La lunga, stanca e stantia fase congressuale del Partito Democratico sta arrivando al suo atto conclusivo: domenica 26 febbraio si vota e si decide il prossimo Segretario Nazionale del PD.
Dopo la prima fase dei voti degli iscritti nei Circoli (Ahimè pochini, poco oltre i 150mila) sui quattro candidati (Stefano Bonaccini, Elly Schlein, Gianni Cuperlo e Paola De Micheli); i due candidati più votati, Bonacini (54,3%) e Schlein) (33,91%) andranno al voto dei gazebo con le Primarie di domenica.
È una delle prime volte che mi capita di seguire solo dall’esterno il Congresso del PD: l’ho fatto e lo farò per onestà intellettuale e per rispetto; perché credo che anche nelle Primarie, pur aperte, dovrebbe votare il popolo largo del PD (iscritti ed elettori potenziali)
Molti commentatori hanno già sottolineato in rosso le criticità irrisolte di questo estenuante percorso congressuale, iniziato – con le dimissioni di Enrico Letta – all’indomani della dura e cruda sconfitta del PD e della vittoria del Destracentro a guida Giorgia Meloni del 25 settembre 2022.
Nell’epoca della digitalizzazione, del Villaggio globale e del Just in Time, sei lunghi mesi di confronto congressuale aperto, sono un “non sense” e una scelta politica sbagliata e masochista.
La prima ovvia e lapalissiana constatazione e contraddizione, sta proprio nell’assunto di come sia stato possibile, anche solo pensare, di mantenere fermo e bloccato il primo Partito della opposizione per 6 mesi (un’era glaciale) mentre avveniva una cesura storica nel Paese e si insediava, per la prima volta nella storia della Repubblica democratica e antifascista, il primo Governo di Destracentro guidato da una Donna di “Destra conclamata”.
La conseguenza apodittica e negativa di una siffatta scelta di percorso congressuale, è stata da un lato la oggettiva impossibilità di sondare i “perché” delle sconfitte del PD e del Centrosinistra negli ultimi 10 anni e, dall’altro, di riposizionare il Partito su un nuovo asse strategico, valoriale e programmatico facendo tesoro delle “cause” delle sconfitte, della perdita di 6 milioni di elettori e di 600mila iscritti “bruciando” 9 Segretari e subendo due scissioni in 14 anni di vita di un Partito, come sostiene il mio amico Massimo Cacciari, mai nato o morto già nella culla.
Il percorso congressuale a consuntivo evidenzia poche luci e molte ombre e metterà a dura prova il nuovo Segretario del PD, nell’arduo lavoro di tentare di dare un orizzonte virtuoso, moderno e innovato a un Partito, a prescindere dal quale, non esiste né nella realtà, né in vitro; né oggi, né domani o dopodomani alcuna possibilità di ricostruire un Centrosinistra popolare, pragmatico, riformista di governo e vincente. Dal mio punto di vista il Congresso, soprattutto per merito delle proposte di Stefano Bonaccini e di alcuni “contributi” di Gianni Cuperlo, sta positivamente precisando punti programmatici decisivi sul Lavoro, la Formazione e Istruzione, la Sanità Pubblica e la tastiera per superare i fenomeni drammatici della precarietà a vita delle giovani generazioni, delle diseguaglianze e della povertà assoluta e relativa. Di grande interesse (e coraggio) è l’annuncio di Bonaccini sulla urgenza di superare la cosiddetta “diversità morale a prescindere” che storicamente ha impedito la competizione politica e elettorale sul terreno delle diversità programmatiche e delle scelte di governance; le sfide politiche “per” e non “contro” Players considerati “nemici” invece che “avversari”. Se mantenuta come bussola della nuova fase politica nata dalle Elezioni del 25 settembre, una siffatta innovazione di metodo e merito politico, potrebbe finalmente saturare la ferita, mai emarginata, delle ricadute della seconda Guerra mondiale, della deriva della dittatura fascista e della liberazione dalla oppressione nazifascista con il contributo decisivo della Resistenza che informa di sé la nostra Costituzione.
Si tratta di superare la pregiudiziale aprioristica contrapposizione tra passato e presente, tra Destra illiberale e Sinistra massimalista, ricostruendo un nuovo campo competitivo tra Destra conservatrice (ma democratica) e Sinistra riformista (popolare e non ideologica). Sarebbe ben venuta l’ora di finirla con i metodi di screditare e di sfiduciare l’altro da sé considerandolo come nemico da abbattere e non come avversario da vincere nel Paese e nelle Urne elettorali. Superare la delegittimazione nell’interesse generale del Paese, significa anche muoversi nella direzione di un clima meno avvelenato di quello sparso a piene mani in questi ultimi decenni dai vari neopopulismi. Un’aspirazione che, appunto, la campagna per le primarie di Bonaccini ha racchiuso nell’idea di un Pd che torni a essere un partito popolare ma non populista (e in grado anche di esprimere una “vocazione maggioritaria”). Si può fare battaglia politica (anche dura e senza sconti) senza demonizzare chi si combatte? Si può considerare chi sta dall’altra parte un avversario e non un nemico? È quello che succede in tutte le democrazie liberali e i “Paesi normali”. Mentre l’Italia si conferma, come d’abitudine, un’eccezione. L’ultimo episodio, sul quale si sono addensate delle polemiche strumentali (e mirate rispetto alle primarie del Pd), riguarda le dichiarazioni di Stefano Bonaccini ed Enrico Letta su Giorgia Meloni. Parole di riconoscimento di un’avversaria la quale ha rivinto le elezioni (quelle regionali), seppur in presenza di un astensionismo molto elevato – che, difatti, come indicano i flussi degli istituti di ricerca, ha colpito soprattutto a sinistra e al centro. E non certo “lodi”, come descritto pretestuosamente da qualcuno dentro il Partito democratico, compresa la Elly Schlein che a me pare una novella Giovanna D’Arco, cooptata “dall’establishment della gauche caviar” e che ha dietro la regia dei tanti Gattopardi e dei Gestori della “Ditta”, ora riconvertiti all’adagio di Giuseppe Tomasi di Lampedusa “Bisogna cambiare tutto affinché nulla cambi”. Attenzione per Chi andrà a votare a non farsi prendere dagli abbagli o a scambiare fischi per fiaschi. Elly Schlein è giovane, donna a tutto tondo, intelligente, brava e diversa per scelte consapevoli di vita: ma non è tutto oro quello che luccica! Elly non è né un underdog, né una giovane che ha vissuto la “precarietà “ della sua generazione e, tantomeno, ha dovuto “sbracciare” per farsi largo nella politica. Giovanissima è stata “cooptata” per competere alle elezioni europee “per concessione” e “grazia ricevuta” del fenomeno Pippo Civati e dopo qualche anno di militanza nel PD, ha pensato bene di lasciare il Partito (ma non il seggio europeo) per seguire le magnifiche sorti progressiste del suo mentore.
Ha scritto di Lei il politologo e saggista Paolo Pombeni “Schlein rappresenta il tipico prodotto dei talk show televisivi. Un esempio plastico della contaminazione del partito….Ha costruito la sua ascesa politica (e in questo ha qualche responsabilità anche Bonaccini) inseguendo feticci: diritti sbandierati qua e là, il “partito degli ultimi” che non vuol dire nulla e tutte le altre amenità di cui quel mondo si riempie la bocca. E quale sarebbe il suo bacino di riferimento”? L’egemonia delle moderne forze propulsive della innovazione di classe nelle moderne società democratiche, non si realizza a parole e per frasi fatte fungibili per tutte le stagioni.
Un solo rilievo critico al racconto di Bonaccini sull’azzeramento dell’intero Gruppo Dirigente, un po’ sull’onda della fallita “rottamazione “ di Renzi. Cambiare il Gruppo Dirigente del PD è un sacrosanto orizzonte strategico ma attenzione: è un giusto intendimento, che tuttavia va perseguito attraverso il pragmatismo e la progressività. La metodologia non deve essere quella di un azzeramento sic et simpliciter, specie perché è inimmaginabile che gli attuali dirigenti siano tutti da “cestinare”. Non commetta, Bonaccini, l’errore di Renzi. Piuttosto, la strada da percorrere è quella di una progressiva disarticolazione della vecchia classe dirigente che lasci spazio a una nuova classe politica in “cantiere”. Sostituire quella vecchia con quella nuova in progress e riportare a votare una parte di quel 60% di italiani che a votare non ci vanno più!
Chi vivrà, vedrà!
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PD al voto delle Primarie: Congresso Costituente o incocludente?
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