I (936-973) anche il possesso del ducato di Spoleto (967 ca.) (Cilento 1966: 70, Di Resta 1983: 30 – 55)6 . Ed è proprio sotto il Capodiferro che l’organizzazione e la ripartizione del territorio del principato di Capua in contee raggiunse una forma definitiva (Cilento 1966: 70)7 . Intorno al 970, quando Sora ritornò in possesso di Capua, è attestato un conte Ildeprando, figlio del gastaldo Ratchis, al governo della città, capoluogo dell’omonima contea (CMC, II, 6). Sora, quindi, non fu riaggregata al gastaldato di Aquino, ma andò a costituire una contea autonoma . Di Ildeprando comes non si sa nulla, esclusa la paternità, pertanto è impossibile ricostruire una “genealogia” del personaggio (CMC, II, 6). Nel 980, comunque, Ildeprando era morto, perché ai vertici della contea c’era il fratello, Ratchis (CMC, II, 6). La contea di Sora, agli inizi dell’XI sec., tentò di mantenersi fedele alla politica dei principi capuani, subendo incursioni ad opera dei Normanni, ma anche dei conti della Marsica che, più volte, ma sembra senza continuità, riuscirono ad assicurarsi il controllo di parti importanti della contea, occupandone porzioni di territorio e tessendo legami familiari con i conti (Di Muro 2010: 13 – 14, Sennis 1994: 5 – 35). Tuttavia, la frammentarietà delle informazioni possedute sulle vicende della contea di Sora, nella prima metà dell’XI sec., non consente di stabilire se vi fosse una continuità, almeno dinastica, tra i conti attestati tra la metà del X sec. e quelli dell’XI sec., i quali portavano antroponimi nuovi – Rainerio, Pietro, Gerardo – molte volte comuni a quelli dei conti della Marsica, sotto la cui influenza Sora era caduta (Sennis 1994: 5 – 35). Nella contea di Sora erano compresi anche i centri di Arpino, Vicalvi e Atina. Atina, poi, andò a costituire, dal 977, una contea autonoma (Di Muro 2010: 13 – 14). Infatti, è nel 977, che si ha, per la prima volta, notizia di una chiesa di S. Giorgio ubicata in comitatu atinense (CV, II, 173 – 174). Della storia della contea di Atina non si conosce molto, pertanto è difficile ricostruirne, in dettaglio, le vicende. Di Sora si può dire di più, anche se non si conoscono le ragioni specifiche che indussero il Capodiferro a promuovere Sora da gastaldato a contea. L’influenza amministrativa franca, forse, può costituire un’ipotesi, in quanto è probabile che Sora e il suo territorio fossero stati già ordinati in contea durante la dominazione dei Guidi di Spoleto (Sennis 1994: 5 – 35). Sta di fatto che l’origine di questa contea sembra essere decisamente “funzionariale”, pilotata dall’alto, dalla politica dei principi di Capua, in quanto la concessione a Ildeprando del titolo di comes Sorae sembra essere stata fatta proprio dal principe Pandolfo I e non per ratificare uno stato di cose già esistente (CMC, II, 6, Sennis 1994: 5-35). L’organizzazione della contea di Sora ricomprendeva alcune circoscrizioni minori: il gastaldato di Vicalvi e la “viscontea” di Arpino, affidata al governo di un vicecomes (CV, II, 173 – 174). Non si è in grado di stabilire che tipo di rapporto istituzionale intercorresse tra il conte e i titolari di queste “sotto-circoscrizioni”, cioè se fossero anch’essi investiti di pieni poteri di governo dei rispettivi territori (Sennis 1994: 35). Il gastaldato di Vicalvi è attestato, per la prima volta, nel 980, affidato al gastaldo Ratchis, fratello del conte di Sora in carica, Ildeprando (CMC, II, 6). Agli inizi dell’XI sec. la contea di Sora subì una vera e propria “metamorfosi” istituzionale, poiché fu trasformata in gastaldato. Non si hanno informazioni precise che consentano di rilevare se al cambio di denominazione si accompagnò anche una modifica delle funzioni e dei poteri del conte-gastaldo ma, soprattutto, ne sono ignote le ragioni, ricostruibili solo in via ipotetica. Come si è detto, la contea di Sora era caduta sotto l’influenza dei conti della Marsica che ne avevano occupato porzioni di territorio, imparentandosi con alcuni degli esponenti della famiglia comitale, attraverso lo strumento delle alleanze matrimoniali e profittando delle tristi vicende che funestarono il principato di Capua dopo la morte del Capodiferro, nel 981 (Cilento 1966: 70 – 85, Sennis 1994: 5 – 35). La penetrazione dei conti della Marsica nella contea iniziò alla fine del X sec., attraverso l’acquisto di alcuni beni ubicati nel territorio comitale, intorno al 987 (Sennis 1994: 112). Nel 988, il conte dei Marsi tenne un placito a Sora, capoluogo della contea (Volpini 1975: 329 -331). Forse, nel tempo, i conti di Sora furono costretti a riconoscere l’autorità dei conti della Marsica e iniziarono ad esercitare i loro poteri a titolo di “delegati” e, quindi, di gastaldi, non più di conti (Di Muro 2010: 13 – 16). Agli inizi dell’XI sec., è attestato il nome del gastaldo Pietro (1008 ca.), genero di Oderisio, conte dei Marsi, che risiedeva sempre più spesso a Vicalvi, anziché a Sora (Di Muro 2010: 13 – 16). Dopo la morte di Pietro (1020 ca.), primo “gastaldo” sorano a noi noto, gli successe Rainerio gastaldeus Soranae civitatis, forse suo figlio, che donò a Montecassino alcune terre ubicate a Isola del Liri e Rainerio è indicato, in una fonte, come “marchese” (Am. HN, I, 32 – 33, CMC, II, 32, Sennis 1994: 122 – 123). A Rainerio successe il figlio, Pietro II (ca.1030-1034), avversario dei Normanni che proprio in quel periodo si erano stanziati a Gallinaro, nel territorio di Atina, e compivano incursioni ai danni del gastaldato sorano (Sennis 1994:122 – 123). Dopo Pietro II è attestato Girardus – Petri filius – ricordato anche come dominus Sorae e ancora vivente nel 1043 (Antonelli 1986: 221 – 222). Non sembra che il titolo di dominus Sorae avesse un preciso significato “istituzionale” e, molto probabilmente, si trattava di un semplice titolo onorifico, cumulabile con quello di comes o gastaldus Sorae. Nonostante le ingerenze dei conti della Marsica, Gerardo combatté al servizio del principe di Capua, Pandolfo IV (1026 ca.-1049), nella guerra contro il duca di Napoli, Sergio IV (1005-1038) (Sennis 1994:122 – 123). Il fatto che il principe di Capua avesse potuto mobilitare le milizie del gastaldato di Sora, nella guerra contro Napoli, dovrebbe indurre a riflettere: i poteri e il ruolo del principe, quindi, non erano così “formali” e “vuoti”, come pure si è sostenuto, perché Pandolfo poteva ordinare o, comunque, pretendere aiuto militare da uno dei numerosi conti del suo principato, sebbene il gastaldato-contea di Sora fosse caduto sotto l’influenza dei conti della Marsica (Di Muro 2010: 14 – 15). Mentre Sora gravitò, come si è visto, intorno ai conti della Marsica, Atina, contea dal 977, sembra aver sempre condiviso il destino di Capua (Trigona 2003: 42). I conti di Atina, infatti, conservarono sempre il titolo di comes, rispetto a quelli di Sora, passati a quello gastaldale. Ancora agli inizi dell’XI sec. è attestato un conte ad Atina, intorno al 1032, e ciò dimostra che la contea continuava ad essere “autonoma” rispetto a Sora, non condividendone le vicende politiche. Il conte era Agelmondo, parente del principe di Capua Pandolfo IV (Gattola 1733: 205). Venendo ad Aquino, è intorno all’860 che è attestata la presenza del primo gastaldo conosciuto, Rodoaldo (Grossi 1907: 179, Scandone 1908: 10). Questi edificò un castrum, Pontecorvo, a protezione del territorio affidatogli dal conte di Capua, Landone I (843-860) (Erch., 21-25). L’edificazione di un centro fortificato presso il “Ponte Curvo”, sul Liri, lungo il percorso della via Latina, era la chiara manifestazione di come anche il potere di Rodoaldo andava evolvendosi, progressivamente, in forme “signorili”, poiché, generalmente, l’edificazione di un castrum accompagnava il consolidamento del potere del gastaldo (Di Muro 2010: 11, Grossi 1907: 179)9 . Di Rodoaldo non si sa molto, se apparteneva all’aristocrazia della contea capuana e se aveva legami parentali o di altro tipo con i conti di Capua. Si sa, invece, che fu attivo fino agli anni 80 del IX sec. e che, profittando del caos generale in cui era sprofondata la contea di Capua durante il governo del comes et praesul, Landolfo II (863-879), in perenne lotta con i nipoti, avviò una politica sostanzialmente autonoma, volta a procacciarsi alleanze, clientele militari e territori, a spese delle contea di Capua e del cenobio cassinese (Erch., 20-22). Questa situazione durò fin quando non fu spodestato da Magenolfo, personaggio quasi del tutto sconosciuto, forse di origini franche, chierico, e che si fece gastaldo di Aquino. Assieme alla moglie, Ingena, nipote di Ludovico II (855-875), Magenolfo era giunto nel Mezzogiorno, al seguito dell’imperatore, probabilmente durante la campagna contro i Saraceni di Bari (869- 871) (Grossi 1907: 179)10. In seguito, terminata la campagna militare e alla ricerca di una dimora stabile, Magenolfo si era trasferito a Salerno, ospite del principe Guaiferio (ca. 861-881). Dopo una breve permanenza a Salerno, Magenolfo fu invitato da Rodoaldo a trasferirsi ad Aquino (880 ca.), con la moglie e un folto gruppo di seguaci, ma in cambio dell’ospitalità, il gastaldo di Aquino volle che Magenolfo e i suoi dessero un contributo alla difesa del gastaldato dalle incursioni saracene (Grossi 1907: 180)11. L’invito a Magenolfo, forse, sottintendeva una politica filofranca da parte del gastaldo aquinate. Magenolfo accettò il patto, abbandonò Salerno, raggiunse Aquino e si insediò a Pontecorvo e, poco dopo, in accordo col duca di Spoleto, si impossessò di tutto il gastaldato, catturando Rodoaldo che fu liberato solo dietro insistenza dell’abate di Montecassino, Bertario (856-883) e, in cambio dei buoni uffici prestati dall’abate per la sua liberazione, Rodoaldo fu costretto a monacarsi a Montecassino dove finì i suoi giorni (Grossi 1907: 180). Se si accettasse l’ipotesi di un’origine franca di Magenolfo, si dovrebbe ammettere l’instaurazione, ad Aquino, di una stirpe gastaldale franca, non longobarda, almeno fino all’887, quando ci si imbatte in un nuovo gastaldo (Grossi 1907: 181). Morto Magenolfo, nell’887, fu Rodiperto ad assumere la guida del gastaldato. Anche di Rodiperto si sa poco, ma è probabile che la sua ascesa al gastaldato di Aquino fosse dovuta all’aiuto fornito al conte di Capua, Atenolfo I (887-910), che proprio in quell’anno si impossessò della contea dopo aver deposto il fratello, Landone III (Grossi 1907: 180). Atenolfo, in seguito, avrebbe innalzato Capua a principato, incorporando quanto restava del principato di Benevento (Hirsch, Schipa 1968: 185 – 190). Rodiperto di Aquino avviò rapporti di collaborazione con il ducato di Gaeta che, proprio in quegli anni, andava acquisendo la sua indipendenza da Napoli cui fino ad allora, era appartenuta la città (Grossi 1907: 180 – 181, Scandone 1908: 49 – 50). L’intesa con la dinastia gaetana, che durò fino alla metà dell’XI sec., si concluse, come si vedrà, con l’unione dinastica del ducato alla contea aquinate. Infatti Rodiperto sposò la figlia dell’ipato di Gaeta, Docibile I (ca. 890-906). Assieme a Docibile, il conte avviò una politica aggressiva, di espansione territoriale in direzione dei possedimenti cassinesi, provocando le reazioni del papato e dell’abate, Aligerno (949-986) (Grossi 1907: 180 – 181). Nel 949, morto Rodiperto, il nuovo gastaldo di Aquino fu il nipote Atenolfo, che, per primo, assunse il titolo di conte (Grossi 1907: 181). Atenolfo, ricordato come vir strenuissimus, morì alla fine del X sec., probabilmente intorno al 985 (Borsari 1961: 25 – 27, CMC, II, 1). Ad Atenolfo è attribuibile anche la costruzione della residenza fortificata dei conti – Aquinense praetorium – ubicata di fronte al sito della città romana, e di altri importanti siti fortificati della contea come Roccasecca e Castrocielo (Grossi 1907: 181). Il conflitto tra il conte aquinate e l’abate di Montecassino, Aligerno, già iniziato sotto il predecessore Rodiperto, assunse, con Atenolfo, caratteri veramente preoccupanti (Fabiani 1950: 61 – 70). Il conte fu autore di continue usurpazioni di terre e uomini ai danni dell’abbazia cassinese e ciò spinse l’abate a sollecitare, ripetutamente, l’aiuto del principe di Capua, Landolfo II (943-961) (Borsari 1961: 25 – 27, Grossi 1907: 181). L’abate arrivò anche a citare, davanti al tribunale del principe, il conte di Aquino, dimostrando, in tal modo, di credere ancora all’esistenza di un rapporto di subordinazione tra il princeps e i suoi conti. Tuttavia ciò che credeva l’abate non necessariamente corrispondeva alla realtà. Inoltre, il principe di Capua si comportava ambiguamente: da un lato interveniva militarmente senza risultati contro il conte aquinate, dall’altro rilasciava diplomi all’abate Aligerno, con cui confermava i tradizionali privilegi del cenobio, intimando al conte di cessare l’occupazione dei territori cassinesi e di non sottrarre uomini, poiché gli uni e gli altri erano sotto l’alta protezione di Capua (Borsari 1961: 25 – 27, Fabiani 1950: 61 – 70, Scandone 1908: 57- 58). Distrutta Rocca Janula, edificata dall’abate cassinese, Atenolfo arrivò al punto di catturare ed imprigionare Aligerno che fu condotto ad Aquino ed esposto al pubblico ludibrio (CMC, II, 1, Borsari 1961: 25 – 27, Scandone 1908: 54-56). Aligerno chiese l’aiuto di Landolfo II, principe di Capua, che constatata l’impossibilità di convocare davanti al suo tribunale Atenolfo, decise di chiamare in soccorso il principe di Salerno, Gisulfo I (943-977), con cui, all’epoca, era in guerra. Sospese le ostilità, e dopo un lungo assedio, i principi si impossessarono della città, nel 953. Atenolfo fuggì a Gaeta e l’abate cassinese fu liberato (Grossi 1907: 181, Scandone 1908: 57-58). Il conte ritornò poco tempo dopo ad Aquino, ma solo dopo aver fatto formale atto di sottomissione al principe di Capua, cui si presentò in veste di supplice. Atenolfo riebbe la contea, ma dovette impegnarsi solennemente a restituire al cenobio cassinese molte delle terre e degli uomini che sia lui che i suoi predecessori avevano illegalmente sottratto (Borsari 1961: 25 – 27, Grossi 1907: 181)12. Nel 960 Atenolfo associò il figlio Guido Atenolfo al potere e gli conferì il possesso di Pontecorvo che, dopo la sua morte, divenne una contea autonoma da Aquino, governata da Guido Atenolfo, ricordato come Domini providentia comes civitatis Pontis Curvis (Gattola 1733: 293, Scandone 1908: 60)13. A Guido Atenolfo subentrarono i nipoti. Il secondogenito Atenolfo II, ereditò la contea aquinate (985-1018 ca.). La stirpe comitale di Pontecorvo che risaliva ad Atenolfo I ebbe breve durata e sopravvisse fino agli inizi dell’XI sec., quando Pontecorvo ritornò al ramo principale dei conti di Aquino. Le ultime notizie di Atenolfo II datano al 1018, data della sua presumibile morte (Grossi 1907: 182 – 183). Dopo la morte di Atenolfo II, la contea attraversò un periodo convulso di cui restano poche testimonianze. Tuttavia, Aquino sopravvisse alle incursioni normanne e ai conflitti che contrapposero i principi di Salerno e di Capua, mantenendo anche forti legami con i duchi di Gaeta. Sotto il governo di Atenolfo V (I di Gaeta, 1035–1062), Aquino e Gaeta furono unite sotto un’unica potestà (Borsari 1962: 25 – 27, Delogu 1988: 145 – 150, Fedele 1904: 25 – 40). Atenolfo V fu protagonista indiscusso dei drammatici eventi che caratterizzarono il principato capuano agli inizi dell’XI sec.14. Inizialmente, si legò al principe di Capua Pandolfo IV, e non solo politicamente, avendone sposato la figlia, Maria. Al principe di Capua, il conte di Aquino fu a lungo fedele, salvo, in seguito, passare nelle grazie di Guaimario IV, principe di Salerno (Borsari 1962: 35 – 36, Grossi 1907: 182 – 183). Quando, nel 1038, Pandolfo, deposto dall’imperatore Corrado II (1024-1039), fuggì a Costantinopoli, il principato di Capua passò nelle mani del principe di Salerno, Guaimario. Oltre al territorio di Capua, c’era anche Gaeta che Pandolfo IV aveva occupato (1032), sottraendola agli ultimi duchi, e ne aveva affidato il governo al conte normanno di Aversa, Rainulfo Drengot (1030-1045) (Borsari 1962: 35 – 36, Fedele 1904: 25 – 40). Atenolfo resistette a Guaimario, finché non fu catturato dal conte di Teano. Poco dopo, però, fu liberato dalla prigionia e ritornò ad Aquino, dove continuò ad alimentare la resistenza contro Guaimario, con l’aiuto del principe di Capua Pandolfo che, morto Corrado II, era ritornato in Italia, deciso a riconquistare il principato anche con l’aiuto dei Normanni (Grossi 1907: 182 – 183, Hirsch, Schipa 1968: 280 – 281). Il conte d’Aquino – come i suoi predecessori – indirizzò le sue mire espansionistiche verso la Terra Sancti Benedicti, usurpando i territori dell’abbazia cassinese, tra cui il castrum di S. Angelo in Theodice (Borsari 1962: 35 – 36, Grossi 1907: 183 – 184). Nel 1045, Atenolfo era stato riconosciuto anche duca di Gaeta che aveva occupato dopo la morte di Rainulfo Drengot che reggeva il ducato in nome di Guaimario. Allora Guaimario sconfisse Atenolfo che, fatto prigioniero una seconda volta, fu condotto a Salerno (Borsari 1962: 35 – 36). Vista la situazione totalmente pregiudicata, il conte di Aquino decise di cambiare schieramento e, in cambio della sua fedeltà, il principe di Salerno lo investì del ducato di Gaeta, così che Atenolfo V divenne “conte e duca”, rispettivamente di Aquino e di Gaeta, dal momento che l’unione delle due compagini era puramente personale (Borsari 1962: 35 – 36, Fedele 1904: 35 – 40, Grossi 1907: 182 – 183). Per consolidare il legame politico con Salerno, la figlia di Atenolfo, Emilia, sposò il figlio di Guaimario, Landolfo, e ciò consentì ai conti di Aquino di conservare il possesso di Gaeta fino al 1064. Inoltre, il conte si impegnò con Guaimario a non assalire più i possedimenti dell’abbazia cassinese e a diventare tutore del cenobio (Borsari 1962: 35 – 36, Grossi 1907: 185 – 186). Questo mutamento di alleanze costrinse Pandolfo di Capua a muovere guerra ad Atenolfo, ma, ormai isolato, il principe morì nel 1049, senza essersi riconciliato con il genero (Borsari 1962: 35 – 36). Nel frattempo, su Aquino e Gaeta incombeva l’espansione militare dei conti normanni di Aversa, dal 1059 anche principi di Capua (Hirsch, Schipa 1968: 285 – 287). Nel 1053 il conte d’Aquino aveva combattuto al fianco di papa Leone IX (1049- 1054), nella sfortunata battaglia di Civitate contro i Normanni, dimostrando di essere diventato ligio ai dettami del papato e che apparivano lontani i tempi in cui aveva perseguitato i monaci e la Chiesa (Borsari 1962: 35 – 36, Hirsch, Schipa 1968: 287)15. Morto Atenolfo V nel 1062, gli successe il figlio, Atenolfo VI (II di Gaeta), sotto la reggenza della madre, Maria, ma il suo governo fu di breve durata. Nel 1064, infatti, fu deposto dal normanno Riccardo Drengot, principe di Capua, e fuggì a Pontecorvo assieme alla madre (Borsari 1962: 35 – 36, Delogu 1988: 145 – 150, Grossi 1907: 185 – 186). Riccardo di Capua aggregò Aquino e Gaeta al principato, investendone del governo il genero Guglielmo di Montreuil e, poco dopo, morto Guglielmo, ne investì Goffredo Ridell, divenuto anche conte di Pontecorvo (1065) (Borsari 1962: 35 – 36, Delogu 1988: 145 – 150, Fedele 1904: 35 – 40). Il normanno Goffredo Ridell era dunque duca di Gaeta e conte di Aquino e Pontecorvo, di cui conservò il possesso fino al 1070 ca., quando fu reinsediata la dinastia originaria nella persona di Atenolfo VII (Borsari 1962: 35 – 36, Grossi 1907: 185 – 186)16. Per concludere, e anche sulla base degli eventi descritti, si può affermare che non è possibile ravvisare alcuna linearità o coerenza politica nella condotta dei contigastaldi del basso Lazio, se non quella dettata dalla necessità di salvaguardare al meglio i propri domini, oscillando tra la fedeltà formale ai principi di Capua e i continui tentativi di ribellione al loro potere. I conti agivano, nella gran parte dei casi, in piena autonomia e sempre nel rispetto delle opportunità politiche del momento, pertanto non era raro – ed è attestato per i conti di Sora – che i conti longobardi si piegassero alle direttive principesche solo per il proprio tornaconto, a seconda delle circostanze e delle convenienze. Molte volte erano le attitudini di comando e il carattere dei conti a determinare il loro atteggiamento verso il “potere centrale” (Di Muro 2010: 40 – 55). Quella dei rapporti tra “periferia” e “centro” era una realtà in continua evoluzione e mutamento, non cristallizzabile in formule fisse. Tuttavia, restava sempre Capua il centro del potere principesco, il punto di riferimento dei signori di Aquino, Sora, Vicalvi, Pontecorvo, almeno nel comportamento e nel cerimoniale comitale (Di Muro 2010: 40 – 55). Le vicende riguardanti i conti d’Aquino costituiscono l’esempio più evidente di come la struttura politico-amministrativa delle contee e l’operato dei conti si esemplavano – per una questione di prestigio, di status e di convenienza politica – su quello della “primigenia” contea di Capua (Di Muro 2010: 40 – 55). L’instaurazione del dominio normanno, inoltre, non comportò un totale stravolgimento dell’assetto istituzionale del principato di Capua. I Normanni agirono sempre “empiricamente”, adeguandosi alle necessità e alle opportunità del momento. Molte dinastie comitali longobarde sopravvissero alla conquista e, tra esse, proprio i conti di Aquino che, dopo un breve periodo di perdita dei propri domini, riottennero i loro possessi, seppure privati del ducato gaetano e di alcuni territori assegnati dai Normanni al cenobio cassinese (Grossi 1907: 185 – 186). Tralasciando Aquino, le contee di Sora e Atina persero il loro status iniziale (Grossi 1907: 185 – 186). Sora, con il suo territorio, venne assegnata al demanio principesco e cessò di essere designata come comitatus, mentre Atina venne assegnata a Montecassino dai principi capuani (Grossi 1907: 185 – 186). Solo agli inizi degli anni 90 dell’XI sec., durante una grave ribellione dell’aristocrazia capuana contro i principi normanni, i conti di Aquino cercarono di riguadagnare l’antica potenza, occupando Sora e il suo territorio che, tuttavia, furono efficacemente difesi da Gionata, fratello del principe di Capua, Giordano Drengot (1078-1090). Sora, quindi, rimase in possesso dei Normanni (Grossi 1907: 185 – 186). Si badi che l’origine delle contee longobarde non è ravvisabile, necessariamente, nella privatizzazione di un ufficio pubblico. Spesso i poteri del signore derivavano da quelli che, de facto, esercitava sui suoi sottoposti “economici”, cioè su coloro che popolavano le sue curtes. La concessione dell’ufficio – in genere il titolo comitale – da parte del principe longobardo, subentrava in un secondo momento, al fine di “legittimare” dall’alto un’assunzione di poteri che, invece, procedeva “dal basso”. In tal modo, si tentava di frenare le spinte centrifughe dell’aristocrazia longobarda “di provincia” (Di Muro 2010: 70 – 75, Figliuolo 1991: 26 – 35).2 Il signore esercitava sugli uomini della sua “signoria” pieni poteri di carattere “pubblico”, ma, in genere, non si limitava solo a quelli, poiché rivendicava anche l’esercizio di specifici monopoli detti “bannalità”. Si trattava del diritto del signore di pretendere che tutti i suoi sudditi si servissero, previo pagamento di un censo, dei mulini, dei forni, dei frantoi, degli aratri di sua proprietà, così da condizionare fortemente lo sviluppo del tessuto economico della signoria, arrivando anche a riscuotere corvées – prestazioni d’opera – ben oltre le sue proprietà. Le “bannalità” e gli altri privilegi economici che il signore si riservava, assieme alle imposte personali o reali che riscuoteva, costituivano ottime fonti di reddito e qualificavano la “signoria” non solo come un microcosmo politico, ma anche economico (Cilento 1966: 5 – 15, Di Muro 2010: 70 – 75). 3 Attualmente, in sede storiografica, la formazione di “signorie territoriali” nel territorio della Langobardìa minor è da ricondurre a due interpretazioni distinte: la prima, quella “tradizionale”, risalente al Cilento, vede nei comitati l’esito di un processo di formazione signorile che partì “dal basso”, cioè dal possesso di terre e di uomini e dall’incastellamento degli stessi, per approdare, infine, al riconoscimento formale del titolo comitale, da parte dei principi. La seconda interpretazione, detta “funzionariale”, vede nelle contee delle articolazioni amministrative dei principati longobardi, volute proprio dai principes, al fine di controllare le spinte centrifughe che provenivano dall’aristocrazia terriera longobarda. Con la concessione del titolo di comes, infatti, i principi longobardi miravano a costituire vaste clientele politiche e militari, evitando che il potere dell’aristocrazia terriera assumesse connotazioni “anarchiche”, pericolose per l’unità e la stabilità istituzionale dei loro domini. Quest’ultima interpretazione è sostenuta, oggi, dalla maggioranza degli studiosi, i quali tendono a ricondurre il fenomeno signorile, nel Mezzogiorno, ad una dimensione più contenuta rispetto al passato, ridimensionando anche la diffusione dell’incastellamento, e a riconoscere la forza aggregante e unificante che, nei confronti dei signori, il potere dei principi longobardi avrebbe conservato, nonostante la frantumazione territoriale dei poteri, in virtù di una persistenza del senso del publicum, cioè dello “stato”, di tradizione basso-imperiale, e nonostante gli sconvolgimenti del IX e X sec. Secondo l’interpretazione del Cilento i principati longobardi, al termine di tale processo di progressiva frantumazione, continuarono a rivestire il ruolo di “riferimento identitario” per le rispettive “signorie”, ormai avviate ad una sostanziale autonomia dal centro politico-istituzionale rappresentato dalle capitali e dalle relative corti: Benevento, Salerno, Capua. Non è un caso che nei documenti ufficiali redatti dalle cancellerie comitali, si faccia spesso riferimento agli anni di governo del principe in carica come sistema di datazione degli atti. Secondo il Cilento i principi cessarono di esercitare, nella gran parte dei casi, ogni potere sui distretti territoriali finiti in mano ai conti e sarebbero diventati figure semplicemente “rappresentative” di una fantomatica identità e unità longobarda del Mezzogiorno. Il principato di Salerno, rispetto a Capua e Benevento, avrebbe conservato, evitando eccessive frammentazioni, una maggiore compattezza ed autorità, e ciò fu probabilmente dovuto alla specifica conformazione territoriale e alla minor presenza di città sul suo territorio (Cilento 1966: 5 – 15, Di Muro 2010: 70 – 75, Figliuolo 1992: 49, Tabacco 1979: 160 – 175). 4 La stessa contea capuana si costituì in entità autonoma da Salerno, progressivamente, attraverso l’incastellamento del territorio, prassi seguita anche da molte altre contee della Langobardìa. Landolfo I di Capua edificò, a nord del Volturno, il castro di Sicopoli, in onore del principe beneventano, Sicone I (817-832). Sicopoli, piuttosto, avrebbe dovuto essere denominata “Rebellopoli”, per le ragioni che erano dietro quell’edificazione (Cilento 1966: 20 – 35, Erch., 15). La valle del Liri era decisamente urbanizzata, ricca di antichi municipia romani e rappresentava – dal punto di vista strategico – una via importantissima di accesso al cuore del principato beneventano e, poi, capuano. Fino al 1927, gran parte dei territori basso-laziali appartenenti alla Langobardìa minor, da un punto di vista amministrativo, erano compresi nella Provincia di Caserta (De Minicis 1976: 111 – 115, Trigona 2003: 20). Nel 966 Capua era stata innalzata al rango di metropoli ecclesiastica. Nella metropoli di Capua rientravano anche le diocesi di Aquino e Sora, nel basso Lazio. Al momento dell’istituzione della metropoli capuana le diocesi suffraganee erano probabilmente Atina, Aquino, Sora, Sessa, Teano, Carinola, Calvi, Caiazzo, Caserta, Venafro, Isernia (Di Muro 2010: 47). 7 Il titolo di comes, conte, desunto dalla burocrazia tardoimperiale, è attestato nella Langobardìa minor fin dal VII sec., come ci dice Paolo Diacono (che scrive nell’VIII), per designare ufficiali longobardi preposti al governo di distretti territoriali e amministrativi. Si ricordino Trasamundo e Mitola, entrambi conti di Capua. Sembra che il titolo di “conte”, fin dalle origini, fosse differente da quello di gastaldo, benché, talvolta, figurino insieme, comes et gastaldus. La differenza risiedeva, presumibilmente, nel fatto che il conte era il signore, a tutti gli effetti, del territorio compreso nella contea, godeva di pieni poteri di governo e del diritto di trasmettere gli stessi ai discendenti. Il gastaldo, invece, era un semplice amministratore, tesi probabilmente confermata dal fatto che, nelle stesse contee, risiedevano gastaldi di nomina comitale. Il titolo comitale, comunque, inizia ad emergere prepotentemente nella compagine capuana alla fine del IX e agli inizi del X sec., cioè all’epoca della trasformazione della contea in principato (900). Il titolo, in genere, veniva elargito dai principi capuani a fideles, familiari o meno, anche al fine di creare una sorta di “appannaggio” che compensasse l’esclusione dei “rami collaterali” della dinastia capuana dalla successione al principato. Altre volte, invece, la concessione del titolo serviva a ratificare l’esercizio di poteri sul territorio e sugli uomini che, de facto, era già una realtà. (Di Muro 2010: 43 – 45, Paul. HL, IV, 51, V, 9). Non abbiamo alcuna informazione sicura, per quanto riguarda le contee basso-laziali, di conti longobardi che cumulavano il titolo di comes con altri uffici pubblici, eventualmente appartenenti alla “burocrazia centrale “ del principato di Capua, mentre fatti del genere sono attestati per altre contee, ad esempio Teano. Il primo comes di Teano era anche comes palatii, rivestiva, cioè, una carica pubblica presso l’amministrazione palaziale capuana (Di Muro 2010: 14 – 20). Non si dimentichi che il fenomeno dell’incastellamento nei territori del Lazio longobardo era legato non solo ad esigenze di difesa militare e di controllo politico del territorio da parte dei comites, ma anche ad esigenze economiche connesse all’edificazione dei castra, soprattutto in un periodo di crescita demografica e di progressivo sviluppo economico. L’edificazione di centri fortificati era anche dovuta all’esigenza di attirare coloni che lavorassero, bonificassero e coltivassero la terra. Tutto ciò, infatti, corrispondeva agli interessi dei signori di ingrandire i possedimenti e di popolare territori deserti. Una maggiore produttività, connessa ad un maggior numero di sudditi, significava avere maggiori risorse da tassare e di cui disporre (Toubert 1995: 307 – 310). L’antroponimo, molto diffuso nel Mezzogiorno, non esclude che Magenolfo fosse un longobardo e non un franco come, generalmente, si crede. Clericus, molto probabilmente, sta per “uomo di cultura”, ma non è escluso che stesse a significare proprio “chierico”, cioè “ecclesiastico” nel vero senso della parola. Se Magenolfo fosse stato franco, la sua signoria, in Aquino, avrebbe rappresentato una “parentesi utile” per favorire l’importazione di usi, anche amministrativi, franchi, quali, ad esempio, l’organizzazione del territorio in contee (Grossi 1907: 179). Le devastazioni dei Saraceni non mancarono di colpire lo stesso entroterra laziale e i centri di Aquino, Sora e Arce, già dall’846, quando avevano saccheggiato anche Roma. Queste devastazioni contribuirono senz’altro a favorire il processo di incastellamento e di formazione di poteri signorili (Hirsch, Schipa 1968: 110 – 115). Riguardo le modalità di amministrazione della giustizia da parte dei conti del basso Lazio – funzione che pure doveva essere esercitata visto che è abbondantemente documentata per le altre contee capuane – sussistono non pochi dubbi. La menzione di iudices, nelle carte della contea aquinate, fa chiaramente riferimento all’esistenza di ufficiali comitali deputati all’amministrazione della giustizia nei distretti in cui la contea era ripartita. Resta dubbio, però – e le opinioni in merito divergono – se la designazione dei giudici avvenisse ad opera del conte oppure del principe di Capua. Di Muro propende per la prima ipotesi, Delogu per la seconda. In realtà, in assenza di chiare attestazioni da parte delle fonti disponibili, sembra difficile immaginare le contee come signorie “autonome” dal potere capuano, senza ammettere che i conti potessero liberamente nominare i giudici del proprio distretto. Nelle carte aquinati, infatti, i giudici denominano il conte come senior noster, cioè “nostro signore”, un appellativo che, se preso alla lettera, è indicativo dei reali poteri che il conte aveva al di sopra dei suoi subordinati. Come si è detto, nel X sec., gli abati di Montecassino si rivolsero più volte al tribunale del principe di Capua, citando in giudizio i conti di Aquino per rispondere delle usurpazioni compiute ai danni delle terre dell’abbazia. Ma i conti non ritennero doveroso presentarsi. Ritornando ai giudici, se essi fossero stati nominati dal principe non vi sarebbe stato bisogno di far svolgere alcuni placiti presso il tribunale di Capua, alla presenza dello stesso principe e dei giudici capuani, questi sì, da lui nominati (Delogu 1997: 257 – 260, Di Muro 2010: 52, Scandone 1908: 50 – 55). L’ “egualitarismo successorio” di molti conti della Langobardìa comportava il fatto che – non essendo privilegiato alcun successore – la contea originaria poteva essere scorporata in più entità comitali, di diversa consistenza ed estensione. Oppure, come nel caso di Aquino, si procedeva alla costituzione, all’interno del perimetro territoriale di ciascuna contea, di una sorta di “baronie-gastaldati”, cioè di enclave dotate di un’estensione ristretta rispetto a quella della contea vera e propria in cui erano ricomprese, dotate di una “giurisdizione” in genere subordinata a quella dei centri comitali (Borsari 1961: 25 – 27). 14 Intorno al 1022, al ritorno dalla sfortunata campagna militare, in Puglia, contro i Bizantini, l’imperatore germanico, Enrico II (1003-1024), decise di ricompensare alcuni suoi fideles con la costituzione di una contea. I beneficiari furono i nipoti – Stefano e Pietro – di Melo di Bari, il nobile barese che, alcuni anni prima, aveva innescato il fuoco della rivolta contro Bisanzio che si era propagato per tutta la Puglia. Dopo essere stato sconfitto dagli eserciti imperiali, Melo era fuggito in Germania per sollecitare l’aiuto di Enrico II, ma era morto a Bamberga (1020), prima che il re tedesco iniziasse la sua campagna militare nel Mezzogiorno d’Italia. La campagna, comunque, si risolse in un disastro. La contea istituita da Enrico II in Val di Comino, nel Lazio meridionale, in territorio rientrante nei confini del principato di Capua, è quasi del tutto sconosciuta. Non se ne conoscono i precisi confini, né il capoluogo. Essa, inoltre, fu istituita da un imperatore tedesco, ma nell’ambito di un territorio che non era immediatamente soggetto alla sovranità dell’Impero, perché ricompreso nei confini del principato longobardo Atenolfo di Capua. Probabilmente, Enrico II agì in virtù del dominium eminens che, in quanto imperatore, deteneva sul principato capuano che, almeno formalmente, rientrava nei confini dell’impero germanico. L’origine di questa contea fu decisamente “funzionariale”, nel senso che scaturì da una specifica volontà del potere pubblico, ovvero dall’imperatore Enrico II (CMC, I, 61, Di Muro 2010: 63 – 65). Atenolfo meritò anche di essere ricordato nei versi dell’epitaffio scritto, in suo onore, dall’arcivescovo di Salerno, Alfano (1058-1085). Nell’epitaffio Atenolfo era definito comes et dux magnus, magnanimus, sapiens, fortis, pius, impiger, acer (Hirsch, Schipa 1968: 270). Il ridimensionamento della potenza aquinate è suggerito anche dalla documentazione superstite prodotta dalla cancelleria comitale. Mentre nel X e XI sec., i documenti facevano riferimento costante al titolo comitale dei signori aquinati, specificando anche l’estensione geografica dei domini (..de comitatu aquinense..), dopo la conquista normanna questa specificazione scompare – eccetto nei generici riferimenti agli ascendenti – venendo sostituita da un generico richiamo al luogo di residenza dei conti.