Alla Fondazione Magnani Rocca di Mamiano di Traversetolo, Parma, approdano 6 (sei) pezzi dal Museo di Grenoble del fascinoso Modigliani: il dipinto Femme au col blanc, olio su tela del 1917, raffigurante Lunia Czechowska, la modella preferita, amica di Zbo, l’amico d’infanzia Léopold Zborowski, mercante d’arte e mecenate di Modigliani, e cinque ritratti a matita di personaggi della capitale francese degli anni Dieci.
Amedeo Modigliani, Livorno 1885-Parigi 1920, fa parte della specie artistica degli “enfant perdu” dell’arte: si perdono per spleen, salute, droghe, alcool o assenzio, donne, fumo, ma non prima di aver tirato un uppercut all’estetica. Così è Modigliani, Modì, che si legge anche “maudit”, maledetto come i poeti della carovana Baudelaire.
Modì, Modì… Personaggio scomodo, odiato e amato per il suo ascendente sulle donne e per il suo andare a peso morto nella vita. Vede nel 1909 “Les Demoiselles d’Avignon” (il cubismo!) da Picasso, nel suo studio di Montmartre, e dice di lui: “Picasso è sempre dieci anni avanti a noi tutti”. Picasso risponde un giorno: “Si direbbe che Modigliani non possa prendere una sbornia che al crocicchio di Montparnasse”. Ecco la diversa mente di due grandi artisti, anche se sempre Picasso svetta, oltre i neuroni specchio… Ma c’è anche chi lo capisce, allora Maurice de Vlaeminck: «L‘ho conosciuto affamato, l’ho visto ubriaco e l’ho visto abbastanza ricco. Mai l’ho visto mancare di grandezza…”; oppure Gino Severini, che s’informava da lui se il Futurismo fosse buono o no, ricevendo parere sostanzialmente negativo, e del quale scriveva nella sua autobiografia: «L’assenzio, se lo prendeva talvolta in doppia dose, era malgrado tutto un “mezzo”, e non un “fine”». Di sicuro, Modigliani fu un anticipatore della sperimentazione degli strumenti di attenuazione della coscienza a scopo estetico, per lasciare spazio a quell’es che già la psicanalisi freudiana propugnava come fonte d’ispirazione artistica; in questo senso, mostrò un atteggiamento più moderno dei “poeti maledetti”, quasi a sfiorare la visione della Beat Generation di 50 anni dopo.
L’esposizione della Magnani-Rocca conferma come tutto qui è intelligenza, e come 6 quadri in mano a un intelligente valgono più di 100 in mano a uno stupido. A dimostrazione dell’avvedutezza di cui sopra, ecco l’accostamento con pezzi della collezione permanente creata da un altro grande visionario, il fondatore Luigi Magnani: Cezanne, Renoir, Monet, Matisse e Braque, ci danno accanto suggestioni soprattutto parigine. Ed è la voce vellutata del curatore Stefano Roffi “nel vetro” (covid anche qui) che ci illustra questo acuto esercizio. Roffi è stato capace con la sua presentazione, che trova documentazione nello snello e avveduto catalogo, di farci sentire vicino quel ragazzo di grande sfrontatezza, classe e bellezza, e il suo straordinario anacronismo con salto mortale.
In Modì vediamo infatti il passato: la pittura senese del tre e quattrocento, l’ottimo riferimento, inusuale alla critica modiglianesca, della Madonna dal collo lungo del Parmigianino, le maschere tribali della Costa d’Avorio, che dimostrano più di Botticelli l’ovale dei visi in Modigliani, anche nelle sue famigerate sculture (celeberrimo lo scherzo dei falsi nel 1985), proprio perché non sorrette dalla luce degli occhi, su cui tornerò più avanti.
E in Modì artista figurativo vediamo il futuro: la sua provenienza fresca dalla cultura per millenni aniconica ebraica e il suo entourage parigino di analoga cultura, lo hanno reso molto più antenna di altri del suo tempo e hanno portato il turbine forsennato della sua arte-vita-che-è-arte a vertici visionari capaci di produrre prezzi di molte decine di milioni di dollari alle aste di Sotheby’s e Christie’s.
Ma c’era chi si aspettava la sua morte: il giovane Modigliani, 35 anni, malato, e la sua sposa amatissima moglie e madre dei suoi figli, Jeanne Hébuterne (per Tsuguharu Foujita, di cui fu modella, “vicieuse et sensuelle”), ottima pittrice, non navigavano nell’oro, e, proprio in prossimità dell’evento ferale, il suo gallerista Guillaume Chéron a Parigi sospendeva la vendita dei suoi quadri, preconizzando migliori guadagni futuri post-mortem…
Una varia morte, di certo attesa, che si legge negli occhi del suo oggetto principe d’arte a olio e a disegno, il ritratto, quasi 100 olii, di cui la metà principali e soprattutto femminili, tra Jeanne, moglie, altre modelle e la principale, Lunia Czechowska, ora a Mamiano appunto da Grenoble. Aneddoto molto significativo, l’importante ritratto di Lunia porta una strana imperfezione: ricorda lei stessa, in un’intervista del 1985, che il quadro, ancora fresco di pittura, cadde e vi si appiccicò sopra un fiammifero usato, che non poteva mancare vicino al grande fumatore Modigliani, lasciando la sua impronta. Piccolo lapsus su tela, che dice tutto…
Perché Modigliani non è solo colli stupendi. Lo sguardo spento-vitreo-sinistro-vacuo dei suoi ritratti, e di Lunia in particolare, non ci piacerebbe così tanto se non superasse le eco del passato (Siena, Parmigianino, la magia d’Africa perpetua) e non incontrasse anche il futuro; e così ancora una volta ci sovviene l’ascendente ebraico, ove la freschezza iconografica porta al vaticinio, e gli occhi dei suoi ritratti giocano con un’anima di cui sono specchio, già immersa nella fiction cinematografica di zombie, possessioni, alieni, David Bowie e il suo punk-chic. Mi piace questa esagerazione, molto maudit, e spero che piaccia anche ai nostri giovani…