La Storia

La Quarto Savona Quindici: un simbolo che deve comunicare la giustizia alle nuove generazioni

Un insieme di persone, di fronte all’entrata, chiusa, nel cortile dell’Università di Pavia, dalla quale, da Strada Nuova, si può ammirare la statua di Alessandro Volta, celebre protagonista degli scatti nelle giornate di Lauree, tra sorrisi, lacrime e bottiglie di vino.

Un’altra folla, consistente, sempre di varie generazioni, è nel Cortile delle Statue: alcuni sembrano fermi ad ascoltare “qualcuno”, altri entrano, incurositi, altri escono, con il volto non certo sereno. Appena si apre uno spazio, raggiungo l’entrata principale, osservo i manifesti, che, di solito, indicano le iniziative della giornata o di un tempo più lungo e comprendo, quasi faticando a deglutire, poiché quell’ “ammasso” che ho visto, in mezzo alla folla e al cancello, avrei voluto immaginare fosse un’automobile.

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I resti dell’automobile, vittima dell’attentato a Giovanni Falcone, in una di quelle giornate di vergogna per l’onore della storia italiana: l’uccisione dell’avvocato, della moglie, Francesca Morvillo, e dei tre uomini della scorta: Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani, a Capaci, nella stupenda, ma anche soggetta a ingiustizie, Sicilia.

 

 

“Quarto Savona Quindici”: è il nome in codice della Fiat Croma che apriva il convoglio della scorta di Giovanni Falcone, il 23 maggio 1992. Su quella macchina viaggiavano i poliziotti Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani, che furono travolti in pieno dall’esplosione a Capaci e morirono tutti sul colpo. Dietro di loro, l’auto con il magistrato e sua moglie, a loro volta rimasti uccisi.
I rottami della Quarto Savona Quindici hanno schivato l’abbandono grazie alla volontà di Tina Montinaro, vedova di Antonio, e sono custoditi in una teca che viene trasportata in tutta Italia come simbolo di memoria.

 

Un video con lacrime di commozione e rabbia. Questa, come spesso ci “scherzano all’estero, NON è l’Italia!

 

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