Mercoledì 8 marzo, come ogni anno dal 1922, si celebra la Giornata Internazionale della Donna. La Giornata, come da tradizione in Italia, si colorerà di mimose, un fiore di campo economico e colorato, scelto nel 1946 per queste particolarita’, da tre donne politiche italiane, come fiore simbolo di questa giornata: Teresa Mattei, Rita Montagnana e Teresa Noce combatterono nella Resistenza, fecero parte della Costituente e furono
successivamente parlamentari della Repubblica.
Questa Giornata vuole ricordare le conquiste sociali, economiche e politiche raggiunte faticosamente nei secoli dalle donne, ma anche le discriminazioni di cui sono state e sono a tutt’oggi ancora oggetto nel Mondo. Questa data, ci dice la leggenda, parte da un episodio ben determinato per ricordare la dura repressione di una manifestazione sindacale di camiciaie organizzata nel 1857 a New York. L’idea di celebrare la “Giornata della donna” nasce quindi negli USA nel 1909 in seguito a questo episodio, per divenire poi internazionale a partire dal 1922.
Il tema sul quale vorrei fare il punto non è parlare di questa giornata, ma è di tracciare in macro aree come le donne oggi, nel 2023, siano ancora discriminate. Lavoro, famiglia, istruzione, violenza, nuove tecnologie, sono i
temi fondamentali da cui dobbiamo partire per intraprendere azioni positive per la parità sia da un punto di vista strutturale, che da un punto di vista di grande cambiamento culturale. Il lavoro ahimè è uno dei tasti più dolenti in Italia non solo per l’accesso al mercato del lavoro. Per favorire la tentata carriera femminile, sarebbe
importante tenere conto dei rallentamenti di carriera dovuti ad una possibile gravidanza, che non incidono sul proprio valore ma di fatto penalizzano gravemente la vita lavorativa della donna oltre chiaramente essere vittima di un gap salariale.
Si potrebbero offrire, in condizione di parità di genere, dei congedi parentali agli uomini allungando il periodo di paternità obbligatorio e migliorando sostanzialmente i servizi degli asili ma a prezzi accessibili. Potremmo
parlare all’infinito anche sul ruolo della donna nella famiglia o nell’istruzione. Sarebbe importante insegnare già nelle scuole primarie la pari opportunità come valore unico e imprescindibile. Le differenze di genere sono
prettamente sociali e soprattutto il genere femminile non deve essere discriminato nelle scelte educative.
Occorrerebbe insegnare ai bambini, alle bambine, ma soprattutto alle loro famiglie, il concetto di parità e quello maggiormente del rispetto, perché solo questo può portare a una crescita positiva e ad una evoluzione della
societa’. La donna in letteratura “esiste” partendo dal suo rapporto con l’uomo nelle vesti di marito, padre e compagno. La crescita positiva dovrebbe essere quella di identificarla invece come una persona autonoma,
libera e attiva nella società nei diversi e molteplici ruoli sociali.
Arrivo così a soffermarmi sull’argomento che è oggetto e soggetto quotidianamente della nostra realta’ storica, cioè della violenza sulle donne, o ancora meglio della “violenza di genere contro le donne” più che violenza contro le donne. E’ una violenza strutturale, non esistono limiti culturali e geografici e possiamo ripararla solamente offrendo aiuto alle vittime e intervenendo sulla visione stereotipata del ruolo della donna nella società. Quante volte è successo che episodi di violenza siano stati giustificati o ignorati dalla comunità di appartenenza della vittima per il comportamento non adeguato della stessa.
Noi parliamo di violenza domestica, di stupro, di stalking, di femminicidio, di violenza digitale, di violenze sui fronti di guerra, dove l’obiettivo di questa violenza è la donna in quanto donna, discriminazione perversa insita nella nostra società nonostante giuridicamente si parli di parità e di pari opportunità. I giornali e i telegiornali ci riportano, quasi ogni giorno, sempre più situazioni di stupro socialmente trasversali, dove velatamente ancora oggi si addebita alla donna la responsabilità della violenza subita.
Se leggiamo l’art. 609 bis c.p. questo recita che “si punisce con la reclusione da 5 a 10 anni chi, con violenza o minaccia o abuso d’autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali.” La violenza sessuale è un fenomeno diffuso in tutto il mondo e le vittime molto spesso non conoscono i propri diritti. Questo non è soltanto un crimine sessuale ma viola diversi altri diritti umani quali il diritto all’integrità fisica, all’autonomia sessuale, alla vita, alla salute fisica e mentale, alla sicurezza personale, all’uguaglianza all’interno della famiglia. La Convenzione delle Nazioni Unite sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le
donne (CEDAW) raccomanda di non considerare lo stupro come un crimine contro la moralità, ma che lo stupro sia considerato come un crimine contro l’integrità fisica e l’autonomia sessuale di una persona e sottolinea che ci si deve concentrare sulla mancanza di consenso, non sulla presenza di forme di violenza.
Molti Paesi hanno modificato le proprie definizioni legali di stupro, definendo che non è consenso l’atto di esitare di fronte a un attacco di violenza sessuale, perché questa esitazione è strutturalmente una
risposta psicologica e fisiologica diffusa che lascia la vittima incapace di imporsi all’aggressione, spesso fino all’immobilità. Il consenso, recita l’art. 36 della Convenzione di Istanbul, deve essere dato volontariamente come risultato del libero arbitrio della persona valutato nel contesto delle condizioni circostanti.
Nelle scorse settimane ho scritto un articolo sulle mutilazioni genitali femminili (MGF) e parliamo di 200 milioni di donne ad oggi che hanno subito questo tipo di violenza. Se guardiamo ai dati italiani, il web riporta che ben 6
milioni 788 mila donne hanno subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. L’abitudine più comune è quella di giustificare dicendo che è stato solo un momento di rabbia, che lei lo aveva
fatto ingelosire, oppure che aveva bevuto un po’ troppo (e qua ci riferiamo agli episodi sempre piu’ ripetuti di giovani uomini che non sono stati educati al rispetto ma che sono imprigionati per debolezza in ruoli arcaici di genere).
Non dobbiamo abbassare la guardia!. Ognuno di noi nel proprio piccolo sia uomini che donne, sia madri che padri, può avere un ruolo importante in questa grande e difficile battaglia. Dobbiamo diffondere la parità, dobbiamo sostenere il rispetto tra i generi di qualsiasi tipo, accogliere l’inclusione, accettare l’unicità della diversità. Dobbiamo accelerare questo pedale per costruire una nuova visione sociale in questo mondo sempre più in continuo cambiamento.
Virginia Sanchesi
Scrivetemi a tuchiediloame@gmail.com o contattaci in redazione e saremo felici di aprire
un contatto diretto o una chat fra me e voi.!!