“Ma basta!” sbuffò Noemi infastidita. Il treno per l’ennesima volta si era fermato, senza apparente motivo, in aperta campagna. Un tragitto di 100 km stava diventando il calvario. La rete ferroviaria, in quel punto della provincia, era sempre stata trascurata dalle Ferrovie, anche perché il traffico, sia pendolare sia turistico, non era sufficienti affinché innovazione e ulteriori mezzi venissero aggiunti.
In piedi, davanti al finestrino aperto, Noemi guardava il paesaggio a lei molto familiare, poiché era il suo luogo natio. Solo due volte all’anno, tornava, per far visita ai genitori. Quando concluse il Liceo, si era trasferita in città e iniziò a frequentare la Facoltà di Economia e Commercio. Non si era mai sentita una ragazza di provincia: non aveva mai né amato né compreso la campagna. Diceva sempre di essere nata nel posto sbagliato, per un volere infausto del destino.
Mariano e Agnese, i genitori, l’avevano sempre assecondata. Quella figlia ambiziosa, curiosa e attiva in ogni iniziativa era il loro orgoglio: la ragazza avrebbe portato lustro a tutta la famiglia, dove al massimo chi aveva potuto, era arrivato a conseguire la licena di terza media. Proprio per questo, i genitori non si erano risparmiati sui campi, ogni giorno dell’anno, e poco importa se la figlia fosse spesso maleducata, viziata, superficiale con loro… “tutti i Geni lo sono…” diceva la madre per giustificarla, anche se le sarebbe piaciuto ricevere un abbraccio e anche un bacio. Anche il padre si sarebbe meritato un gesto affettuoso, quell’umile uomo che, la sera, a tavola, si addormentava, ancora prima di arrivare a tagliare a spicchi una mela.
Noemi guardava verso i campi, unico soggetto del panorama in quel tratto. Per la prima volta osservò, perché obbligata dalla sosta forzata, il lavoro in campagna. Coltivazioni basse di cipolle e pomodori facevano piegare i contadini per lungo tempo durante la loro raccolta. Ogni tanto qualcuno si alzava ritto con un braccio piegato dietro la schiena per sciogliere e attenuare il dolore che la posizione quasi a terra, procurava. Donne e uomini, praticamente tutti della stessa età dei suoi genitori I giovani, come Noemi, avevano preso il largo dalla campagna, non era di moda, solo roba da libro Cuore! Meglio la città, dove tutto è a disponibile e a portata di mano. Vide per la prima volta la fatica, quella quotidiana, quella del lavoro onesto e dignitoso, quello che ti fa alzare all’alba sia d’inverno sia d’estate, che non conosce feste o scioperi, perché coloro che scelgono questo impegno, lo fanno con amore.
A Noemi venne una stretta allo stomaco. Si rese conto per la prima volta quanto fosse stata ingrata con la madre, perché, tornando da scuola per pranzo, non trovasse mai dei piatti decenti, come si vedono in televisione, ma qualcosa di più veloce e meno “appariscente”: minestrone, insalate, uova. La carne, solo alla domenica.
Quasi le mancò il respiro e, con questo sgomento, arrivò fino a casa, dove sulla soglia, Agnese e Mariano la stavano aspettando impazienti.
“Amore…che bello vederti! Ti preparo la cena”, disse Agnese, mentre l’ adorava con gli occhi!
“Non importa Ma, mangio quello che c’è”, rispose Noemi, con il magone in gola. Guardò le mani della madre, stanche, rugose, rovinate dal tempo, come quelle del padre.
Erano quelle le mani che “avevano scritto” la sua tesi di laurea: l’ Economia e il Commercio avevano assunto un nuovo significato, quello che avrebbe consentito alla figlia di rendersi e rendere ancora più soddisfatta coloro che l’amavano per come era. Un po’ egocentrica, ma con la dignità, che ha sempre distinto quella famiglia.
Elena Ramacci