Il quadro generale di quello che può essere definito come “indebolimento culturale” si sta verificando in questa “società dell’apparire” e nella trasformazione della democrazia in “recitativa” (vero punto nodale della “difficoltà democratica” in corso e in via di involuzione verso il sistema delle cosiddette “democrature”).
Spicca una sorta di “recessione strutturale” dalla capacità complessiva di espressione di un insegnamento inteso prima di tutto come categoria della dimostrazione di senso prima ancora che soggetto di trasmissione di nozioni ed espressioni culturali.
Risalta in particolare un arretramento nella formazione a un pensiero e a un atteggiamento matematico: i mezzi di comunicazione di massa spesso non sono in grado di esaminare i dati numerici avanzati dai politici e le informazioni che contengono dati numerici corretti sono contestati da interlocutori mal formati al ragionamento matematico.
Il terreno del dibattito diventa così, davanti alla radicale contrapposizione delle opinioni, il classico “Sono tutti bugiardi”: ovviamente non sono i numeri a mentire ma diventa bugiarda una interpretazione pigra e decontestualizzata. Nell’ambiente dell’insegnamento si parla di “incompetenza scientifica che prevale sulle cattive intenzioni”.
Va ricordato che se i decisori intendono muoversi anche sul terreno della realtà l’interpretazione dei numeri diventa questione politica come egualmente politico diventa il tema dell’insegnamento della matematica .
Non stiamo pensando soltanto ai dati econometrici ma , per esempio, alla lettura dei risultati elettorali quasi sempre interpretati attraverso percentuali anziché numeri assoluti, fuorviandone del tutto la percezione pubblica degli esiti.
In Italia dobbiamo ancora essere capaci di compiere un passo di riequilibrio tra l’idea (ancora gentiliana) che esistano culture di Serie A e di Serie B: va riaperto il discorso di una ricerca di intreccio indispensabile proprio per fronteggiare quell’indebolimento culturale cui si accennava all’inizio.
Occorre ridefinire (come scrive Bruno D’Amore) l’insegnamento della matematica come ” il sistema sociale complesso ed eterogeneo che, in sinergia con l’epistemologia, la sociologia, la psicologia,la semiotica e la pedagogia porta alla definizione del ruolo che la matematica recita nella società e la sua influenza nel dibattito culturale“.
Alla fine si tratterebbe di spezzare la convinzione che in matematica bisogna soltanto fare i calcoli ritenendo che le parole non siano importanti e che sia sufficiente usare i dati numerici per fornire risposte formali.
Per concludere sarà il caso di citare un testo del pedagogista francese Philippe Meirieu (Faire l’ école, faire la classe, citato in un articolo di “Domani” firmato da Raffaele Casati):
“Per poter costruire uno spazio pubblico orientato alla trasmissione delle conoscenze la scuola deve sospendere violenza e seduzione collocando al centro della propria organizzazione le esigenze di esattezza, precisione, verità”.
Ecco: proprio l’esigenza di verità che dovrebbe sovraintendere alla ricostruzione dello spazio pubblico.
Verità la cui assenza appare come il vero punto di crisi della democrazia ormai ridotta a ribalta televisiva e ad uso social network.