Povera Patria! Ci mancava pure la bomba atomica politica innescata dagli “appunti” di Berlusconi e la risposta piccata, secca e senza appello di Giorgia Meloni “non sono ricattabile” a condizionare, sin dalla nascita, il frastagliato percorso del nuovo Governo di Destracentro.
I venti tumultuosi di crisi che scuotono il Paese, l’Europa e il mondo, richiederebbero un Governo forte, coeso e autorevole e una opposizione all’altezza dei tempi; e, invece, siamo all’anno zero!
A complicare tutto sono le criticità della nuova crisi e lo spessore delle problematiche da affrontare subito e in progress.
Sono stati pubblicati, infatti, in queste settimane di ottobre, i più significativi “Outlook” sulle tendenze previsionali della economia italiana e mondiale.
Fondo Monetario Internazionale (FMI), NADEF 2023 (Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza), Scenari Previsionali della Confindustria e Rapporto sui Consumi delle Coop, rappresentano i referenti di studi che alimenteranno questo mio articolo.
La buona tonalità dell’economia italiana post Covid e la crescita consolidata nel 2021 e nei primi due trimestri del 2022, è finita e la economia sta tracimando verso una “recessione tecnica” (due trimestri negativi), con la aggravante di una inflazione a due cifre che taglieggerà redditi, retribuzioni e pensioni.
L’elemento di negativa novità è dato dalla combinazione recessione e inflazione, la cosiddetta (stagflazione), che condizionerà la decrescita, farà rialzare i prezzi, lievitare il carovita e il carrello della spesa e, quindi, taglierà i redditi, anche per l’aumento dei tassi di interesse in tutti i settori dei prestiti e dei debiti dello Stato, delle Imprese e delle famiglie.
I tempi sono bui e il futuro prossimo, un tunnel nero di cui non si intravede alcuna via di uscita!
A voler sintetizzare i trend e gli indicatori di interesse, si rimane basiti e esterrefatti.
Siamo dentro la crisi più grave, inedita e complicata di tutti i tempi moderni dalla Rivoluzione industriale ad oggi.
Il peggio, o meglio il “pejus” deve ancora venire, durerà a lungo e informerà di sé l’ultimo trimestre 2022 e, quantomeno, il biennio 2023 e 2024; scenari al netto delle possibili aggiuntive criticità delle variabili guerra, energia, contrazione della crescita cinese e domanda globale e del possibile risveglio della pandemia.
L’abbrivio degli studi sulla congiuntura, già richiamati, evidenziano siffatte negative certezze e aspettative macro.
Il Rapporto annuale della Coop, mette nero su bianco le criticità e le contraddizioni.
Dal Rapporto Coop, come dagli altri Studi, emerge che siamo un Paese fragile e diviso, mentre il divario tra ricchi e poveri è sempre più ampio in un Paese, come il nostro, che naviga a vista nei marosi di questo (pericoloso) nuovo mondo, nel pieno di un conflitto di Civiltà.
La pandemia, la guerra, l’energia, l’aggravarsi della crisi climatica e la fiammata dell’inflazione hanno innescato una tempesta perfetta che, come tutte le tempeste perfette, sta colpendo dove può arrecare maggiori danni e maggiori sofferenze: l’Italia è, un questo contesto, uno dei Paesi più deboli ed esposti.
Un nuovo mondo ritenuto pericoloso, perché il valore della democrazia è considerato sempre più a rischio, visto che il 40 per cento del Pil globale arriva da Paesi non “liberi”. Perché la povertà alimentare cresce, il commercio internazionale decresce e l’emergenza climatica è oramai una drammatica quotidianità.
Ma tornando al tema del Pil, quello globale sconta un ribasso dal +5,7 per cento del 2021 al +2,9 per cento previsionale del 2022. E, relativamente a quello italiano, le previsioni di crescita si attestano al +3,2 per cento per il 2022 e al +1,3 per cento per il 2023. La Banca d’Italia, il FMI e Confindusria, non escludono il ritorno a un Pil in negativo nel 2023 (-2 per cento), anzi, ne certificano l’avvento con tutte le conseguenze di una nuova stagnazione e recessione.
Poi c’è l’impennata dell’inflazione. In Italia, il dato del +7,8 per cento ci fa tornare indietro di 40 anni: nel 1985, dice il report sopracitato, era al +9,2 per cento e da allora a oggi mai aveva toccato tale picco. Stessa cosa accade ai prezzi per le spese di abitazione e utenze, il cui incremento ci fa pensare ai livelli del 1980 o per i trasporti.
Si calcola che la perdita media del potere d’acquisto delle famiglie sarà di circa 2.300 euro nel 2022.
Alla luce di ciò ben si comprende il dato che indica in 24 milioni i nostri connazionali che quest’anno hanno sperimentato almeno un disagio o che hanno dovuto sopportare dei sacrifici di carattere economico, e in 18 milioni coloro che non sono in grado di raggiungere un livello accettabile per quanto riguarda i beni di cittadinanza, cioè cibo, energia e salute, facendo crescere di 6 milioni le persone sotto la soglia di povertà.
E, infatti, il 57 per cento dichiara già oggi la difficoltà di pagare l’affitto e il 26 per cento pensa di sospenderne o rinviarne il pagamento e, nel caso di luce e gas, un italiano su 3 entro Natale potrebbe non coprire più le spese per le utenze.
Sono già 5 milioni gli italiani che hanno dovuto saltare il saldo di una o due bollette e si stima in 4.700 euro il costo medio annuo aggiuntivo per il 2023.
Il bollettino ultimo della Caritas conferma e quantifica in oltre 2 milioni le famiglie in povertà, con il carico di oltre 5.6 milioni di persone, mentre l’attuale misura del Reddito di Cittadinanza (4 milioni di utenti) raggiunge solo 2 milioni di persone in stato di povertà assoluta. Gli altri 2 milioni vanno all’Italietta dei “furbetti “ e della malavita.
Non basta più essere le formiche d’Europa – sottolinea il rapporto – quando poi risultiamo ultimi nella classifica di chi dichiara di spendere di più per godersi il presente e quando il 30 per cento della popolazione vive in una condizione di disagio che si traduce in una classe media sempre più in difficoltà e consapevole che avere un impiego, non vuol dire anche avere uno stile di vita dignitoso.
I nostri salari, per fare un esempio, sono gli stessi degli spagnoli, ma il costo della vita è del 20 per cento più alto del loro, il nostro è paragonabile a quello della Germania dove però gli stipendi sono superiori ai nostri del 33 per cento.
Da noi il 28 per cento degli impiegati guadagna meno di 9 euro lordi all’ora. 23 italiani su 100 non arrivano a 800 euro e 900mila persone hanno un reddito da lavoro dipendente che non raggiunge i mille euro: il doppio delle persone rispetto a 15 anni fa.
A questo dobbiamo aggiungere il fatto che 3,2 milioni di persone lavorano in nero, a 4,2 milioni è stato imposto un part-time e 3,1 hanno un contratto a termine.
Se consideriamo anche che l’inflazione potrebbe ancora aumentare, appare chiaro a tutti che questa nuova classe di lavoratori è la “working poor”, quella che purtroppo da qui alla fine dell’anno si troverà costretta a decidere se pagare prima il mutuo o l’affitto di casa, oppure le bollette oppure la spesa. Stiamo parlando di un italiano su tre.
Per contro, il rapporto rileva una crescita importante del mercato del lusso. Il mercato immobiliare delle abitazioni da oltre un milione di euro, per fare un esempio, ha segnato un più 46 per cento, come anche quello delle automobili di alta gamma che ha registrato un più 16 per cento.
Un altro dato che cresce è quello della forbice tra chi ha poco e chi ha troppo. Infatti, la ricchezza posseduta da pochi segna un aumento del 36 per cento.
Lo scenario delineato nel Rapporto 2022 ci restituisce l’immagine di un’Italia chiamata ad affrontare sfide molto impegnative che richiedono uno spiccato senso di responsabilità per coloro che sono stati chiamati al governo del nostro Paese.
Un Paese reso sempre più fragile dal costante accentuarsi del divario tra la parte crescente di individui in sofferenza e quella più esigua, ma sempre più abbiente, di ricchi.
Ma di un siffatto Governo non si vede traccia.
Bruno Spagnoletti
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L’Ialia divisa e fragile tra marosi della nuova crisi
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