Dieci anni da quell’egoista 2014: quando i nonni, a tre mesi precisi, decisero di vivere in un’altra dimensione, che non conosce spazio né tempo.
Dieci anni senza quel braccio forte del nonno, che, in infanzia, la reggeva e, in adolescenza, la motivava, senza il suo sorriso e la battuta sempre pronta, che la distoglieva da ogni ansia. Quando ancora non sapeva cosa realmente fosse.
Non crede, Elisa, sia trascorso molto tempo, anche se lo è: sembra ieri che la faceva sentire la sua principessa. Nemmeno una fotografia può riportarli vicino a lei, consapevole che loro le siano accanto. I loro giri in bicicletta, per le campagne del paese. I mille giochi di avventura, come l’amico coetaneo, che non ha mai avuto. Il suo primo “maestro”, con il quale Ely imparava a scrivere e a contare. Illato più coinvolgente era il Raccontare.
Quel 24 aprile 2013, qualcuno mancava all’appello: il sogno era un alloro davanti ai loro occhi. Quel giorno, ricco di emozioni, Elisa avrebbe voluto i nonni in prima fila, invece, ringrazia che, anche con una dose di entusiasmo ben differente, abbia potuto raccontare loro quel giorno tanto atteso. Li avrebbe allontanati, per qualche minuto, dai pensieri che incombevano su una salute che stava allontanandoli.
La soffitta dei ricordi, al primo piano della loro abitazione, era, agli occhi di Eli, uno scrigno di universi, legati da ogni fase della sua crescita.
Rivede i nonni che, alla sua richiesta di salire in mansarda, da quelle scale strette, si preoccupavano per la sua incolumità e lei un po’ ci rimaneva male: lì sopra, esisteva un mondo, che è stato suo e, scale o no, ne sentiva la necessità di visitarlo. Iniziava il rito: il nonno saliva con lei e, dopo nemmeno cinque minuti, la voce della nonna che si assicurasse stessero bene: anche a 25 anni, quei gradini avrebbero potuto essere pericolosi. Ora, persino, i muri parlano di loro e, quando si avvicina a quella porta, le viene ancora da bussare.
In quel dannato periodo, la famiglia, che stava già attraversando altri problemi, le stette molto vicino e, dopo pochi mesi, i danni divennero fisici. Iniziò un difficile percorso di accettazione per la protagonista: un continuo giustificarsi per quella maschera corporea che indossa, senza ancora rendersene conto. Un metabolismo che correva, prodotto dalla rabbia, in parte repressa, di parole insensate. Dopo la fine di un’estate, che aveva tutt’altro il sapore della spensieratezza, lo stato di angoscia si ridusse, poiché una persona speciale decise di aiutarla, in un modo che Elisa non glielo avrebbe permesso, da qualche chilometro più su dove il sole splende sempre in alto, è portatore di buone novelle e le malattie scompaiono.
Elisa alza la testa: scorge alcuni giochi di luce, che si mascherano dietro le nuvole.
Si sente persa e auspica l’attenzione di coloro che adora sin da quando era una bambina: quanto dolore le ha provocato il distacco con loro da questa vita terrena, confusa quanto interessante.
Il concetto di amicizia è da rivedere completamente. Si nasconde sotto le coperte, ripensando a quanta ilarità, lei facesse sorgere in chiunque incontrasse. Era piccola e il nonno la sollevava, sussurrandole: “A té al mé mond”, nel dialetto locale. Quanti racconti per la piccola Elisa, che, nel frattempo, cresceva e vedeva in lui il marito ideale.