BÔNET – PIEMONTE
Questo dolce piemontese è simile al creme caramel per consistenza con cui condivide anche un nome francese. Si prepara con uova, zucchero, latte, cacao, rum e amaretti. Esistono ricette che, più di altre, riescono a unire sapientemente ingredienti semplici ma di alta qualità trasformandoli in qualcosa di unico ed eccezionale, destinato a diventare il simbolo di una regione. Tra questi, c’è il bonèt (o bunèt), uno dei più antichi dolci della tradizione dolciaria piemontese, che, grazie al suo sapore irresistibile e al mix unico di cioccolato e liquore, negli anni ha saputo a conquistare i cuori e i palati di tutti. Oggi lo troviamo in qualunque ristorante, ma siete sicuri di conoscere la storia e i segreti di questo budino? Bisogna addentrarsi tra le Langhe e il Monferrato e tornare indietro nel tempo, a quando il cioccolato fa la sua comparsa in Europa, per scoprire la ricetta originale. Come per la Seada sarda, anche l’origine del bonèt piemontese risale a un’epoca lontana, a quando il cioccolato era ancora un prodotto sconosciuto in Europa. Infatti, pare che l’antenato di questo dolce al cucchiaio sia nato in Piemonte intorno al XIII secolo, come conclusione dei banchetti medievali più sontuosi, almeno secondo le testimonianze storiche: si tratta, tuttavia, di una ricetta diversa rispetto a quella moderna, decisamente più semplice e meno ricca di ingredienti, e soprattutto senza cacao. Questa versione bianca, detta “alla monferrina”, altro non è che un dolce preparato con latte, uova, amaretti e zucchero: successivamente, grazie all’evolversi dei gusti e all’arrivo di nuovi prodotti da oltreoceano, intorno al XVIII secolo il bonèt cambia forma diventando “cioccolatoso”, nella versione che noi tutti amiamo e che si è guadagnata l’etichetta di PAT (Prodotto Agroalimentare Tradizionale). Ma cosa significa “bonèt” o “bunèt”? In molti si sono dibattuti sull’origine di questo nome così particolare e, ancora oggi, non c’è un’interpretazione certa. Secondo il vocabolario Piemontese/Italiano di Vittorio di S. Albino del 1859, il termine piemontese “bonèt” sta a indicare uno specifico cappello o berretto tondeggiante, che ricorda nella forma lo stampo a tronco di cono basso in cui veniva cucinato il budino. Questo stampo di rame veniva chiamato, appunto, bonèt ëd cusin-a, ovvero “cappello da cucina” o “berretto del cuoco”. Ma non è l’unica interpretazione: infatti, c’è chi pensa che il richiamo al cappello non derivi dalla forma del dolce, quanto piuttosto al fatto che venisse servito come fine pasto – quindi, come “cappello” a tutto ciò che si era mangiato – perché, all’epoca, era l’ultimo capo d’abbigliamento indossato prima di uscire di casa o da un locale. Oltre alla versione bianca, anche di quella cioccolato ci sono diverse interpretazioni, a seconda della zona di produzione e della creatività di chi lo prepara. Innanzitutto, fino a qualche decennio fa il bonèt tradizionale era a base di Fernet, non di rum, perché si credeva che questo liquore avesse delle particolari proprietà digestive. Inoltre, alcuni aggiungono all’impasto la nocciola Tonda Gentile delle Langhe, altri il caffè e, infine, c’è chi sostituisce il rum con il cognac.