Deputati e senatori annoiati e incuranti della dignità della democrazia hanno riempito le schede con i nomi di vicini di casa o ex-compagni di scuola: degnissime persone esposte così per gioco all’esposizione mediatica.
In mezzo si trovano anche voti per candidati di rilievo portati avanti come si diceva un tempo come “candidati di bandiera” ma confusi però in questo marasma e magari indegnamente dileggiati dai commentatori in eterno servizio permanente effettivo.
Si tratta di un ulteriore segnale di decadenza nella “consapevolezza istituzionale” da parte di chi dovrebbe avere il compito di rappresentare il Paese nelle sue complesse articolazioni politiche e sociali.
Il trascinarsi di votazione in votazione per eleggere il Presidente della Repubblica ( ma capita anche per eleggere i giudici della Corte Costituzionale, per esempio) non è una novità: un tempo però i partiti usavano questi intermezzi (oltre che per silurare i candidati ufficiali) per richiamarsi ai “padri della Patria”: così echeggiavano i nomi di Terracini, Amendola, Gonella, Nenni, La Malfa.
Richiami identitari che oggi sono venuti a mancare, mentre la discussione tra noi langue sul chi aveva ragione, su massimalisti e riformisti, addirittura su chi “avrebbe buttato nel fango le nostre bandiere” (vedi convegno per una presunta “unità dei comunisti”).
Forse sarebbe il caso di riflettere meglio sulla necessità di ripensare il passato per farne oggetto di crescita per una complessiva maturità politica: di questo ha probabilmente bisogno una sinistra per uscire dalla riduzione dello stato di virtualità in cui si trova.