Il nuovo arrivo della pandemia, in parte già previsto, e l’organizzazione del nostro Paese, nella gestione del problema, che lascia ancora molto perplessi. La principale causa di malumore e litigi, spesso senza né capo né coda, sono i cosiddetti “finti scienziati”, che “cavalcano” le onde della Rete a suon di commenti insensati, ma non innocui: infatti, nel soggetto più debole, sia fisicamente sia psicologicamente, essi possono influire in modo negativo, creandogli meccanismi all’interno della propria ragione, difficili da smantellare.
Aprire in questi giorni, a qualsiasi ora una pagina di Facebook, significa essere masochisti: se non sono sufficienti le informazioni degli altri canali, che offrono una comunicazione unilaterale, senza, quindi, la possibilità di risposta da parte del ricevente, ecco che lo spazio offerto dalla piattaforma del social network più utilizzato d’Italia, Facebook, consente anche di dare voce a chi utilizza quel numero di caratteri disponibili solo per sfogare le proprie frustrazioni, senza essere consapevole di numeri esatti né conoscenze approfondite in questo scenario, già complicato per chi ne fa parte. Poco importa: oggi, è risaputo che la moda è “mettersi in mostra”, anche in cattiva luce, sul Web.
La popolazione è insoddisfatta di questa confusione, ma alcuni comportamenti, compiuti da adulti, non possono essere tollerati. Il virus, ora, colpisce in modo meno grave rispetto a prima, tuttavia una parola sbagliata, proprio perché non ancora ripresi da questo nuovo modo di gestire la propria vita, può influire pesantemente sul nostro equilibrio personale.
Se il diritto alla libertà di espressione significa abusare del proprio linguaggio, senza prima una riflessione, non è esercitato nel modo corretto ed è auspicabile l’inserimento, nello staff dell’azienda, di un responsabile della comunicazione social, che possa tutelare ogni utente, da contenuti così banali o offensivi, da ledere anche la dignità dell’individuo che li produce, solo per ricevere un maggior numero di visualizzazioni e quell’attimo di fama.