Due Chiacchiere con l' Arte

I FANTASMI DELLA FABBRICA ALTA

Sinossi

Il giovane Alex, per completare la sua tesi di laurea in Beni Culturali, va a fare un sopralluogo alla Fabbrica Alta dell’ex Lanificio Rossi di Schio. Tra i ruderi di quel grande edificio abbandonato scopre vivere la Betina, una bambina di fine Ottocento, vittima di un incantesimo: la sua maestra d’asilo, che ha poteri da strega, la punì per aver interferito nei suoi piani, spedendola dentro una “intercapedine del tempo”, e proiettandola di fatto nel Duemila. Alex vuole fare luce su questo mistero, e per rimanere a Schio affitta una camera presso Umberto, un cinquantenne paraplegico in sedia a rotelle. Dopo aver assaggiato una fetta di torta all’equiseto offertagli da Umberto, per Alex, la realtà si trasfigura in una dimensione magica, sdoppiata tra gli anni 2016 e 1879. Nella sua ricerca della Betina, che sempre gli sfugge, Alex incontra Lady Shalott, un’eroina romantica uscita da un quadro che a sua volta è alla ricerca del maturo Zeno Bordignon, un tessitore della Fabbrica Alta di cui si è innamorata. Alex scopre che la maestra d’asilo responsabile della scomparsa della Betina dal suo tempo altri non è che Amalia Furlan, la sua relatrice di tesi, che invecchia molto lentamente e attraversa le generazioni. I destini della Betina, di Lady Shalott, di Amalia e di Zeno si incrociano in una serie di situazioni surreali, su piani temporali e dimensioni diverse. Loro stessi assumono ruoli diversi, come se avessero molteplici identità. Del piccolo eterogeneo gruppo fa parte anche l’affittacamere Umberto, nelle vesti del custode del giardino Jacquard, di fronte alla Fabbrica Alta, che passa il tempo a dipingere copie di quadri famosi.

Alex si rende conto che per risolvere il mistero della Betina dovrà capire cos’è successo veramente a Schio il 21 settembre 1879, una giornata solenne in cui l’imprenditore Alessandro Rossi inaugurò la statua dell’Omo, il Monumento dedicato ai tessitori del suo lanificio. Ma anche lo stesso giorno in cui la Betina sparì dal suo tempo mentre giocava a nascondino in una grotta, subito dopo aver toccato gli occhi fosforescenti di un enigmatico giaguaro di pietra; in cui la cuoca Amalia Furlan aveva preparato un piatto speciale dai poteri magici da servire a cena ai dirigenti del Lanificio Rossi, per riuscire a controllare le loro menti; in cui il rivoluzionario Zeno aveva progettato insieme ad alcuni colleghi di dare fuoco alla Fabbrica Alta, per dare una svolta al popolo operaio e liberarlo dalla schiavitù.

A poco a poco, a partire dalla metà del romanzo, si verrà a scoprire gradualmente la verità. Il giorno chiave da cui tutto ha origine non è il 21 settembre 1879, ma il 5 maggio 2016: quando Alex e Umberto, fratelli, spiriti liberi, andarono incontro a un terribile incidente in moto sotto il tunnel stradale Valdagno-Schio. Alex morì sul colpo; Umberto, che guidava la moto in stato di ebbrezza, perse l’uso delle gambe. Da allora Umberto, che è separato da dieci anni e da allora non ha più visto sua figlia, vive con il senso di colpa per avere causato la morte del fratello, un brillante drammaturgo che stava scrivendo il suo primo romanzo. Dopo una lunga crisi esistenziale, lui che al pari del fratello si era già cimentato con la scrittura, ha trovato un senso nella sua nuova vita di paraplegico cercando di portare avanti l’opera incompiuta di Alex. Ha preso le persone della sua vita – il fratello Alex, l’ex moglie, la figlia Betty, un suo antenato operaio – trasfigurandole nei personaggi del suo romanzo: rispettivamente lo studente protagonista, la strega Amalia, la piccola Betina/la giovane Lady Shalott, il tessitore Zeno. Sono loro “i fantasmi della Fabbrica Alta”, perduti per sempre: o perché realmente morti, o perché lontani a causa di una separazione. E, infine, inserisce nella storia anche se stesso come deus ex machina.

Domande

Ci parli del libro.

L’idea per scrivere questo romanzo, che io definirei di genere storico-fantastico, ha radici lontane. Nel 2006 mi recai per la prima volta nella città di Schio durante gli eventi di una Notte Bianca, restando affascinato dai luoghi nella loro veste notturna, soprattutto dal profilo maestoso della Fabbrica Alta dell’ex Lanificio Rossi e dallo splendido giardino Jacquard di fronte alla fabbrica. Dieci anni dopo rimasi molto colpito dalla visione del film Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali di Tim Burton, film di genere fantastico dove i protagonisti vivono in un loop temporale che li riporta sempre allo stesso giorno del passato. Dopo quel film, preso dall’ispirazione, cominciai a scrivere i primo appunti di quello che sarebbe poi diventato il romanzo: doveva essere una storia fantasy, con personaggi bizzarri, ambientata alla Fabbrica Alta, e dove l’aspetto più importante fosse il tempo. O meglio, gli sbalzi da un’epoca all’altra. E in effetti nel mio libro gli eventi si collocano su diverse linee temporali che si intrecciano, dando vita a una storia decisamente fuori dalla realtà.

 

Come nasce la protagonista del libro?

Betina Bordignon, la bambina di cinque anni che vive nel 1879 e che poi appare misteriosamente a una finestra della Fabbrica Alta di oggi, nasce praticamente da una fotografia. Una foto d’archivio dell’asilo Rossi di Schio scattata a fine Ottocento, che ho trovato in un libro, dove si vedono più di trecento bambini radunati sulle scale d’ingresso dell’asilo insieme alle loro maestre. Mi piaceva l’idea di inserire come protagonista una bambina piccola, che allude un po’ ai personaggi di altri romanzi fantastici quali Alice nel paese delle meraviglie e Il mago di Oz. Da quella foto nasce anche l’idea per un altro personaggio chiave: Amalia Furlan, la maestra cattiva che punirà severamente la Betina per una cosa che non doveva fare, spedendola in un’altra epoca. Gran parte della mia storia è ispirata ad altrettante immagini ottocentesche di Schio legate al Lanificio Rossi: i panni lana stesi nel grande spiazzo esterno, gli operai davanti al Monumento al Tessitore appena inaugurato, i loro figli mascherati da Garibaldi e da re Vittorio Emanuele durante il carnevale, e altre ancora.

 

La storia ha un non so che di misterioso, puntare sulla curiosità o sulla storia possono aiutare nell’incuriosire il lettore?

Credo sia davvero un’avventura molto particolare, bizzarra, surreale, dove i personaggi si ritrovano in tempi storici diversi con ruoli e identità che cambiano di continuo. Inizia come un giallo, ma poi vira decisamente verso il fantasy e il mistero. Mi sono divertito ad aprire tante finestre, con racconti a se stanti che ogni tanto compaiono all’interno della narrazione, con filoni narrativi che si interrompono a metà e ricominciano qualche capitolo dopo. Forse all’inizio il lettore può sentirsi un po’ spiazzato, ma se è abbastanza curioso può scoprire indizi disseminati qua e là che lo aiutano a trovare il bandolo della matassa. E alla fine, passando attraverso vari colpi di scena, tutto sarà svelato.

 

Cosa secondo lei deve avere un buon libro?

Credo che un buon libro debba avere almento due elementi: che vi si narri una bella storia e che la storia sia scritta bene. Se poi la scrittura è anche visiva, dettagliata, quasi fotografica, il lettore riuscirà a immergersi più pienamente nella storia e ne sarà più coinvolto. Mi auguro che I fantasmi della Fabbrica Alta abbia queste caratteristiche, ma non sta a me dirlo.

 

Come nascono secondo lei le fisionomie dei suoi protagonisti?

Dipende dai personaggi. Alcuni, come la Betina e Amalia, come dicevo prendono spunto da delle fotografie che ho visto. L’idea per Lady Shalott, la ragazza diafana e malinconica che esce fuori da un quadro, viene da una mostra di pittori preraffaelliti che avevo visto a Milano mentre stavo scrivendo il libro. Per Zeno, l’anziano tessitore della Fabbrica Alta, mi sono ispirato a certi racconti di ex operai cercando di immaginare come doveva essere la vita in fabbrica tanti anni fa’. Ma ci sono anche due personaggi che ho modellato un po’ a mia immagine e somiglianza. Uno è Alex, lo studente universitario fuori corso che deve completare la sua tesi di laurea in Archeologia Industriale e che scopre la Betina alla finestra della fabbrica. In lui c’è sicuramente un po’ di me, del me stesso venticinquenne di molti anni fa: perditempo, distratto, sempre in giro a fare foto ai luoghi abbandonati. L’altro è Umberto, l’affittacamere in sedia a rotelle dove Alex trova ospitalità. Una specie di alter ego attraverso cui parlo al lettore nel finale, tirando fuori emozioni e sentimenti che sento nel profondo. Ma non aggiungo altro per non fare degli spoiler.

 

Dove possiamo trovare il libro?

Il mio libro si può ordinare direttamente sul sito della casa editrice, www.bertonieditore.com, ma anche su qualsiasi piattaforma di vendita online come Amazon, IBS, eccetera. Si può richiedere anche in qualunque libreria, con tempi di attesa di qualche giorno.

 

Ha un nuovo progetto in cantiere?

Sì, ho cominciato a lavorare a un nuovo progetto. È un’idea evolutasi nel tempo, che ha a che fare con il mio bisogno di pedalare e soprattutto, di camminare. Sono un grande esploratore di sentieri di montagna, di ciclabili, di boschi, di argini, ma anche di strade urbane e periferiche, perchè ho una grande curiosità di conoscere meglio il territorio in cui vivo, lavoro o vado in vacanza. Il titolo provvisorio è “L’uomo che voleva camminare per sempre”, dove ogni capitolo è legato a un percorso a piedi che ho fatto o che sogno di fare. Non una guida sul trekking, ma piuttosto un diario di memorie sui luoghi, sui sentieri, sugli spazi naturali e urbani che a tratti sconfina nell’immaginario. Che magari possa anche includere alcune delle fotografie che scatto durante i miei vagabondaggi.

Tutta la storia – bizzarra, ridondante e labirintica, che sembra avvitarsi su se stessa – è il frutto delle sue fantasie, della sua solitudine di alcolizzato che ha cercato la libertà ma ha perduto i suoi affetti. Umberto riesce a far arrivare il suo manoscritto tra le mani della figlia Betty, oggi ventenne, che sta studiando a Londra con il programma Erasmus. Poi, da un giorno all’altro, scompare misteriosamente. Nel finale, Umberto e Alex si ritrovano dentro una “intercapedine del tempo”, una dimensione atemporale sospesa tra la vita e la morte, nella stessa grotta dove sparì la Betina, davanti a quella enigmatica statua del giaguaro dagli occhi fosforescenti. Dentro a quegli occhi cavi, Umberto riesce a scorgere tutte le storie possibili ancora da scrivere.

Di Manuela Montemezzani 

 

 

 

 

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