Nel 384 a Roma morivano quasi contemporaneamente il patrizio Vezio Agorio Pretestato, console designato a prefetto dell’Urbe, e la matrona Lea, che, rimasta vedova in giovane età, aveva rifiutato le seconde nozze col ricco rappresentante della nobiltà romana per aderire alle prime comunità femminili cristiane, organizzate da San Girolamo. Il vecchio asceta di Stridone, che, amareggiato dalle maligne insinuazioni di esercitare un ascendente non solo spirituale sulle virtuose matrone Marcella, Paola, Proba e Lea, aveva abbandonato Roma, e si era ritirato nei pressi di Betlem a condurvi vita solitaria, prese lo spunto dalla notizia della morte di Lea e del console per stendere in una delle sue numerose epistole alcune considerazioni. Questa lettera rappresenta l’unico documento, ma di qual forza e suggestività, sulla vita della santa: « Dal coro degli Angeli ella è stata scortata nel seno di Abramo e, come Lazzaro, già povero, vede ora il ricco Console, già vestito di porpora, e che adesso, non adorno della palma ma avvolto nell’oscurità, domanda a Lea che gli faccia cadere una goccia dal suo dito mignolo». S. Girolamo amava i parallelismi e in questo caso il confronto gli venne facile: Vezio Agorio passa dagli splendori terreni alle tenebre dell’oblio, mentre Lea « la cui vita era considerata né più né meno che un fenomeno di pazzia, ecco che è del séguito di Cristo », nella gloria, per essere stata al suo séguito nella totale rinuncia al mondo. Lea si era consacrata «tutta al Signore, – dice ancora S. Girolamo – diventando nel monastero madre superiora delle vergini, mutando le vesti delicate di un tempo nel ruvido sacco che logorò le sue membra, passando inoltre in preghiera intere notti, maestra di perfezione alle altre più con l’esempio che con le parole. Fu di una umiltà così profonda e così sincera che, dopo essere stata una grande dama, con molta servitù ai suoi ordini, si considerò poi come una serva. Spregevole la sua veste, grossolano il cibo, trascurava l’acconciatura del suo corpo; mentre poi adempiva a ogni dovere, rifuggiva dal fare anche la minima ostentazione delle opere buone per non riceverne la ricompensa in questa vita ». Questo « fenomeno di pazzia » o meglio questa scelta scomoda, che le fece preferire « il segreto ambito ristretto di una cella » agli agi della lussuosa dimora, che avrebbe potuto godere come futura «prima donna» di Roma, ha collocato questa matrona romana sul piedistallo di una gloria che non teme l’usura del tempo, la santità.
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