Dovunque ci si rigiri, per la strada, tra la gente comune, o nell’assistere alle canee dei salotti tv, sembra che la parola d’ordine sia “esternare”. Esternazioni che spesso degenerano in invettive, urli, insulti. Il parlare ad alta voce, l’essere, perdonatemi il termine costantemente” incazzati”, lo sbandierare, attraverso quella che ormai è diventata una nostra ” propaggine”, e cioè il cellulare, dettagli della vita privata, pare sia diventato lo sport nazionale. Bisogna per forza dire la propria, anche se sull’argomento, in ipotesi, non ci si sente particolarmente preparati. In definitiva torna di moda l’apparire, di gran lunga predominante sull’essere. Ma di fondo, vien da chiedersi, quale potrebbe essere la matrice di questo poco edificante trend? A mio parere, parafrasando Battiato, l’origine di questo “sbracciarsi” collettivo risiede nella mancanza o comunque evanescenza di un vero e proprio “centro di gravità permanente”. Con questa espressione non mi riferisco certo a una “tetragonia” dell’essere, a una sua immutabilità anche di fronte a un rapido succedersi di nuovi eventi. Al contrario, la mia declinazione di “centro di gravità permanente”, equivale al compimento di un’evoluzione interiore, a una conoscenza di se stessi e dei propri limiti, che vanifica il ricorso ad atteggiamenti artificiali o forzatamente eclatanti. E credo sia questo il punto: la maggior parte delle persone non si conosce, né aspira a farlo, o altresì, non vive ma si lascia semplicemente vivere. Assistiamo sovente a due diverse polarità comportamentali: da un lato un costante nomadismo esistenziale, uno stordirsi attraverso continui viaggi, fisici o intellettuali, senza una consapevole meta interiore, dall’altro, una staticità di fondo, una chiusura nella propria “Comfort-zone”, nell’incapacità di essere veramente artefici del proprio destino. Ebbene in questo contesto quale tipologia umana potrebbe identificarsi nell’uomo del titolo, il cosiddetto: ” Ulisse moderno”? Si tratta certamente, nella mia accezione, di un individuo in costante movimento interiore, aperto alla vita, con una spiccata capacità di progettazione, nonché sensibile a sempre nuovi stimoli intellettuali. Ma al contempo, anche una persona che abbia ormai compreso che tutto questo dinamismo esistenziale, tende in fondo a un’unica e talvolta recondita meta: il ritorno a una propria “Itaca”, il ricongiungimento alle proprie radici familiari e umane, in una parola all’essenza originaria del suo stare al mondo. Individui sovente soli questi “Ulissi moderni”, seppur circondati da amici, non si accontentano di effimeri compagni di viaggio. Poiché, anche nelle relazioni affettive, si sentono appagati solo quando avvertono con il partner una complicità talmente intensa, da rievocare la famigliarità di antichi legami. Mai interrotti questi ultimi, neppure dalla traumatica scomparsa di coloro che significativamente li incarnavano.