Attualità

La riforma del servizio per lo sviluppo della qualità dell’HRC e della ristorazione

Cari amici, solo se è guidata dell’esperienza sociologica la mia penna scrive e, con soddisfazione, produce orientamenti solidi e validi. È il caso dei miei 10000 ristoranti, in Italia e all’estero: un viaggio di 40 anni su tutti gli aspetti della ristorazione o, meglio, dell’esperienza conviviale. Tante stelle Michelin hanno illuminato il mio cammino, ma mi ha orientato anche la bussola dell’italica osteria o dell’Oriente, oppure le espressioni del convivio in Monsignor Della Casa, col suo Galateo, in Confucio o in Marie Antoine Carême. Esperienza sistemica conviviale, usi e costumi di target, di civiltà e di cucina, di piatti, per esseri umani nella più naturale delle esperienze correnti: il mangiare, il nutrirsi, l’esercizio del gusto e la socialità di chi sceglie il ristorante per le relazioni sociali.

Tutti sappiamo che, in genere, l’esperienza conviviale più profonda è quella di casa, con 4 o 6 amici o parenti e sentimenti veri, ove il lavoro di cucina, la ricerca e la sua espressione mangereccia divengono vero momento d’intimità. Chi è invitato sa che l’assenza del padrone o della padrona di casa in certi momenti del convivio è gonfia di sorriso, di affetto e di intelligenza per i convitati. Non parla, l’ospite ai fornelli, ma non è assente, anzi, lo si nota di più se è in cucina per voi. E in sala da pranzo deve regnare il buonumore e il rispetto, il benessere e la qualità. Ecco l’importanza di una mise-en-place accurata, di un bienvenue col calice o con la suggestione di un appetizer.

Perché questa premessa?

Perché conosco Paolo Croci e la sua proposta di ristorazione e da anni godo il clima dei suoi ristoranti di Reggio Emilia. Paolo è un grandissimo ristoratore, un grandissimo regista di esperienza conviviale: lo si vede in entrambi i suoi locali, “Chilometro Zero”, oggi nei pressi di Reggio Emilia, in direzione Massenzatico, e la nuova creatura, in centro storico di Reggio Emilia, il “Dimondi”, che nella lingua reggiana (una lingua romanza del ceppo emiliano che nasconde, tra sempre meno nebbie, vocaboli di radice celtica) significa “molto, abbondante, tanto”.

Cosa ha fatto di grande Paolo, presidente con merito dei ristoratori reggiani? Ha messo al centro il principio della convivialità, del piacere di stare a tavola. Come?

  1. Mangiando bene (e più avanti spiego…)
  2. Con un servizio concreto e straordinariamente disponibile, affabile, quasi affettuoso da parte di tutti i davvero bravi assistenti di tavola.

Sono un vecchio lupo di mare (di ristorante) e non mi sfugge quasi nulla del momento socio-culturale-tecnico/gastronomico. Un vero punto interrogativo era presente nella mia mente al Chilometro Zero, quando ho avvertito la magia del rapporto con quel ristorante e il suo umanissimo sistema sociale, pre e post lockdown: Paolo Croci era riuscito a creare un gruppo di collaboratori naturalmente votati al benessere del cliente. Dove questi ragazzi e ragazze avevano appreso lo stile uniforme e variegato delle loro espressioni psicologiche e professionali di servizio? Quale il rapporto tra la sala e la cucina, con tutte le sue preziose magie che rendono così piacevole l’esperienza? Un giorno, ne ho parlato col giovane e combattivo presidente dei ristoratori reggiani. Croci si è subito infervorato e, conoscendo l’importanza che io attribuisco al convivio, mi ha detto che stava per avviare l’esperimento 2, il “Dimondi”, appunto. Se anch’esso avesse funzionato, avrei potuto dire che Paolo aveva scoperto qualcosa di importante nel convivio fuori casa. Così sono stato al Dimondi: e anche lì, come al Chilometro Zero, ti senti a casa tua, senza il gravoso lavoro della manifattura e del servizio agli amici, nella stessa atmosfera, che non reggerebbe senza buona cucina. E quella c’è. Ma in che senso? Diletto Sapori, con me a quattromani virtuali nello scrivere questo pezzo, m’informa che non c’è limite alla bontà della manifattura alimentare. Ma anche al suo costo. E sappiamo, quanto la spesa preoccupi… Bene, il rapporto costo/prestazioni sia al Chilometro Zero che al Dimondi è perfetto.

La proposta del Dimondi è un menù molto vicino alla tradizione, ancora per poco alleggerita dei grandi piatti, come i bolliti e gli arrosti classici, per una prevalenza del presto e bene, e per la freschezza della modernità, in un pieno centro storico ove il concetto di velocità ha particolare senso. Sempre che se lo si sappia gestire con pienezza d’esperienza. Infatti, sorrisi sensati ed eye-touch con gli assistenti di tavola non mancano, presentissimi e bravi. Grande scuola, per una ristorazione popolare, ma di qualità e di cuore. Gli ambienti sono gradevoli e non rumorosi, sia sopra che sotto.

Caro Paolo, complimenti. Hai creato un segno di Reggio Emilia Terzo Millennio, città che “ha capito”, che non rinuncia alla sua umanità e storia e che ricerca nuove strade. Potremmo essere in Spring Street a Manhattan, in Temple Road a Dublino, a Sydney o a Berlino: c’è respiro antropologico in questa piccola, grande Italia d’Emilia e d’Europa dell’esperienza conviviale al Dimondi. Fatta l’esperienza di andarci ci tornerete: io, intanto, gli do 10/10.

Ora a Paolo, che rappresenta in modo encomiabile i ristoratori reggiani, chiediamo di veleggiare verso un vero, nuovo tempio popolare della tradizione, un posto che riporti in auge comme-il-faut la grande manifattura dei bolliti e degli arrosti, un posto che in centro a Reggio Emilia manca, ormai, da troppo tempo. Infatti non basta il Canossa, Arnaldo è di nuovo in volo, grazie a Roberto e Ramona patron e patronessa del più antico e continuativo stellato d’Italia, ed è lontano, in un empireo riconquistato con passione e determinazione dopo lotte familiari. Il Dimondi è avviato a essere il posto che ci riavvicina alla grande tradizione della cucina emiliana e reggiana di cappelletti, lasagne e cannelloni, dei tortelli di bietola e di zucca senza mostarda e dei mitici carrelli di arrosti e bolliti, con il cameriere serio e competente, anche senza giacca bianca petto-in-fuori-e-pancia-in-dentro…

Ma c’è di più. Paolo Croci, alla guida di tutti i ristoratori reggiani, era già vigorosamente sceso in campo per chiedere un aiuto allo Stato pandemico che aveva trascurato molti aspetti di attenzione fiscale e alle micro organizzazioni dei ristoranti. Ora, è all’attacco per un fatto di organizzazione e uno di strategia.

Sull’organizzazione, sa di essere all’avanguardia nel servizio con il Dimondi e il Chilometro Zero, ma sa anche che la gestione del personale è particolarmente difficile in un’attività che prevede per il cameriere (o, meglio, assistente di tavola) l’esercizio di imprescrivibili comportamenti psicologici. Le esperienze mondiali hanno risolto brillantemente il problema nell’ambiente anglo-americano: in ragione della dichiarazione dei diritti dell’uomo nessun imprenditore ristoratore può richiedere al proprio dipendente di sorridere se a lui non va. Le risorse psicologiche di ciascuno non sono organizzabili da terzi, secondo l’abiura compiuta di quella piaga che ha attraversato millenni dell’umanità che è stato lo schiavismo, e allora occorre che sia il personale di servizio a decidere autonomamente di farlo. Ed ecco affiorare quel rapporto professionistico per cui è il cliente a pagare direttamente il servizio ottenuto dall’assistente di tavola: è il meccanismo gestionale che tanti di noi non capiscono quando andiamo a New York o a Londra, e il “cameriere” ci chiede di inserire le “tips”: noi fraintendiamo, come se fosse un riconoscimento in più rispetto a ciò che abbiamo avuto dalla persona e che stiamo pagando nel conto, una “mancia”… Invece no, è proprio il pagamento del servizio, della sua funzione. Allora, sapendo che siamo noi clienti a pagare direttamente lui, e non il ristoratore, ecco che la persona fa di tutto per metterci a nostro agio, per consigliarci professionalmente rispetto ai nostri gusti e all’offerta del ristorante. Sì, perché questo professionista di consigli e accudimento è anche il nostro rappresentante in cucina. E, una volta entrati nelle virtù del modello, anche il ristoratore si trova alleggerito di una voce di costo che vincola e irrigidisce la sua organizzazione. Insomma, un dispositivo che io ho sempre notato proficuo negli USA e in UK, con vantaggio di qualità del servizio per il cliente, di costi per il ristoratore e di garanzia di qualità, in quanto l’assistente di tavola sarà il nostro “sindacalista”, che ci difende, in cucina.

Accanto alle grandi opportunità quantitative provenienti da un turismo mondiale non ancora sviluppato appieno, e che dovrà rivolgersi alla varietà delle zone meno conosciute d’Italia, c’è anche un’opportunità qualitativa: elevare la nostra offerta di esperienza, facendo sentire ancor più a casa loro i clienti della ristorazione e dell’Ho-Re-Ca (Hotel, ristoranti e caffetterie) italiano con dei veri loro rappresentanti presso le strutture, il personale di servizio, che verrà pagato direttamente da loro e solo se avranno ricevuto il servizio. Come a New York, a Londra o a Sydney. A parte i maghi, come al Dimondi o al Chilometro Zero, che ci riescono anche così…

 

Lascia un commento