Non c’è mai stato un dopoguerra: dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi gli eventi bellici si sono succeduti con una cadenza impressionante, all’epoca della logica dei blocchi e – dopo – quando caduto il muro di Berlino qualcuno aveva scritto di “fine della storia”.
Salgono alla mente ricordi di immani tragedie: Corea, Indocina poi Vietnam, Congo e l’Africa Nera Angola e Mozambico, Kippur, Medio Oriente, i Balcani e in tempi più recenti Iraq, Libia, Siria, Afghanistan, tanto per citare qualche passaggio dimenticandone la maggior parte, dalle Falkland a Timor Est alle “pulizie etniche” per lo sterminio di interi popoli.
Sta per terminare questo 2022 che ha segnato però un passaggio d’epoca: quello che gli analisti hanno definito il “ritorno della guerra nel cuore dell’Europa”, là nell’Ucraina dove, nel corso della seconda guerra mondiale, fu forse il luogo nel quale si realizzò la maggiore efferatezza nazista.
Di fronte al proditorio attacco russo non si è fin qui sviluppata alcuna iniziativa di pace, anzi si è messa in moto da tutte le parti una gigantesca macchina bellica mentre ci si sta avviando verso un’altra fase di profonda divisione nel mondo.
L’unica voce inascoltata che cerca di levarsi contro “l’inutile strage” è quella del Papa Francesco: ma come si diceva un tempo: “quante divisioni ha il papa?”.
Lo svolgimento dei campionati mondiali di calcio in Qatar ha rappresentato, anche da questo punto di vista, l’illustrazione del decadimento di un valore storico: quello dello sport come espressione di un’idea di pace universale: anzi nel bailamme affaristico e nella violazione dei diritti umani che ha contrassegnato l’avventura della FIFA in Qatar il tema della pace è stato completamente abbandonato e nessuna voce si è levata tradendo anche lo stesso ideale olimpico.
Così abbiamo pensato di riprendere la storia più bella di quando lo sport, il calcio in particolare, era considerato valore, veicolo, segno di pace.
Una storia che ci riporta al Natale 1914, nel primo anno di quella che poi sarebbe stata definita la “Grande Guerra”.
Torniamo al 1914: la guerra era iniziata da pochi mesi e molti speravano ancora che sarebbe stata di breve durata, senza sapere che erano lì in attesa lunghi 4 anni di durissimo conflitto.
All’avvicinarsi delle festività natalizie di quel 1914 furono molti gli appelli alle nazioni in guerra per sospendere, almeno momentaneamente, quel logorante conflitto armato. Un gruppo di 101 suffragette britanniche sottoscrisse la “Open Maschista Letter” indirizzata alle donne di Germania e Austria, in cui si manifestava la loro volontà di sospendere la guerra, ci fu anche il celebre appello di Papa Benedetto XV, poi respinto dalle nazioni combattenti, in cui supplicava di sospendere il conflitto evidenziando come “i cannoni possono tacere almeno nella notte in cui gli angeli cantano”.
La mattina del 25 dicembre, vicino ad Ypres al centro del fronte francese, accade quanto di più impronosticabile possibile. La temperatura era molto bassa e il terreno fangoso “di mezzo” era interamente gelato.
Non si sa chi, nemmeno di quale schieramento, ebbe una pazza e folle idea: prendere diversi stracci, unirli con una corda affinché sembrasse un pallone e semplicemente lanciarlo in quella terra desolata e ghiacciata. Fischio d’inizio. Un centinaio di soldati scende in campo, le squadre si distinguono semplicemente dal colore della divisa, nessuna regola, nessun tempo, nessun arbitro.
Nacque così il più spontaneo, il più vero e il più umano Inghilterra-Germania della storia. La partita durò ad oltranza, i soldati calciavano quell’ammasso di stracci sfogandosi e respirando quell’aria che sapeva di una libertà nuova e che molti, ancora giovanissimi, avevano dimenticato.
Diverse fonti, tra cui il 133esimo reggimento tedesco e Robert Graves (poeta britannico), sostengono che il risultato della partita fu 3-2 per i tedeschi. Le “dichiarazioni dal campo” quel giorno non vennero registrate ma è lecito credere come nessun francese fu triste per la sconfitta, di fronte a tale magia il risultato non aveva alcun valore.
La stampa riportò solo dopo alcuni giorni gli strani avvenimenti di quel magico Natale. Il primo a scrivere qualcosa riguardo fu il New York Times, all’epoca gli Stati Uniti non erano ancora in guerra e il giornale descrisse ciò che avvenne durante la tregua non prima del 31 dicembre.
È oggi commovente apprendere come sotto le uniformi quei soldati non erano nient’altro che ragazzini mossi dagli stessi istinti di chiunque altro: l’amore per il calcio, la voglia di libertà e il calore del Natale.