BRUCE NAUMAN, SCALATA E VETTA DI UN GENERE ARTISTICO: dopo di lui, solo una imponente discesa, ed altre asperità per la Contemporary.
Non vi è dubbio che la eredità di Martin Bethenod, già deus-ex-machina a Palazzo Grassi Punta della Dogana, coltivata dal grande immaginario di Pinault, sia ben rappresentata nella importante mostra di Bruce Nauman. Il percorso dell’ex-direttore a Venezia (oggi in sella nel tempio artistico del Palazzo della Borsa del Commercio, centro parigino del gruppo), è stato un viaggio profondo nelle derive dell’arte del Novecento, che ha avuto forse il suo picco con l’enorme versatilità del lavoro di Damien Hirst. La chiave d’interpretazione (la mia?) della mostra di Bruce Nauman in questa progressione, credo che possa essere, nel mazzo delle possibili, proprio la storia di un genere artistico, concettualmente di punta del secondo novecento e centro dell’estetica della Contemporary: quello della Performance.
Nauman interpreta in 60 anni di lavoro pieno questo profondo versante della Contemporary, ove l’oggetto dell’arte diviene il processo artistico e i suoi interpreti, l’artista in primis. Siamo nel centro di un ripiegamento decadente, sull’Himalaya dell’epoca del distacco tra arte e fruitore, con il senso di autopunizione dell’artista per espiare la assenza sofferente o la estrema difficoltà del proprio servizio.
Magistralmente, fino a fornire il proprio sangue, lo segue Marina Abramovich, ma tutto il percorso del grande americano attraversa il multiforme ed esteso campo della performance con l’ansia del coinvolgimento speculare del fruitore, a cui disperatamente Nauman lega l’intuizione del genere. Nauman è di certo un artista di punta di questa epoca compiuta, che è forse già oggetto di studio per la Storia dell’Arte e che possiamo chiamare Contemporary art age, e darle capitale tra New York e il mondo vincente della economia industrial-finanziaria angloamericana.
Ma compiuta non vuol dire finita. Anzi. Un’arte, e Nauman per primo, che ha aperto delle dimensioni fondamentali dell’estetica dell’oggi, usando le tecniche video, il digitale, il corpo dell’artista, il corpo del fruitore, lo spazio (gli spazi tutti, da quello dell’esposizione, il museo, e quello della creazione, lo studio dell’artista) come oggetti di rappresentazione.
Non si può non considerare, vedendo Nauman, l’esplosione della soggettività umana generatasi tra i ‘60 e i ‘70, ma nemmeno la sua padronanza, con il lavoro che tesse tutte le innovazioni di processo artistico più rilevanti del secolo breve per darne unità estetica. Un vigore titanico vede l’artista limitare la sua funzione, nell’esplosione, alla padronanza del detonatore, e alla descrizione fantasmatica audiovideo dell’esplosione stessa, con al centro, portato per mano sull’onda delle deflagrazioni, il fruitore, in parte inconsapevole, decerebrato, ma veicolato poi dai sensi incoscienti (professore o muratore che sia), a una superiore esperienza.
Arte.
Ci siamo: è un altro centro clamoroso per la storia dell’arte, il lustro globale dato a Nauman dalla Pinault Collection con questa mostra che chiuderà i battenti tra oltre un anno, nel tardo Novembre 2022 a Punta della Dogana. Punta della Dogana, ove Tadeo Ando ha creato il ventre trascendente dei parti contemporanei della Collezione Pinault, con la luce ostetrica della rada di S. Marco, e il seme globale della Ville Lumiere. E oggi, come un andrologo, dopo il ventre femminile di Venezia, ecco l’archistar giapponese giungere al progetto dei dotti seminali, in quel Palais de la Bourse de Commerce da cui nasce il sentire globale dell’arte del Gruppo, come alla Guggenheim o da Gagosian, per esempio.
Nessuna nazionalità, né qui né là, dunque, ma il respiro globale, antropologico, di un sistema (Pinault) che ha vetrine e prodotti propri dell’uomo nell’arte del mondo d’oggi.
Ed è emblematico che i due curatori, Carlos Besualdo e Caroline Bourgeois, dispongano di far spiegare la mostra a una serie di grandi nomi della contemporary globale, come a dire: “Ben più del terremoto poté l’onda”, ed eccone qui coloro che altro non poterono che guidare la propria tavola su quel maremoto che porta il nome di Bruce Nauman, 80 anni tra pochi giorni, il 6 dicembre.
Un buon compleanno meritatissimo, a una grande icona.
Grande, va detto, anche quando Jenny Saville e Jonas Burgert, con le loro navicelle riconoscibili dal fruitore, ripensano l’arte del post-contemporary. Non Restaurazione, però, come anche Bill Viola mostra: la lezione è appresa, ma, intanto il mondo è cambiato nuovamente…