In attesa dei numeri definitivi della partecipazione e della divisione del voto tra i candidati non è possibile procedere ad una analisi approfondita circa l’esito delle primarie del PD svoltesi domenica 26 febbraio.
Purtuttavia analizzando il trend delle precedenti primarie è possibile già individuare quale possa essere il compito principale della nuova segreteria: rivolgersi in un certo senso al passato e tornare a far pesare il PD nel voto d’opinione superando la logica del voto di scambio, di cui il partito è stato tra gli esempi nell’ultimo decennio nel quadro di una trasformazione di un sistema politico italiano permeato di improvvisazione populistica e via via in fase di indebolimento progressivo.
Sia consentita una sola annotazione di merito: il punto di rottura definitivo tra il PD e il voto d’opinione con l’avvento della logica di scambio si è verificata con le primarie 2017, nell’occasione in cui si confermò Matteo Renzi segretario dopo la sconfitta nel referendum del 4 dicembre 2016.
In quell’occasione la percentuale di partecipazione al voto “aperto” rispetto al totale del corpo elettorale scende dal 6,00% del 2013 (vince Renzi non ancora presidente del consiglio in linea con il dato dell’elezione di Bersani 2009: 6,31%) al 2,55%.
Questo dato (poi risalito soltanto al 3,40% nel 2019) ha rappresentato plasticamente il mutamento di natura del Partito Democratico passato dal voto d’opinione (con un residuo marginale di voto d’appartenenza) al voto di scambio (con una ridotta capacità di voto d’opinione nei riguardi di settori ben precisi dell’opinione pubblica, particolarmente informati e soprattutto concentrati sul tema dei diritti civili prevalente su quello dei diritti sociali).
Il passaggio alla prevalenza del voto di scambio nell’aggregazione del consenso elettorale, ha rappresentato il punto di omologazione del partito al fenomeno della volatilità elettorale che ormai contraddistingue gli esiti delle urne da diverse occasioni .
Fenomeno della volatilità elettorale che ha colpito progressivamente prima il PD a segreteria Renzi, poi il M5S quindi la Lega ( elezioni 2019) e conseguentemente ha ridotto la capacità d’attrazione del partito di maggioranza relativa con il caso dell’affermazione di FdI nelle elezioni 2022 con soli 7 milioni e mezzo di voti mentre la platea degli astenuti si è ampliata di oltre 4 milioni di unità, avendo il precedente partito di maggioranza relativa (M5S elezioni 2018) lasciato sul campo circa 6 milioni di voti. Questo è avvenuto perché il consumarsi progressivo delle ragioni occasionali del voto di scambio non possono che rivolgersi all’astensione: va quindi posta molta attenzione al fenomeno dell’intreccio tra volatilità e astensione che riguarda l’intero sistema. I “delusi” quindi risultano essere assolutamente “trasversali” e apparentemente recuperabili soltanto attraverso meccanismi attrattivi di tipo populistico (80 euro, bonus, promessa di fermare i migranti, ecc,ecc).
Il compito prioritario della nuova segreteria PD dovrà allora essere quello di riportare l’aggregazione di consenso nel senso di un riferimento di “valore” e di una espressione di “opinione” e non di attesa di una qualche elargizione (possibilmente a pioggia, di cui è stato maestro Berlusconi iniziatore di questo processo tramite una disgraziata espressione del paternalismo di destra): non sarà facile perchè si tratterà di capire come potrà agire nella moderna complessità un “catch all party” (struttura, organizzazione, comunicazione) e quanto sarà necessario, invece, ridefinirsi socialmente e culturalmente in forma stabile