La data di oggi (1 febbraio 2022) è la Giornata Mondiale del Velo Islamico (World Hijab Day), istituito dall’immigrata del Bangladesh Nazma Khan nel 2013, per sensibilizzare le donne musulmane e non a combattere ogni forma di discriminazione .
Potremmo definire il velo un semplice “pezzo di stoffa”. Come ormai è stato dimostrato, i vestiti, le abitudini e i costumi non hanno però nulla di semplice.
Sono pochi gli indumenti che scatenano turbolenze, passioni, perfino guerre. Il velo è sicuramente uno di questi, l’importante funzione di collettore simbolico che questo indumento ha attuato nel corso dei secoli, dura imperterrita fino ai nostri giorni.
Non potendo effettuare una trattazione anche solo sommaria del tema, cercherò di fornire alcuni spunti e riflessioni.
La tradizione del velo si perde ” nella notte dei tempi “, impossibile stabilire una data precisa che indichi con certezza quando sia avvenuto il primo utilizzo. Sicuramente questo indumento è stato adottato inizialmente per proteggersi dagli agenti atmosferici. Le prime testimonianze archeologiche che certificano l’esistenza del velo risalgono agli Assiri, XII A.C.
Il velo esprime molteplici significati, a volte anche opposti: separazione, atteggiamento di modestia, seduzione, superiorità, fierezza.
Nell’antichità in genere era indossato dalle donne nobili, mentre quelle comuni e le prostitute ne erano prive. Nella Bibbia si trova testimonianza dell’utilizzo del velo da parte delle donne sia nel libro della Genesi sia nel Cantico dei Cantici.
Il velo non è presente solo nel mondo del vicino oriente, ma anche in quello occidentale da molti secoli.
Presumo che i nostri lettori siano a conoscenza dei culti dell’antica Roma. Le Vestali, sacerdotesse della dea Vesta, create dal re Numa Pompilio, erano dedite alla custodia del sacro fuoco ardente nel tempio. Tra i loro obblighi, oltre a quello della verginità era previsto l’utilizzo del velo, il quale ricopriva un’elaborata acconciatura composta da capelli intrecciati.
Per tutto il Medioevo le madonne dovevano avere il capo coperto dal velo. D’altronde ancor oggi, quando una donna decide di diventare suora o monaca, si utilizza l’espressione: prendere il velo.
Difficile poter pensare ad una sposa moderna priva di velo, ha destato qualche perplessità la recente scelta della duchessa Eugenia di York (15/102018), di sposarsi priva di velo nuziale per motivi appartenenti alla sfera personale. Come abbiamo potuto notare, anche in epoca moderna, nel mondo occidentale, suore, monache e spose sarebbero inimmaginabili prive di velo.
Esiste anche una variante filosofica relativa al velo: il velo di Maya, teorizzato da Arthur Schopenhauer. In questo articolo non posso che accennare, il velo di Maya teorizzato dal filosofo tedesco indica che l’essere umano vive in una costante illusione, compito dei filosofi è squarciarlo tramite le tre vie della redenzione: l’arte, la pietà e l’ascesi.
Ricordo la danza dei sette veli e Salomè, tanto per ribadire l’aspetto seduttivo legato al velo.
Ultima citazione riguarda il velo utilizzato dagli imperatori Inca. Essendo essi figli della divinità erano soliti parlare a tutti gli altri esseri umani separati da un velo, rivolgendo sempre la parola ad un portavoce/interprete.
Dopo questa carrellata veniamo ora alla variante più nota nonché fonte di notevoli polemiche: il velo islamico. Ci sarebbe davvero tanto da scrivere a proposito. In questo articolo ho dimostrato come l’utilizzo del velo preceda l’islam. Ovviamente è complicato leggere ed interpretare (correttamente) il Corano. Ad ogni modo quando si parla di velo islamico si cita la:
Sura XXIV An-Nûr (La Luce):
E di’ alle credenti di abbassare i loro sguardi ed essere caste e di non mostrare, dei loro ornamenti, se non quello che appare; di lasciar scendere una copertura fin sul petto e non mostrare loro ornamenti ad altri che ai loro mariti, ai loro padri, ……E non battano i piedi sì da mostrare gli ornamenti che celano. Tornate pentiti ad Allah tutti quanti, o credenti, affinché possiate prosperare.
I lettori possono facilmente comprendere come l’interpretazione possa essere davvero difficile. Ad esempio è in base a questa sura coranica a che i talebani dell’Afghanistan avevano sorpreso il mondo, in quanto avevano obbligato le donne far passi brevi proprio per evitare di batter i piedi, come prescritto loro dal Corano.
Come si è potuto comprendere la sura XXIV non precisa esattamente come le donne debbano essere coperte. Per questo molti studiosi dell’Islam ritengono che l’utilizzo del velo appartiene più alla sharia che non a esplicite indicazioni del Corano.
Con l’intento di fare chiarezza, ho deciso di accennare ai diversi veli presenti nel mondo islamico.
In genere conosciamo burqa, chador, hijab e niqab e capire la differenza tra questi indumenti,
significa poter interpretare al meglio i messaggi che questi indumenti esprimono.
Hijab, in genere nel mondo islamico è la parola che indica il velo in genere. È un drappo che può essere di diversi tessuti, copre il capo, il collo e le orecchie, lasciando il volto e le spalle in vista. Ne esiste una variante a due pezzi chiamata Al-Amira, la quale copre anche le spalle.
Il Chador è un indumento tradizionale iraniano, formato da una stoffa semi circolare che ricopre il capo e le spalle, anch’esso lascia scoperto il viso. Potrà sorprendere i lettori, ma le donne iraniane hanno l’obbligo di indossare il chador solo dal 1979 (dopo la rivoluzione Islamica guidata dall’Ayatollah Khomeini).
Il chador ha avuto origine nell’antica Mesopotamia, il moderno territorio dell’Iran corrisponde a quello dell’allora impero persiano. A quanto pare risalgono al V secolo d. C., le prime testimonianze di una donna con il volto coperto da un tessuto di stoffa in quest’area geografica.
Il burqa è un indumento presente in Afghanistan e Pakistan. Ne esistono due varianti, la prima consta di un velo fissato al capo che copre la testa e presenta una finestrella per permettere la vista. La seconda è definita burqa Afgano o burqa completo: abito di color blue che copre la testa e l’intero corpo.
Il burqa è stato introdotto in Afghanistan nel 1890 dal re Habibullah Kalakani, il quale lo impose alle donne del suo harem. Successivamente adottato dalle classi più elevate, sarà poi vietato alle pubbliche dipendenti nel 1951, per essere obbligatoriamente reintrodotto dal regime dei talebani (1997).
In questo articolo ho volutamente tralasciato tutto il dibattito relativo all’utilizzo del “velo” nei paesi occidentali, sperando di aver fornito qualche spunto di ulteriore riflessione.
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