Il quinto anniversario della morte di Giovanni Sartori, maestro della scienza politica in Italia, arriva nel momento più buio che la democrazia italiana sta attraversando almeno dal dopoguerra in avanti. Nel continuum (e nell’intreccio) temporale fra emergenza sanitaria ed emergenza bellica abbiamo assistito all’ulteriore svilimento nel ruolo e nei compiti delle Camere, al prosieguo nella trasformazione del Governo in una dimensione presidenziale extra-parlamentare, in una funzione dei partiti ormai completamente asservita alle logiche della personalizzazione e del trasformismo, ad un evidente impoverimento culturale che tiene assieme quasi come vasi comunicanti informazione e politica. Sartori criticava con forza la democrazia diretta e l’illusione di fare a meno dei partiti (cfr. l’articolo di Stefano Passigli “Corriere della Sera” 3 aprile); riteneva il referendum uno strumento ingannevole vedendone i forti aspetti distorsivi; era contrario alla scelta diretta del Presidente del Consiglio (che fu surrettiziamente indicata con il termine del “Capo della Coalizione”); sollevò per primo, in tempi, non sospetti la questione del conflitto d’interessi; capì che la crisi dei partiti avrebbe favorito il voto di protesta del tipo di quello che avrebbe poi premiato il M5S. Inoltre Sartori giudicò sempre negativamente la sostituzione del voto di preferenza e del collegio uninominale con le liste bloccate. Se a ciò si aggiunge la fine del finanziamento pubblico (per il ripristino del quale andrebbe considerata la piena applicazione dell’articolo 49 della Costituzione) è logico che un sistema di partiti strutturati non potesse sopravvivere. Ricordando, ancora, come per Sartori il concetto di rappresentanza avesse una valore fondamentale. Rappresentanza politica non soggetta a vincolo di mandato. Rappresentanza politica data “una tantum” con il voto elettorale ma assicurata durante la legislatura dal sistema dei partiti e dalla pubblica opinione, a sua volta garantita da una informazione libera e pluralistica. La lezione di Giovanni Sartori andrebbe riletta assieme a quella di Norberto Bobbio sulla distinzione tra destra e sinistra affidando il nostro impegno di studio al metodo della comparazione come analisi allo scopo di trovare spunti essenziali per la difesa della democrazia costituzionale repubblicana. Difesa della democrazia costituzione repubblicana che è necessario si trasformi in presenza politica diretta da intrecciare, sul piano delle dinamiche sociali, a una “socialdemocrazia difensiva” capace di fronteggiare il dominante individualismo competitivo, la crescita esponenziale delle disuguaglianze, l’imperante tragico bellicismo. Anche se la qualità della politica italiana ci fa inclinare al pessimismo vale la pena di tentare, cercando di realizzare presenza culturale, soggettività politica e presenza istituzionale per fornire alla sinistra una possibilità di riaffermazione dei principi fondamentali della Costituzione Repubblicana da far valere direttamente in sede di rappresentatività politica.
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Il ricordo di Giovanni Sartori a cinque anni dalla scomparsa
Riflessione del politologo Franco Astengo
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