Dal Pensiero alla Penna

“Andare a casa”: una storia d’amore che abbatte le barriere della guerra

Cleofe giunse in Stazione a passo veloce. Aveva ritirato la divisa alla scuola ed indossata alla svelta! Non c’era tempo da perdere, il Treno dei feriti dal fronte stava arrivando e lei doveva essere già presente. Un anno al diploma, ma la Guerra pretendeva giovani infermiere e giovani soldati. Bastava un poco di esperienza con le garze e un poco di esperienza con il fucile ed eri un supporto alla patria.

I capelli rossi raccolti sotto il velo della cuffia, il cappotto nero copriva a tre quarti la divisa che indossava: Cleofe ci era cresciuta dentro dall’adolescenza in quella stoffa nera e ruvida che i pacchi della sussistenza fornivano avaramente. Il viso pulito, senza trucco e senza rossetto la facevano sembrare più giovane dei suoi diciassette anni, ma il regolamento parlava chiaro: nessun vezzo femminile, durante il lavoro o lo studio.

Arrivò al binario con il respiro grosso, le gote rosse ed un velo di sudore sulla fronte… nonostante gennaio inoltrato, la giovane era accaldata dalla corsa come se fosse il mese di maggio. Vide la capo infermiera, che a sua volta aveva visto l’arrivo della ragazza, e le corse incontro.

“Sei arrivata in tempo, hanno già scaricato delle barelle in fondo al treno. Raggiungi subito i feriti e prendine uno a caso, tanto sono tutti gravi allo stesso modo!!!”

Questo fu il primo ordine che prese da Sorella Ester, Capo infermiera e badessa del Convento situato dentro l’Ospedale, da cui prendeva il nome “Ospedale Santissimo Cuore delle Carmelitane”. Questa suora, che ormai superava i settant’anni, aveva istituito una scuola per infermiere, aperto alle studentesse laiche ed alle religiose. Una scuola operante da cinquant’anni e che aveva dato vita anche all’Ospedale annesso. Cleofe girò il volto verso il fondo del treno, Suor Ester glielo aveva indicato con il bastone a cui si appoggiava da anni dopo una brutta caduta. Non era più operativa sul campo, ma sovrintendeva al lavoro delle infermiere, organizzando i posti di soccorso, dispensando consigli e conforto nei momenti più drammatici.

Presa dalla foga di iniziare ad essere una vera infermiera ed essere finalmente utile, Cleofe corse verso le barelle. I lamenti e le grida l’accolsero, raggelandola, al suo arrivo. Il tormento ed il dolore si respiravano profondamente in quel tratto del binario. L’ufficiale medico che si aggirava tra i feriti, ormai indifferente alle sofferenze dalla troppa abitudine, dava istruzioni alle giovani infermiere affidandogliene uno ciascuna. Indicò a Cleofe un ragazzo con la gamba destra e le disse “Questo può guarire e sarà di nuovo pronto per il fronte”.

“Ciao”, fu l’unica cosa in grado di dire in quel momento la giovane crocerossina al soldato. Lui rispose con un sorriso represso poi dal dolore. Arnaldo, così si chiamava il giovane, già tremava all’idea di dover tornare al fronte una volta guarito: meglio morire subito che rivivere quei giorni. In fianco a lui, ferito in modo più grave, si trovava il colonnello Lorenzo Boeri, Comandate diretto del giovane Arnaldo. L’ufficiale guardava il soldatino che non aveva ancora un pelo di barba, se non qualche pelucco biondo e girandosi verso di lui gli promise “Non ti farò tornare al fronte… farò di tutto per metterti al vettovagliamento o in fureria…. Sono stanco di veder morire i ragazzi che non hanno compiuto nemmeno vent’anni… maledette guerre e chi le fomenta!” e un grido di dolore lo fece svenire.

Il Colonnello mantenne la sua parola: una volta guarito, egli fu trasferito in fureria e, ogni settimana, inviava lettere alla sua “Cleo”.

Era in questo modo che Cleofe raccontava il suo incontro con Arnaldo, il soldatino che a fine guerra era diventato suo marito. Raccontò la storia ai suoi figli, Ester e Lorenzo, ai nipoti, ai pronipoti e a tutti quelli che conosceva perché… aveva vissuto e viveva un amore bellissimo, da favola. Un amore da favola che dopo tanti anni solo Arnaldo se ne ricordava. Cleo era stata colpita gradualmente, ma, inesorabilmente, dall’Alzheimer e non riconosceva più nessuno: la sua memoria erano i ricordi più lontani.

Ormai da anni, era ricoverata nella stessa struttura, nella quale aveva lavorato, prima come infermiera, poi, come Capo Sala. La demenza che aveva colpito la sua bella mente. continuava a farla vivere in tempo di guerra ed i degenti ricoverati, secondo la sua razionalità, erano i soldati feriti. Cercava di andare in tutte le stanze e, spesso, il personale faticava a tenerla. Era stata una grande infermiera, da cui tutti avevano imparato molto, compresi i giovani medici specializzandi ,che lei bacchettava quando sbagliavano un prelievo o una medicazione. Uno di questi, diventato adesso primario, l’aveva in cura, come riconoscenza, considerando quella donna una seconda madre.

Ogni giorno Arnaldo, anche lui ricoverato nella stessa struttura ed ormai su di una sedia a rotella per il peso degli anni, del duro lavoro in cantiere e dalle ferite di guerra, andava nella stanza di Cleo e restava con lei tutto il giorno, a farle compagnia. Lei non lo riconosceva, ma, ad Antonietta, la sua amica di stanza, raccontava “Ogni giorno viene a trovarmi un bel soldato, ma non deve illudersi, io amo solo il mio Arnaldo che è al fronte”.  Arnaldo ascoltava e sorrideva, mentre nel suo cuore si spezzava sotto la fitta di una lama. Un giorno i medici dissero all’uomo che sua moglie era peggiorata e che ormai il suo vivere era uno stato di dormiveglia: forse pochi giorni, forse una settimana… tutto quello che restava a Cleo su questa terra. Motivo per cui ora l’uomo non lasciava sua moglie né di giorno né di notte. Gli era stato dato il permesso per starle vicino.

“Arnaldo!” sussultò la donna chiamando l’uomo. Un attimo di lucidità si era impossessato di Cleo “Arnaldo sei tu??? Sei tornato amore mio!” e si mise a piangere, prendendogli le mani e stringendogliele forte. Arnaldo era frastornato e confuso, la sua Cleo l’aveva riconosciuto o, almeno, aveva riconosciuto il giovane Arnaldo soldato. “Ti ho aspettato tanto sai” gli disse la moglie “ora che la guerra è finita, possiamo andare a casa” sospirò Cleo “Certo, mia dolce creatura… è ora di tornare a casa” rispose l’uomo mentre, con le lacrime che gli scivolavano sulle rughe, le accarezzava il viso ed i capelli.

Puntuale era giunta l’ora di cena e della dispensa ai degenti del pasto serale.  L’infermiera di turno per la distribuzione entrò in stanza di Cleo ed Antonietta dicendo “Arnaldo, ti fermi a cena con la tua Cleo?’”  ma l’uomo non rispose. Era viso a viso con sua moglie e le mani tra i capelli di lei. “Arnaldo, tutto bene?” chiese la donna. Ma Arnaldo e Cleofe non potevano più sentirla, si erano addormentati insieme nel sonno eterno, che aveva impresso sui loro volti un tenue sorriso, un sorriso di serenità. Da quella sera, Antonietta racconta a tutti, giurando su quello che ha di più caro al mondo, di aver visto uscire dalla stanza, mano nella mano, un giovane soldato ed una bella crocerossina.

Autrice: Elena Ramacci

 

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