Il Ponte Coperto di Pavia ha due vite: la prima, durata dal 1351 al 1948, e quella attuale, dopo la sua caduta a causa di una decisione presa dal Comune della città, dopo il degrado dei bombardamenti, durante la Seconda guerra mondiale.
Oggi, lo ammiriamo a distanza, lo percorriamo e ci sediamo sui suoi basamenti: non scordiamo di rivolgere lo sguardo circa metà della sua struttura, verso la statua della Madonnina, incastonata nel cemento, sulla destra se si giunge già al centro della città.
Esso, come citato poche righe sopra, vanta una lunga storia e, seppur la sua architettura, nel secolo scorso, abbia subito modifiche, rimane il cuore della città.
Non si vuole porre in secondo piano le altre bellezze naturali e artificiali, che incorniciano l’ex-capitale longobarda, però il suo profilo è spesso in linea con quel panorama, che è possibile gustare nei pressi della Lavandaia, il monumento posto lungo via Milazzo. Il Ponte appare quindi in direzione ovest e, con la cupola del Duomo che fa capolino, uno scatto diventa una cartolina d’altri tempi.
Esso non fu danneggiato in modo definitivo nel 1944, ma, dopo una serie di discussioni burocratiche, ne venne riconosciuta la convenienza a distruggerlo e, nel 1951, fu di nuovo inaugurato, con le norme di sicurezza più avanzate, in confronto a quelle seguite nel 1300.
Il primo modello presentato fu opera di Giovanni da Ferrara e di Jacopo da Gozzo: dallo stile tipicamente medievale, l’ultimo aggiunta, la facciata che svolge il ruolo di ingresso per coloro che provengono dal centro storico, avvenne nell’ Ottocento.
Ad oggi, alcuni artigiani del territorio, per passione, lo stanno ricostruendo in miniatura, come il pinerolese Elvezio Passaro, il quale mi ha anticipato che è riuscito ad ottenere parte del materiale vero e proprio, e, in maniera benedettina, lo sta riproducendo per dare sfogo alla sua creatività, ma sarà impossibile non sentire il desiderio di presentare il gioiello che ne sta uscendo.
Un consiglio per coloro che lo visiteranno in questi giorni in cui egli è protagonista recatevi alla fine di esso e quando uscite sul piazzale Ghinaglia, girate a sinistra, in via Milazzo, celebre per la serie di case variopinte, tra cui quella al numero civico 193, sulla cui facciata è appeso il volto della cosiddetta linguacciona, ovvero una scultura che sembra fare una pernacchia ai passanti, metafora delle tipiche chiacchiere di paese. Infatti, non a caso quella zona, pur non trovandosi distante dalla Pavia che tutti conosciamo, sembra una località a sé.
Molti, soprattutto gli abitanti, ricordano il Ponte Coperto nelle abbondanti piene del fiume Ticino, del secolo scorso, in particolare quella del 1994, di cui molti di noi, anche provenienti dalla provincia, serbiamo qualche spaventoso ricordo e, su Youtube, è possibile vedere qualche filmato dell’epoca, più esplicito di molte parole: le case di via Milazzo vennero quasi completamente sommerse e le persone sfollate su barche, in modo tempestivo. Una triste pagina della cronaca pavese, che va ricordata per onorare il lavoro intenso della Protezione civile, ma anche di gente comune che, seppur terrorizzata nell’osservare la piena del fiume, si sentì in dovere di offrire anche il minimo aiuto.
Un aspetto, invece, folkloristico del Ponte, risalente alla vittoria della battaglia navale tra milanesi, il cui capo della flotta fu il pavese Pasino degli Eustachi, e veneziani, è il Palio del Ticino. Esso, nel mese di giugno, offre momenti di svago e gare, tra cui quella celebre dei barcé, ovvero le imbarcazioni simbolo del fiume pavese, che si rivelano una occasione per riunire i cittadini e gli appassionati delle tradizioni locali.