Testimone esemplare dell’esperienza del Lager, così come dell’analogia fra il Lager e l’Inferno dantesco, è Primo Levi, le cui opere stimolano una profonda meditazione su “ciò che è stato” e sul fondamentale compito morale della conoscenza e della memoria che tutti noi abbiamo.
Theodor Adorno dichiarò: “Dopo Auschwitz, non si può più fare poesia”. Levi, dedicando al canto dantesco di Ulisse un intero capitolo di “Se questo è un uomo”, raggiunse le vette più alte della sua inedita poesia.
I parallelismi tra Dante e Primo Levi non sono una novità per il lettore. Ma se è vero che attraverso il «Canto di Ulisse», simbolo della volontà di conoscenza, Levi recupera, sia pure per poco tempo, quell’umanità e quella dignità negate nel campo di sterminio, il brano sembra suggerire anche altro. Lo strumento letterario diventa per l’autore mezzo testimoniale e comunicativo privilegiato per un vero e proprio recupero memoriale che della conoscenza è la condizione essenziale.
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Quando le parole di Dante salvarono Primo Levi
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