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QUANTO E COME SIAMO INGANNATI DALLA IA (INTELLIGENZA ARTIFICIALE)

Un nuovo scontro tra apocalittici e integrati relativo all'intelligenza artificiale.

Attualmente il dibattito relativo alla IA (intelligenza artificiale) è piuttosto intenso e vivace. Le opinioni sono varie, riporto quella più catastrofica, apparsa circa un mese fa sul sito del CAIS (Center for AI safety, potete trovate il testo originale in inglese al seguente link Statement on AI Risk | CAIS [safe.ai]).

L’appello paragona l’IA ai pericoli delle pandemie o ai rischi dovuti all’energia nucleare, afferma che uno scorretto utilizzo della IA possa portare all’estinzione della specie umana.

Dato che l’umanità è soggetta a questo enorme rischio, ritengo utile fornire alcuni chiarimenti. Appare evidente che l’IA sia un argomento che scateni le nostre fantasie, in quest’epoca capita di rado. Ad essa si associano i già citati terrori apocalittici, il mito di Pigmalione, il Golem e Frankenstein, non male per chi è nato nel 1956. Ovviamente è difficile attribuire una data precisa, stabilire se davvero l’IA abbia sessantasette anni. Si ritiene che nel corso di una conferenza a Darthmouth (U.S.A) venne coniato il termine IA per la prima volta.

Dedicherò alcune brevi considerazioni sull’intelligenza umana. Essa è generalmente intesa come la capacità di risolvere i problemi, questa la definizione adottata alla conferenza di Darthmouth. Più precisamente, i suoi partecipanti ritenevano l’intelligenza umana basata su ragionamenti formalizzati che potevano essere riprodotti dai calcolatori digitali. Questa scelta però è arbitraria, riporta solo una delle possibili modalità di esprimere il concetto l’intelligenza. Al momento non esiste un accordo condiviso tra gli esperti su cosa sia e come indicare precisamente ciò che intendiamo per intelligenza.

L’Enciclopedia Treccani riporta che l’intelligenza prevede pensiero, comprensione, spiegazione, giudizi; attribuisce all’intelligenza artificiale una parziale capacità di riproduzione dell’attività umana.

In campo psicologico è ben nota la teoria delle intelligenze multiple di Howard Gardner, la quale prevede fino a nove tipologie di intelligenze principali; altri autori ritengono che le tipologie di intelligenza superino l’ordine delle centinaia.

Torniamo ora all’IA, Joseph Weizembaum ha creato il chatbot, (software che simula le conversazioni umane) Eliza (1964-66 ) il primo programma per computer in grado di interagire con gli utenti tramite un’interfaccia in linguaggio naturale. Dato che questa è una rubrica di psicologia, ricordo il nome del prototipo che ha preceduto Eliza: Doctor. Nome attribuito alla sua creatura in modo scherzoso da Weizembaum, in quanto aveva impostato il copione del programma in maniera che questi rispondesse come uno psicoterapeuta rogersiano, quello (mal) rappresentato nei film che in genere tende a riformulare la domanda posta dal paziente.

Da questo primo genitore l’IA si è evoluta fino a produrre Chatgp, la quale non è altro che un modello probabilistico basato su uno sterminato database che comprende tutto ciò che circola in rete. Scritto in maniera più semplice, i chabot sono da paragonare a sterminati archivi che possono essere assemblati ad una velocità ineguagliabile per gli esseri umani.

Facciamo ora un passo indietro, nel 1950 Alan Turing (considerato il padre dell’informatica) nel suo articolo macchine calcolatrici e intelligenza, proponeva un gioco, oggi più comunemente e forse impropriamente descritto come test di Turing. L’autore riteneva piuttosto improbabile che una macchina superasse questo “test”. Nel 1991 Hug Loeber ha creato un omonimo premio, in cui si cerca di far superare alle macchine il test di Turing. Sicuramente vi chiederete se esiste un programma che abbia mai vinto questa competizione, al riguardo lascio la risposta al professor Simone Natale, il quale la esprime chiaramente nel suo libro macchine ingannevoli:

Il Premio Loeber è un esercizio di simulazione della socialità quanto dell’intelligenza. Il Premio Loeber fa della socialità una caratteristica distintiva della IA. Il suo messaggio chiave non è se raggiungeremo o meno l’IA, ma piuttosto che in realtà non esiste l’ <<intelligenza artificiale>>: ci sono solo interazioni socialmente orientate che portano ad attribuire intelligenza alle macchine.

Molte delle proiezioni effettuate sulla IA sono frutto di un’ottima strategia di marketing creata nel corso del tempo dai venditori di computer e dai produttori di software. Alcuni anni orsono i PC erano chiamati elaboratori o calcolatori elettronici, oggi nessuno utilizzerebbe mai il termine supermegacalcolatore per indicare uno smartphone (telefono intelligente). Difficile affascinare le persone vantando solamente una notevole potenza e velocità di calcolo. Grazie alla pubblicità ed una caratteristica prettamente umana come la creatività, si è voluto associare l’informatica all’intelligenza generando una metafora fuorviante quanto efficace. Le macchine hanno capacità di ricerca, risposta, calcolo e assemblaggio delle informazioni sbalorditive. Esse però sono totalmente prive di coscienza, creatività, relazioni, emozioni e libero arbitrio, tutte caratteristiche a quanto pare appartenenti solamente all’essere umano.

Shakespeare aveva scritto che tutto il mondo è un palcoscenico, l’IA mette in atto una recita, se questa è ben riuscita fa credere che le macchine siano intelligenti.

Chi desidera porre quesiti od esprimere osservazioni può scrivere al seguente indirizzo email: liberamenteeco@gmail.com

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