Era il 1985, era luglio, un caldo 13 luglio. In due stadi del mondo, in particolare in quello di Wembley, a Londra, si celebrò un appuntamento musicale-sociale, di una portata mai vista prima: il Live Aid.
Cosa significa quell’espressione?
Negli anni Ottanta, il mondo iniziava a osservare più lontano dal proprio Paese e i mass-media parlavano, con maggiore frequenza, di “globalizzazione”. L’ Africa era, e, purtroppo, lo è ancora, un continente molto povero, le cui vittime erano, in quasi ogni Paese che lo costuituisce, in numero elevato, per cause non più letali nella parte del mondo avanzato, in cui la medicina aveva già compiuto numerosi progressi.
We Are The World, brano scritto da Lionel Richie e Michael Jackson, unì molti artisti americani, nella causa lanciata da Geldof, anche lui invitato a partecipare, sotto il nome USA For Africa. Altri cantanti offrirono le loro voci: Stevie Wonder, Paul Simon, Tina Turner, Bruce Springsteen, Bob Dylan, Diana Ross e Ray Charles.
Alle 12:00, dallo Stadio di Wembley, si accese quello che venne definito un “juke-box globale”.
Una grande impresa artistica e , all’epoca, tecnologica, che vide protagonisti tredici satelliti, il cui obiettivo era proiettare una diretta televisiva, collegando tutto il mondo, in contemporanea.
Gli spettatori furono invitati a donare per sconfiggere la fame in Etiopia e la BBC organizzò ben 300 linee telefoniche, raggiungendo circa 150 milioni di sterline.
I Queen, con la spettacolare performance di Freddie Mercury, riuscirono a far sognare il mondo intero. per chi c’era o per chi avrebbe voluto esserci, sia presente ai concerti o, almeno, nato, per ricordare quando la musica aveva la potenza di trasportare dalla realtà a un universo di spensieratezza: