Cronaca

l’Irriverenza di un Corpo

La madre di Navalny, antigone moderna

ALEXEI NAVALNY CON LA MOGLIE YULIA NAVALNAYA

di FABRIZIO UBERTO

Ludmilla Navalny come Antigone. Anche questa signora anziana, ma pertinace, esattamente come l’Eroina di Sofocle, sfida le infide leggi dello Stato, per reclamare una degna sepoltura per un suo famigliare, in questo caso il più prezioso, un figlio.
Un uomo coraggioso quest’ultimo, ucciso dal Potere, che pur potendo espatriare, ha voluto restare nella sua Russia per levare alta la voce contro un sistema dispotico e sanguinario, incarnato da un tiranno che non si è fatto scrupolo di violare la legalità internazionale e invadere uno Stato Sovrano.
E ancora una volta, come in altre vergognose vicende, il Corpo di un uomo, le sue spoglie terrene, assumono una significatività che va al di là di quella di una mera ” salma”, che sarebbe prudente non esibire.
Il Corpo di quell’impavido dissidente, esattamente come quello di altri martiri della Storia ( a cominciare dal supremo Gesù di Nazareth), assume non soltanto una valenza simbolica, ma anche una cifra prettamente carnale, una testimonianza atroce della violenza e dei soprusi del Potere.
Esattamente come nel caso di Pasolini ( che solo i più sprovveduti ancora ritengono vittima di un ragazzo di strada e non invece della violenza organizzata di un grippo di neo-fascisti) e in quello di Stefano Cucchi, quei poveri resti, che Qualcuno, invocando una farisea Pietas, avrebbe voluto sottrarre alla vista di noi tutti, è congruo invece siano stati adeguatamente mostrati, a vivida testimonianza di ciò di cui è capace un Potere spietato e oscurantista. Il cui interesse sarebbe stato per l’appunto di occultarli , perché inconfutabile atto di accusa contro le sue Malefatte.
Il Corpo dunque, come manifestazione tattile e incontrovertibile di una sacrosanta disobbedienza civile, quella stessa che ogni Autoritarismo vorrebbe tacitare, nonché seppellire nell’oblio del benpensante.
Certo, è amaro e grave che in non pochi casi si debba arrivare a morire ( si pensi anche al suicidio di Primo Levi), affinché il proprio grido di dolore e l’incandescenza delle sopraffazioni subìte, possano arrivare al cuore pulsante di un’Umanità, troppo spesso “oscurata” da una memoria labile, se non indifferente.

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