Premesso il fatto che sotto il profilo psicologico ed economico, una normalizzazione della vita degli italiani sia di per sé un fenomeno ineludibile, ci si chiede da più parti se questo fosse il momento più opportuno per procedere a riaperture generalizzate. Ci si riferisce ad esempio al fatto che la campagna vaccinale stia andando a rilento e che quindi sarebbe stato consigliabile attendere ancora un po'( un mese scarso), per rendere definitivamente operativo il piano di ripartenza. Ma a parte queste considerazioni, la mia sensazione o meglio il mio presentimento ( e non solo il mio), è che la decisione del Governo rischi di non risolvere compiutamente il problema pandemico, proprio perché la sola regolamentazione dall’alto di una liberalizzazione di attività e di comportamenti, non pare di per sé sufficiente a liberarci dall’emergenza sanitaria.
Lo scrivente riconosce certamente la rilevanza che avrebbe avuto una più oculata regolamentazione di certi settori ( ad esempio quello dei trasporti e della scuola), nel favorire una rapida fuoriuscita dalla crisi pandemica. E tuttavia, come ho già avuto modo di scrivere, ritengo che la ragione fondamentale per la quale ci troviamo ancora impelagati in questa defatigante situazione, attinga a un livello di coscienza, su cui, a mio parere, non si è sufficientemente insistito. In altre parole è come se il dibattito sul tema- Covid, si fosse incistato su due sole direttrici: da un lato quella della difesa a spada tratta del cosiddetto “Stato d’Eccezione”, che ha legittimato la note e fastidiose restrizioni delle libertà personali, dall’altro quella di un ribellismo “aperturista” ( venato in alcuni casi anche di afflati negazionisti). Di un terzo livello invece ci sarebbe bisogno, che si interponesse tra i due predetti estremi. Mi riferisco a quello della coscienza individuale, che non può che essere critica, perché naturalmente portata alla scelta, all’opzione di quelle soluzioni e di quei comportamenti, maggiormente efficaci a combattere il “Nemico” invisibile che ancora ci assedia. Quella coscienza per intenderci, intessuta di sana dissidenza, che evita di accogliere ogni volta come “Verbo” indiscutibile, le esternazioni dei vari Conte e Draghi e che pertanto avrebbe potuto pungolarli a calibrare meglio i vari interventi restrittivi. Ma anche quella stessa ” soggettività etica” ( che alla fin fine altro non è che “educazione civica”), ormai latitante in una società “egoica” come la nostra, dove, per dirla con Monsignor Paglia, la logica dell'”Io” ha decisamente prevaricato quella del “Noi”. Perché se ancor oggi assistiamo ( sia pure da parte di una minoranza di connazionali) ad atteggiamenti individualistici e menefreghisti rispetto al bene collettivo ( feste private, massaggi hard, giovani e meno giovani che si parlano in faccia senza mascherina, avvinghiati agli immancabili birra e spritz ), lo si deve non solo alla fragilità etica di alcuni personaggi, ma anche al fatto che presumibilmente nell’ambito delle formazioni sociali di particolare rilievo educativo,
( vedi famiglia e scuola), non si è dato, in alcuni casi, il necessario risalto a quegli aspetti di educazione civica e solidarietà, cui prima facevo riferimento.
In definitiva a me pare più che mai attuale l’interrogativo evangelico, quello che ancor oggi ogni individuo dovrebbe rivolgere a se stesso. ” Chi sei tu Uomo, chi decidi di essere?” Domanda che ancora una volta interpella il concetto di scelta etica, che a questo punto, se vogliamo veramente lasciarci alle spalle questa iattura collettiva, non possiamo più permetterci di eludere.