LiberaMente

DISABILITÀ E PARALIMPIADI

Brevi cenni relativi a disabità e storia dei giochi paralimpici

Da alcuni giorni gli italiani esprimono il loro orgoglio per le numerose medaglie conquistate dai nostri atleti ai giochi paralimpici di Tokio. Dato il notevole interesse suscitato da questa manifestazione, ho deciso di dedicare questo numero della rubrica Liberamente al tema delle disabilità.

 

L’argomento è complesso ed eterogeneo, mia esclusiva intenzione fornire solamente alcuni spunti, lasciando al lettore interessato la possibilità di approfondire se lo desidererà.

Le disabilità sono valutate secondo l’ICF (International Calssification of Functioning) la classificazione dello stato di salute approvato dalla 54° World Health Assembly (WHA) in data 22 Maggio 2001, adoperata dalle Nazioni Unite per la difesa dei diritti umani in caso di discriminazioni.

Termine chiave dell’ICF è il concetto di sanità, definito come lo stato di un individuo in condizione di benessere psicofisico. Le disabilità sono racchiuse in due macro aree, iper semplificando potremmo utilizzare le parole: somatico e sociale. L’ICF intende la disabilità come una condizione di salute all’interno di un ambiente sfavorevole.

Riguardo alla (presunta) sanità ci sarebbe molto da scrivere e da precisare, l’argomento si inserisce pienamente nel millenario dibattito delle differenze tra natura e cultura. Riporto solamente una frase presente nell’Interpretazione dei sogni di Sigmund Freud, in cui il padre della psicoanalisi dichiara di aver dedicato i suoi studi ai sogni di persone normali (sane) o quantomeno presunte tali.

La nascita dell’ICF è dovuta a diversi fattori. Il primo quello di superare la precedente definizione delle disabilità, la ICIDH Classificazione Internazionale delle Menomazioni, delle Disabilità e degli Handicap del 1980, la quale esprimeva una visone delle disabilità in cui aveva la prevalenza il contesto medico. Menomazione, disabilità ed handicap erano inseriti in una specie di gerarchia sia di tipo cronologico sia di gravità (dal minore al maggiore). La realtà si è rivelata molto più complessa e difficile, tanto che oggi il termine disabilità intende esprimere un concetto ombrello, includendo al proprio interno condizioni di vita ampiamente diversificate.

Presumo sia a tutti noto che nell’antichità le persone disabili fossero considerate una sciagura, una vera e propria punizione divina. La città stato di Sparta eliminava i propri sudditi con malformazioni fin dalla più tenera età; all’epoca pare fosse presente una specie di intuizione di ciò che oggi intendiamo come diversamente abile: Tiresia era cieco e prevedeva il futuro, il dio Efesto/Vulcano era storpio, ma ottimo fabbro.

 

Il progredire della civiltà ha permesso una parziale (certamente ben migliore rispetto all’antichità) integrazione dei disabili nel contesto sociale. Mi rendo conto di quanto possa risultare difficile comprendere la varietà e le molteplici necessità espresse dalle persone “catalogate” in questa condizione. Lo spettro della disabilità si estende da chi non è autosufficiente, a chi non può praticare alcuna attività sportiva fino ai nostri atleti e campioni paralimpici.

Per molti decenni, in ambito medico si sono effettuati interventi riguardanti esclusivamente il singolo soggetto disabile, senza coinvolgere la famiglia o il contesto sociale. Per molti genitori era preferibile avere un figlio “malato” piuttosto che disabile. Il vocabolo anglosassone handicap era stato introdotto negli anni ’80 (all’epoca sostantivo ancora poco nota in Italia) con lo scopo di evitare discriminazioni, ma questa scelta è risultata fallimentare; storici termini della diagnostica medica sono stati (quasi) sempre tramutati in offesa: scemenza, ritardo (mentale), spasmo (spastico), stupidità, idiotismo (idiota).

 

Le origini delle paralimpiadi sono note, potremmo considerarli come uno dei frutti del genio italico. Molti dottori ritengono lo sport una specie di medicina gratuita e utilizzabile da tutti, (quasi) priva di controindicazioni, applicabile in particolar modo nel settore della riabilitazione. A partire dal 1943, in Gran Bretagna il neurologo David Guttman si occupava di curare le lesioni spinali dei piloti di aereo della Royal Air Force, proponendo lo sport sia come terapia fisica sia psicologica. Nel 1958 il medico italiano Antonio Maglio propose a David Guttman di disputare a Roma (futura sede delle olimpiadi del 1960) i primi Giochi internazionali per paraplegici, (per utilizzare la terminologia dell’epoca), che si sarebbero poi evolute e trasformate nelle attuali paralimpiadi.

 

 

Lo sport in genere esprime magistralmente la presenza di due opposti estremi, in modo impreciso potremmo dire: la pulsione di morte e la pulsione di vita. La prima è ben rappresentata dall’agonismo, parola che deriva da agonia. Quest’anno agli europei di calcio abbiamo notato come sport e morte possano essere molto vicini (l’episodio di Christian Eriksen durante l’incontro Danimarca – Finlandia in data 12/06/2021). Domenica scorsa la Formula 1 ha dato esempio di come le prospettive siano notevolmente cambiate. Arturo Merzario, pilota di Forumala 1 degli anni ’70, sulla Gazzetta dello Sport di lunedì 30 agosto, ha ricordato che Enzo Ferrari avrebbe licenziato in tronco un pilota che si fosse rifiutato di correre sotto la pioggia (le mie parole sono un’adattamento rispetto quelle da lui effettivamente dichiarate).

La pulsione di vita si è espressa fin dall’inizio nella concezione dei moderni giochi olimpici, fondati dal barone francese Charles Pierre de Frédy, meglio noto come barone Di Coubertin. Egli prese ad esempio i valori liberali delle élite anglo sassoni della fine del 1800.

Fondamentale punto di partenza risulta essere il rispetto dei propri avversari (il quale origina dal rispetto che ognuno nutre per sè stesso), sviluppando una vera e propria empatia, in quanto ogni avversario vive le tue stesse emozioni ed esprime il tuo stesso impegno. Scelta una disciplina sportiva, una volta stabilite le regole, se ci si sforza di applicarle e rispettarle, si ha la possibilità di ottenere notevoli risultati, quali ad esempio il trionfo. Le regole e lo sport sono sempre uguali per tutti (o quasi), ognuno cercherà di dare il meglio per poter conseguire il massimo risultato (secondo Di Coubertin in maniera disinteressata, per questo all’inizio non era prevista la partecipazione di professionisti nei giochi olimpici).

Ormai, dopo oltre un secolo di giochi olimpici (moderni) e una sessantina (61 per la precisione) di giochi paralimpici possiamo affermare che non sempre gli ideali siano stati rispettati. Lo sport risulta essere una buona metafora della vita, in cui è possibile realizzare un precetto davvero notevole: se ti applichi con pazienza e dedizione, rispettando gli avversari e le regole otterrai ottimi risultati (ciò vale per tutti abili e disabili).

 

Chi desidera porre quesiti od esprimere osservazioni può scrivere al seguente indirizzo email: liberamenteeco@gmail.com

 

 

 

Lascia un commento