Di fronte alle grandi novità intervenute nel corso degli ultimi anni e rese ancor più incisive sulla realtà dalla fase di emergenza sanitaria la sinistra (non solo quella italiana) si trova nell’urgente necessità di ritrovare un diverso equilibrio nella propria capacità di iniziativa politica. Si è conclusa la stagione dell’autonomia della governabilità, della vocazione maggioritaria, dell’alternanza “temperata”: l’insieme del quadro appare confuso, le visioni sovrapposte, le identità sociali sfumate e trasversali. Partendo da questa convinzione appare indispensabile aprire un confronto attorno a temi complessi e parzialmente inediti. Una lezione ci viene dall’esito delle elezioni americane, se si scrutano i dati andando in profondità e oltrepassando quelli complessivi che hanno determinato la vittoria del candidato presidente democratico. Siamo di fronte ad un intreccio di contraddizioni che hanno spinto la crescita delle disuguaglianze, l’egemonia della tecnica, la riduzione di ruolo nelle forme classiche della democrazia. La conseguenza di questi fenomeni può essere così riassunta:
1) Il procedere di un ulteriore processo di disfacimento sociale verso il quale l’idea della sintesi politica (una volta appartenuta alle grandi formazioni partitiche) appare inefficace;
2) L’emergenza del prevalere di una visione politica facile da semplificare nella narrazione, con l’utilizzo di una sorta di “manicheismo”: a di là o di qua, senza sfumature, proprio perché sembra impossibile rintracciare un’appartenenza definita. Si verifica così il passaggio dalla “democrazia del pubblico” (Manin) alla “democrazia recitativa”. Nella “democrazia recitativa” è facile prevedere una fase di egemonia appannaggio della destra;
3) Non è più questione di disaffezione dalle pratiche della democrazia ma di transito di interi settori sociali da una parte all’altra degli schieramenti e di una forte mobilità tra questi: per sfuggire all’incalzare dello sfruttamento , al predominio della tecnologia (cui è attribuita anche la responsabilità dell’emergenza sanitaria), considerando la “paura” quale vera e propria categoria politica, grandi masse si sono rifugiate nella certezza di una identità da difendere, la “propria” appartenenza di “focolare”.
L’azione politica viene così considerata soltanto in chiave difensiva (al limite quasi antropologica) avendo smarrito il senso dell’appartenenza a una condizione sociale. In questo modo masse di sfruttati e marginalizzati ( o neo – marginalizzati) votano a destra perché credono sia loro garantita una riconoscibilità “di gregge”. La sinistra appare così lontana dal quotidiano e mera espressione di una visione intellettuale capace soltanto di mediare quasi in esclusiva la funzione del potere. Una sinistra che fa fatica a riconoscere il forte stridio della nuova qualità delle contraddizioni e finisce con l’assumere posizioni “mediane” ormai fuori dal tempo e frutto soltanto di una concezione arcaica dell’autonomia del politico. La sola strada possibile, per rimontare la corrente, è quella della capacità di assumere fino un fondo una sorta di “radicalità di progetto” La considerazione (sbagliata) era quella di un potere delle istituzioni considerato ormai come esaustivo della legittimità del “comando politico”. Non possiamo cedere all’idea di una imposizione dall’alto di una visione “bloccata” dentro la logica della reciprocità dello scontro di potere che si accompagna allo stabilirsi, ancora una volta, dell’egemonia culturale della società nell’immediatezza del consumo individualista. Nell’epoca del dominio delle grandi concentrazioni del potere tecnologico che punterà a mutare (e lo sta già facendo) lo stesso ciclo di vita delle persone nel combinato disposto fra emergenza sanitaria e utilizzo delle nuove forme di lavoro e di comunicazione, bisogna chiamare a raccolta quelle forze che si sottraggono, oggi, alla politica, ma non possono tirarsi fuori dal procedere, inesorabile, delle dialettica della storia. Una dialettica che non può risolversi semplicemente presentando la propria coscienza individuale al cospetto dell’immutabilità di funzione di un comando costituito che appare ormai soltanto come la copertura di un potere nascosto. Non sarà sufficiente “la legge morale dentro di sé” e la competizione politica ridotta all’ “individualismo competitivo”. La sinistra sarà chiamata al compito di ritrovare i termini della ribellione collettiva verso l’idea della “fine della storia” e del predominio dell’io come soggetto esaustivo dell’agire politico. Gli intellettuali non che non intendono ridurre il loro ruolo a quello di “maitre a penser” del potere. In questo senso non dobbiamo essere timidi nell’indicare la finalità necessaria: la costruzione del soggetto politico espressione di una “contrapposizione sociale” da determinarsi nell’agire politico.