Oggi si festeggia il 25 aprile, Festa della Liberazione. Questo l’intervento di Franco Astengo
Al momento dello scoppio della guerra era entrata in scena, nella coscienza di molti, la categoria del “tradimento”: tra grandi tormenti ideali infatti l’antifascismo italiano era stato percorso dalla convinzione che fosse necessaria la sconfitta militare per eliminare il fascismo.
I comunisti(e anche gli azionisti) non nutrirono dubbi al proposito (alcuni, pur nel dramma, tirarono un sospiro di sollievo quando iniziò l’operazione Barbarossa) ma in altri settori dell’antifascismo sicuramente il problema si pose.
La questione del “tradimento” entrò potentemente nel dibattito dell’epoca alla data dell’8 settembre: la “fedeltà” era posta su tre piani, quella della continuità antifascista per chi l’avesse conservata con coerenza durante il ventennio, quella del mantenere il giuramento al Re (nonostante la fellonia della fuga), quella di stare dalla parte della “Nazione (Patria) ” che era stata e tornava ad essere quella fascista”.
Una generazione intera si trovò di fronte ad un vero e proprio “spartiacque morale” e dopo vent’anni di fascismo ci fu chi trovò intelligenza e coraggio per compiere una scelta che poteva anche essere considerata come contraria alla Nazione (Patria).
L’appoggio all’invasione tedesca è la ragione per la quale la Repubblica di Salò non può essere considerata parte della continuità dello Stato, ma nella continuità dello Stato ci stavano anche i concetti di Nazione (Patria): aver intuito questo elemento contribuendo al riconoscimento del governo Badoglio come governo legittimo nella linea di prosecuzione dell’identità statuale è stato il grande merito del CLN (o almeno della maggioranza dei suoi componenti) e della “svolta” togliattiana.
Chi rifiutò l’identificazione per motivi anche moralmente rilevanti (il tradimento dell’alleato) non sentì più come sua patria tutto il territorio nazionale e, per continuità, lo stato (Patria/Nazione) alla cui testa era rimasto (provvisoriamente) il re. La sua patria, ridotta, fu la repubblica sociale.
La scelta del riconoscimento del governo Badoglio e la formazione della Resistenza consentirono una rilegittimazione dello Stato assolutamente decisiva per l’avvenire, anche se la legittimazione della Patria tornata Nazione fu conquistata soltanto al momento della Liberazione delle grandi città del Nord da parte dei partigiani
Non si tratta di una distinzione capziosa: il 25 aprile Stato e Nazione si ricongiunsero ponendo le basi per la formazione di una democrazia posta al di fuori da un binario di mera prosecuzione con quello che era stato l’antico Stato liberale frutto dell’incompleto Risorgimento (come ben intuito da Gramsci nei “Quaderni”).
L’esito del 25 aprile consentì di ricostruire la democrazia e arrivare nel giro di pochi mesi a libere elezioni nel marzo – aprile 1946 quelle amministrative, il 2 giugno elezioni per l’assemblea costituente e referendum istituzionale.
Le contraddizioni non mancarono, ma rimane il dato prevalente di uno Stato ricongiunto alla Nazione (Patria) che poteva ben essere considerato, a questo punto, come sorto dalla Resistenza.
A questo punto però sorge una domanda rivolta nel senso di approfondire il concetto di rilegittimazione dello Stato. La Repubblica è nata solo dalla Resistenza, sciogliendo il nodo del “tradimento” oppure anche dalla crisi del tipo di “Stato – Nazione” (Patria) costruito dal fascismo? La crisi del fascismo colpì più la nazione (Patria) che lo Stato di cui molto fu conservato: l’Italia è stata com’è ben noto, zona di frontiera tra il blocco occidentale e quello orientale, ed è stata attraversata al suo interno da una sorta d’invisibile confine che ne ha condizionato lo sviluppo democratico addirittura dividendo il sistema politico in due sottosistemi: l’arco costituzionale e l’arco di governo al riguardo del quale vigeva la “conventio ad excludendum” rivolta agli opposti estremismi anche se PCI e MSI furono di volta in volta associati alla maggioranza (Governo Tambroni 1960, governo Andreotti 1978). Il tipo di democrazia repubblicana disegnato dalla Costituzione fu pensato come adatto a quel tipo di situazione mentre al momento della caduta del Muro si era ritenuto che ormai si potesse superare quel tipo di assetto e riunificare il sistema politico “sbloccandolo”.
Invece il tema della rilegittimazione dello Stato e la differenza tra il concetto di Stato e quello di Nazione (Patria) era ancora d’attualità e non risolvibile in una prospettiva sovranazionale come molti avevano ritenuto potesse essere possibile.
Oggi si può dire che tutto sommato è ancora valido il tipo di mediazione raggiunto dai grandi partiti di massa prima tra l’8 settembre e il 25 aprile e poi tra il 25 aprile 1945 e il 18 aprile 1948.
Una mediazione tutto sommato ancora valida perché la Repubblica è quella nata dalla Resistenza riunificando con grande difficoltà e molte incertezze Stato e Nazione (Patria).
La sparizione dei partiti che avevano realizzato, essenzialmente attraverso il lavoro della Costituente, quel momento unitario non ha lasciato comunque nessuna nuova possibilità di legittimazione per un’eventuale “Seconda Repubblica” che si era pensato di fondare modificando il sistema elettorale e aderendo al processo di presunta unificazione europea sull’onda dell’euforia del grande equivoco della “fine della storia”.
La Resistenza come fatto fondativo e costituente invece non ha avuto eredi e l’eterna transizione che è seguita all’89 ne è ancora testimonianza.
Tentare di modificare quest’assetto primario magari cambiando la Costituzione ha via via causato una fragilità del sistema che dovrebbe rappresentare l’immediata preoccupazione di un ceto politico sempre più in difficoltà nella sua capacità di esprimere assieme identità per i diversi soggetti e valori riunificanti che rendano Stato e Nazione (Patria) credibili agli occhi delle nuove generazioni. Questo discorso è ancora valido oggi, in tempi ricorrenti di pericolosi rigurgiti nazionalisti, perché nel riferirsi al 25 aprile il concetto di ritorno alla Nazione (Patria) si accompagnava a quello di libertà e giustizia sociale: un significato profondo che non possiamo dimenticare proprio nel momento in qui enormi contraddizioni globali richiedono di essere affrontate con lo spirito dei “cittadini del mondo”.