Due Chiacchiere con l' Arte

Serena Penni

SINOSSI

Carla, Paolo, Elisabeth. Tre esistenze che si incontrano, tre monologhi, tre diverse letture del mondo. Tre storie che talvolta si contraddicono, senza che nessuna di esse sia sbagliata.

Attraverso le voci di questi personaggi, che decidono di mettersi a nudo rivolgendosi a chi non potrà mai sentirli, emergono ricordi, segreti e dolori; luci e ombre di una realtà che si svela poco alla volta e che non è mai quella che sembra. La violenza – fisica o psicologica; volontaria o inconsapevole; latente o palese – permea le vite dei protagonisti, rendendoli spesso incapaci di staccarsi da un passato troppo pesante, di vincere la paura che li opprime.

“Adesso credo semplicemente nel caso. E nella sfortuna. Ma anch’io ho la mia scena fissa, forse tutti ne hanno una, chi lo sa; i miei lilium arancioni sono animali di peluche e bambole di stoffa. Non sentirai mai questa storia, ma cosa mi diresti se mi sentissi?”

BIOGRAFIA

Serena Penni è nata a Firenze, dove vive e lavora. Si è occupata di narrativa italiana del Novecento, in particolare di Moravia e Parise. Suoi racconti, testi teatrali e recensioni sono apparsi in antologie, su riviste e litblog. La destinazione è il suo quarto romanzo.

DOMANDE

Ci parli del libro

Ho iniziato a scrivere “La destinazione” perché, quando ho concluso “Il vuoto” – il mio romanzo precedente -, mi sono resa conto che non ero pronta per separarmi da quei personaggi. Allora, ho cominciato a pensare a una sorta di seguito di quella storia; nel “Vuoto” c’era un bambino, Paolo, rimasto orfano da piccolo perché il padre aveva ucciso la madre: ho provato ad immaginare la sua vita da adulto. Scrivendo, però, i personaggi della “Destinazione” si sono staccati e differenziati da quelli del “Vuoto”, inoltre sono affiorate alla mia mente nuove figure. Di fatto, quindi, si tratta di due opere autonome l’una dall’altra, nel risultato finale. Nella “Destinazione”, tre personaggi alternano le loro voci. Si tratta di Carla, Paolo ed Elizabeth: essi, attraverso i loro monologhi, ci propongono la loro personale visione della realtà. Le loro storie si intrecciano, si segnano e talvolta si smentiscono a vicenda. Tutti e tre inseguono qualcosa che sono destinati a non trovare, e si imbattono invece in ciò che non possono o non sanno amare. Assecondano il loro destino perché non hanno scelta, ma nessuno di loro è veramente felice.

Elisabeth ci parli di lei, perché così determinante per il libro

Elizabeth è il terzo personaggio a far sentire la sua voce, a narrare la sua storia. È determinante perché rappresenta, per Paolo, l’illusione dell’amore, di una via di fuga, di una forma di salvezza. Inoltre, il suo racconto mostra quanta distanza ci sia tra l’apparenza e la realtà. Infatti, prima ascoltiamo ciò che Paolo pensa di lei e, successivamente, è essa stessa a confidare a un “tu” inesistente, tutto mentale, i fatti terribili che hanno segnato la sua biografia. Questo personaggio mi ha permesso di riflettere su temi quali la difficoltà di staccarsi da legami malati e, insieme, rassicuranti, l’importanza della condivisione di un dolore profondo e inconfessabile, la corsa affannosa e inutile verso la vita, che sembra scivolare via dalle mani giorno dopo giorno.

bellissima copertina, chi si è occupato della grafica ?

Sono stati i miei editori – Giuliano Brenna e Roberto Maggiani del Ramo e la Foglia -, a occuparsi della grafica. L’immagine di copertina è una fotografia che loro stessi hanno scattato una sera, a New York: quando me l’hanno proposta, io ne sono stata entusiasta.

Progetti futuri?

Mi piacerebbe raccogliere in un volume i racconti che ho scritto nel corso degli ultimi due anni, e che ho pubblicato su riviste, antologie e litblog. Vorrei però aggiungerne qualcun altro, al momento ne ho una decina. Aspetto l’ispirazione!

Che tematiche vorrebbe trattare nei suoi libri?

Una tematica che mi sta a cuore, e che ho trattato spesso nei miei romanzi – nella “Stanza di ghiaccio”, nel “Vuoto” e nella “Destinazione” -, è quello della mutevolezza della realtà, che cambia a seconda di chi la osserva e la racconta. In questi testi, ho fatto ricorso all’espediente del molteplice punto di vista per mettere in luce quanta distanza ci sia tra l’interiorità dei personaggi e la versione di sé stessi che offrono al mondo. Mi interessa altresì indagare la violenza psicologica, l’aggressività repressa che talvolta prende forma nei momenti e nei modi più impensati, il riemergere del passato che influenza e determina il presente, la difficoltà di comunicare all’interno della famiglia e della coppia.

Quanto secondo lei la scrittura può essere una cura per l’anima?

La scrittura può essere una cura per l’anima quando ci permette di ampliare la nostra realtà, il nostro sguardo sul mondo, offrendoci una dimensione dell’esistenza che altrimenti non avremmo colto. Ci aiuta nei momenti di solitudine, quando ci sentiamo in prigione, o ci sembra di non poter essere compresi e amati da nessuno. È un modo per entrare dentro noi stessi e, insieme, una strada per uscirne e gettarsi nella mischia, liberandoci dai circoli viziosi.

Di Manuela Montemezzani

 

 

 

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