Spesso ci si sforza, nel discorso pubblico, di cercare di individuare cause e possibili rimedi di questo o quell’atto violento e delittuoso, come se quest’ultimo si potesse analizzare solo in una sua intelleggibile singolarità. Ebbene se è vero che è possibile, in ogni azione efferata, individuare una matrice o un contesto che la connota, è altresì vero che quasi sempre si omette di esaminare ciò che è cambiato, da diverso tempo a questa parte, nei comportamenti collettivi nel loro complesso. In altre parole, siamo di fronte a una società umana che si è involgarita ( ovviamente con le dovute eccezioni) e imbarbarita, a una comunità che appare allo sbando, lontana da qualsiasi seria prospettiva di redenzione.
Il tanto decantato declino delle ideologie ha certo indotto l’uomo moderno a superare storici steccati. Ma nel contempo ha altresì provocato uno smarrimento valoriale delle coscienze, le quali navigano senza meta nel “mare magnum” dell’egoismo e di un nichilismo sempre più diffuso.
Diversi anni fa il filosofo Gianni Vattimo aveva coniato il concetto del cosìddetto ” Pensiero Debole”, elemento caratterizzante, a suo giudizio, non solo della Filosofia ma anche delle moderne organizzazioni sociali. Per Vattimo, l’espressione ” Pensiero debole”, stava a significare ripensamento di qualsiasi idea portante o sistema di valori, che sta alla base della civiltà occidentale.
Secondo lo stesso pensatore però questo fenomeno non doveva interpretarsi in chiave necessariamente negativa: la crisi valoriale o in altre parole, una certa parcellizzazione delle chiavi di lettura della realtà, poteva fungere da spinta propulsiva di nuovi orizzonti etici e partorire versioni stimolanti delle nascenti soggettività.
Tuttavia, a parere dello scrivente, a distanza di più di vent’anni dall’ottimistica previsione del filosofo piemontese, si è verificato l’esatto contrario di quanto quest’ultimo aveva auspicato. Il cosiddetto ” Pensiero Debole” infatti, non ha determinato per nulla un rilancio dell’etica collettiva e nuovi ed edificanti modelli comportamentali. Viceversa, stiamo assistendo tanto nell’agire politico quanto sul piano delle condotte sociali, alla perdita di qualsiasi decenza ed obiettività, nonché al trionfo dell’arbitrio e di un individualismo volgare, che si traducono in atteggiamenti ottusi, al limite del nevrotico, di difesa dell’indifendibile. In questa deriva valoriale, un ruolo rilevante l’ha giocato, a mio giudizio, anche una certa crisi del Cristianesimo, di cui, mi spiace dirlo, quest’ultimo Papa è stato il ( forse involontario) artefice. Perché Bergoglio, nel suo pur lodevole intento di umanizzare l’Istituzione, recuperandone la valenza pastorale, non è stato per nulla un efficace difensore dei valori delle società piu’ evolute. La sua flebile “Voce”, che avrebbe potuto recitare un ruolo importantissimo, si è limitata a generiche dichiarazioni di principio, mettendo sullo stesso piano tutte le civiltà, compresa quella islamica e le sue note aberrazioni. Comportamento quest’ultimo ben diverso da quello del criticato predecessore Ratzinger, il quale aveva più volte messo in luce i gravi rischi del cosiddetto ” relativismo etico e religioso”, denunciandone possibili derive nichilistiche.
Ebbene i fenomeni cui stiamo assistendo, la violenza, la sopraffazione dell’uomo sull’uomo ( e non soltanto dell’uomo sulla donna), il gusto di uccidere, senza che faccia capolino la minima ombra di rammarico e desiderio di espiazione, sono, a mio parere, anche espressioni di una società ” relativizzata” nel senso piu’ negativo, nell’ambito della quale verità e giustizia vengono spesso distorte a fini personali, il più delle volte tanto capricciosi quanto abbietti.
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Relativismo e gusto di uccidere
Intervento dello scrittore Fabrizio Uberto
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