Molti esponenti politici stanno chiedendo ai professionisti della comunicazione un po’ di silenzio, per quanto riguarda l’esposizione di massa a notizie, spesso, errate o non ancoraa confermate. Oggi, si parla di “infodemia”, ovvero quella quantitià di informazioni che, se da una parte stimola il nostro interesse a comprendere, dall’altra non siamo certi dei contenuti, rischiando, dopo un anno di dubbi e paure, disturbi da stress post-traumatico: senso pervasivo di solitudine, disperazione e depressione.
I format televisivi, le testate giornalistiche e i programmi radiofonici hanno lo scopo di aumentare gli ascolti, ma non inficiando sul nostro equilibrio mentale, con uno stile comunicativo “sensazionalistico”. Una nota è da dedicare al linguaggio, con il quale si comunica il presente e il futuro di quello che stiamo gestendo, senza sapere se in modo corretto: ognugno di noi è “vittima” di uno Stato che sta manipolando una situazione a elevato rischio su una serie di settori, dalla psicologia, come appena citato, all’economia, non meno importante, ma secondaria: se l’individuo non è in salute, non riesce a fornire una prestazione nel lavoro e viene licenziato.
Coloro che si occupano di comunicazione si ricordino dell’enorme ruolo in cui si trovano protagonisti: le parole sono più pericolose del virus. Esagerazione? Forse, ma non di molto.